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Intervista Epica (Mark Jansen)

Di Luca Montini - 3 Ottobre 2016 - 17:00
Intervista Epica (Mark Jansen)

Ciao Mark e benvenuto su Truemetal.it! Siamo qui per parlare del vostro nuovo disco “The Holographic Principle”, in uscita il prossimo 30 settembre per Nuclear Blast. L’ispirazione del titolo viene nuovamente da una teoria fisica, con numerose implicazioni filosofiche e spirituali che emergono dai testi delle canzoni; perché avete nuovamente proposto un principio fisico per rappresentare la vostra musica?

Beh, devo dire che in “The Quantum Enigma” la cosa ha funzionato parecchio bene per noi, anche se non era certo la prima volta nella nostra carriera in cui abbiamo toccato argomenti scientifici, sentivamo di non aver esaurito l’ispirazione e durante il lavoro su “The Holographic Principle” abbiamo pensato di poter fare un ulteriore passo avanti. Ho continuato a leggere molti libri sulla fisica quantistica anche dopo aver rilasciato “The Quantum Enigma”, sono arrivato ad informarmi sulla teoria del principio olografico che ci dava nuove possibilità da affrontare sia a livello musicale che per quanto riguarda i testi. Facciamo sempre ciò che ci fa sentire a nostro agio e questo tema lo faceva indubbiamente. 

Chi ha scritto le liriche dei brani? Principalmente tu e Simone?

Si, ho prima proposto io il concept e l’ho spiegato a Simone. Lei è stata da subito molto interessata ed ha rapidamente ideato delle liriche intorno a questo tema, così abbiamo nel lavoro finale sette/otto canzoni che ruotano attorno al concept principale e tre/quattro brani che escono un po’ dal contesto.

Quali sono le tue considerazioni attuali sull’album? Quali pensi possano essere i punti di forza del lavoro?

Sono molto soddisfatto del risultato. Abbiamo lavorato molto duramente per realizzarlo, concentrandoci su ogni piccolo dettaglio. Abbiamo registrato per la prima volta un’intera orchestra dal vivo, e quando ascolto il disco mi sento felice di essermi concentrato in ogni minimo particolare per farlo suonare nel migliore dei modi, devo dire che sono veramente orgoglioso di ciò che abbiamo raggiunto.

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Come si è svolto il processo di produzione?

La produzione si è svolta assieme al nostro produttore Joost van den Broek, ed il missaggio è ad opera di Jacob Hansen, in Danimarca.

In questo disco troviamo tutti gli elementi che rendono gli Epica uno tra i più importanti ed interessanti rappresentanti nell’intero panorama symphonic metal, contraddistinti dal chiaroscuro di melodie catchy ma anche potenti growl, cori epici ed angelici, riff pesanti, liriche raffinate ed una solida sezione ritmica, cosa pensi che renda questo album differente/migliore dal precedente?

Abbiamo cambiato principalmente tre cose, anche se possono sembrare marginali: la prima è stata il songwriting, abbiamo provato più a lungo assieme sulle tracce proposte da ognuno per finalizzarle, perfezionarle e rendere tutto più omogeneo. Solitamente quando entravamo in studio non eravamo sicuri al 100% di ogni passaggio, dicevamo: “poi vediamo quando siamo in studio”… stavolta invece volevamo essere sicuri già prima di entrare in studio, dove abbiamo dovuto concentrarci esclusivamente sulla registrazione delle parti, non anche a finalizzare e pensare cosa potesse essere migliorato. In secondo luogo come dicevo abbiamo registrato l’intera orchestra dal vivo, il che è una buona cosa per il suono complessivo per renderlo più realistico ed organico, ed in ultimo abbiamo lavorato molto sulle linee vocali, sia il pulito che il growl, per rendere tutto più coeso. Non che in passato non lo fosse, ma in questo caso abbiamo lavorato ulteriormente per perfezionare questo aspetto.

Quindi per la prima volta tutto dal vivo, niente librerie sonore o strumenti al computer…

Assolutamente niente sample. Abbiamo accettato la sfida di realizzare tutto quello che ci veniva in mente, portarlo in studio e suonarlo o farlo suonare dal vivo. Grandi percussioni “bum, bum, bum”, strumenti etnici, ottoni, fiati… abbiamo trovato un musicista per ogni strumento, nella maggior parte dei casi professionisti ma anche qualcuno che suona ogni tanto, che magari ha un altro lavoro e lo fa per divertimento, ma che abbiamo comunque ritenuto all’altezza con i propri strumenti. Tutto quello che senti è suonato da vere persone.

Niente computer quantistici, insomma!

No, no, assultamente. Certo che quando i computer quantistici saranno tra noi potranno suonare come persone vere, ma ancora abbiamo bisogno di persone in carne ed ossa! (ride)

Avete avuto qualche problema particolare durante il lavoro su quest’album?

In realtà tutto è filato liscio fino all’ultimissimo momento, proprio quando abbiamo girato tutto il materiale al tipo del missaggio, il signor Jacob Hansen, eravamo pronti perché sapevamo essere un compito enorme, talvolta addirittura mille tracce per una sola canzone, tutto è registrato in tracce separate dall’orchestra a tutti gli elementi extra, quindi era chiaro che ci sarebbe stato molto da fare. Appena gli è arrivato il materiale si è ammalato immediatamente, immagino fosse lo stress. (ride) Siamo stati fermi una settimana e la deadline si avvicinava pericolosamente, ma comunque siamo riusciti a consegnare tutto in tempo… più o meno…

Il primo singolo è “Universal Death Squad”, e parla di iper-tecnologici robot quantistici. Qual è il tuo rapporto con la tecnologia?

Adoro la tecnologia! La tecnologia ti offre così tanti vantaggi nella vita, senza tecnologia vivremmo nell’età della pietra, quindi al vedere tutte le possibilità che ci offre sono estremamente felice. Ma d’altro canto puoi anche abusare di tecnologia, come in questo caso il creare robot quantistici che usano la propria autocoscienza per uccidere le persone, e questo mi attrae almeno quanto i lati positivi. Abbiamo quindi preso questo principio e ci abbiamo scritto una canzone, perché ho letto un articolo su come questi robots siano effettivamente in fase di sviluppo, è solo questione di tempo che queste creature inizino a lavorare, tutto dipende da come li impiegherà l’uomo, ma qui sono diventati una “Universal Death Squad”!

Certo, correlato ai numerosi studi sull’intelligenza artificiale…

Si, e trovo tutto questo estremamente interessante, ma al contempo anche un po’ spaventoso. Anche se tendenzialmente sono più incuriosito che spaventato.

Per quanto riguarda invece “Once Upon a Nightmare”, sembra di ascoltare una vera e propria soundtrack. Chi ha scritto la partitura?

La musica è stata scritta da Coen [Janssen], il nostro tastierista, è lui il tipo-soundrack della band. Riesce sempre ad uscire con nuove sorprese, realizza una nuova perla in ogni album. Simone ha scritto le liriche che sono ispirate dalla poesia di Goethe.

Invece relativamente a “Beyond the Matrix”, c’è qualche affinità o ispirazione dal film degli Wachowski?

Una leggera ispirazione dal film, ma ancor più dalla teoria dell’olografia: l’essere in grado di vedere oltre l’universo che ognuno si crea, i propri ologrammi, la propria Matrix. Il cercare di fuggire da quella prigione, in questo senso c’è una somiglianza con il film. C’è però un brano interamente ispirato al film “The Matrix” nelle liriche scritte da Simone, ossia “A Phantasmic Parade”. Ad ogni modo il tema realtà/finizione trattato nel concept è comunque in qualche modo ascrivibile a quanto possiamo vedere nella pellicola, del resto stiamo parlando di un grandissimo film.

Mi porti ad una domanda filosofica: credi nel libero arbitrio?

Mi fai una domanda molto difficile. Talvolta ho la sensazione che siamo tutti vivendo in un racconto, e siamo in qualche modo predestinati. Ma abbiamo tutti la sensazione del libero arbitrio. Abbiamo la sensazione di fare le cose perché le vogliamo fare, o perché decidiamo di farle. Ma ci sono molte reazioni fisiche all’interno di noi che provano il contrario. Una decisione che tu prendi ma il tuo corpo è come se già sapesse ciò che stai per fare, prima ancora che la tua volizione diventi cosciente ed ha già reagito a quella stessa decisione. Questo può significare due cose: o non sei libero ma hai solo l’immagine del libero arbitrio, o è il tuo corpo a tornare indietro nel tempo e prevedere quello che stai per fare. Non lo so…

Ci sono numerose teorie, sia in fisica che in filosofia, che cercano di dimostrare l’una e l’altra posizione… gli stessi fisici che hanno sviluppato la meccanica quantistica partivano da differenti posizioni relativa al determinismo ed al principio di causalità… in ultima istanza è ancora e probabilmente rimarrà sempre una questione di opinioni.  

Qual è il tuo punto di vista?

Cosa? [bug dell’intervistatore, impreparato nel ricevere una domanda dall’intervistato. Segue un breve siparietto montsteeniano di filosofia della fisica poco interessante per i nostri lettori n.d.M.]

Si, ed in effetti se avessimo una risposta definitiva a questa domanda la nostra vita sarebbe completamente differente, non avrebbe più alcun senso. Questa è la vita. A volte penso che possa esserci qualcosa che ha disegnato tutto questo, sia esso un dio o un’intelligenza artificiale, ed in questo caso anche noi saremmo intelligenze artificiali che apprendono da sé stessi, le ipotesi sono innumerevoli ed è tutto molto affascinante!

[In italiano]Che ne dici se continuassimo l’intervista in italiano? 

[in italiano] No, per favore, meglio di no…. [in inglese] Parlo solo un po’ in italiano e lo capisco poco, preferisco l’inglese, in italiano parlo molto piano, cerco le parole… è dura!

Ormai credevo che fossi del tutto naturalizzato siciliano! [Mark è fidanzato da anni con la soprano nissena Laura Macrì n.d.M.]

Si, in questi giorni sono proprio in Sicilia!

In Sicilia hai pure un dialetto molto caratteristico che non troveresti a Bologna o Milano…

Mi hanno insegnato alcune parole in siciliano ma ho l’impressione che non siano utili nel resto d’Italia! (ride) 

Torniamo alla musica, eccoci arrivare al singolo “Edge of the Blade”. Perché avete scelto questo pezzo per realizzare un videoclip?

Abbiamo scelto questa canzone semplicemente perché… l’abbiamo votata. Ci siamo chiesti “quale pezzo prendiamo come secondo singolo?” ed abbiamo messo il quesito al voto.

Siete una band democratica, insomma!

Certo, vera democrazia come nell’antica Grecia, ci siamo visti nell’agorà ed abbiamo deciso. (ride) Le liriche riguardano l’accettazione di sé stessi, l’imparare a vedere chi sei e ciò che sei, non in base a ciò che appari, ma a come sei davvero. Siamo tutti perfettamente imperfetti ed è ciò che ci rende unici. Simone ha scritto i testi, e spero per lei di aver descritto nel modo giusto il tema! (ride) 
 

Invece “Dancing Hurricane” parla dei bambini in Medio Oriente…

Si, anche qui il testo è di Simone. Si è sentita molto vicina agli episodi di cronaca di cui vediamo in televisione, queste famiglie con bambini nelle zone di guerra, ed ha deciso di scrivere a riguardo anche in quanto madre [ha un figlio di 3 anni n.d.M.]. Ha cercato di trasporre il suo spirito di protezione verso suo figlio anche verso queste tristi situazioni per proteggere i loro, in circostanze molto difficili. 

Cosa pensate di aver raggiunto con la notevole suite finale?

Spero di aver raggiunto il nostro “magnum opus”! (ride)  Spetterà ai fan decidere quale possa essere la valutazione, tutto dipende da loro, noi ce l’abbiamo messa tutta per scrivere la miglior canzone possibile, cerchiamo ogni volta di realizzare qualcosa di diverso e stavolta abbiamo puntato su un’intro medio-lunga che prelude al materiale più pesante, sono per primo un grande fan dei Pink Floyd e penso di essere stato influenzato molto dal loro modo di comporre, in questo pezzo. Anche il produttore ha avuto grandi idee nel cambiare alcune sezioni nel brano, ma tutta la band in genere ha messo le mani sulla titletrack, che in principio durava circa tredici minuti e quindici secondi. L’abbiamo riportato ad undici e mezzo, abbiamo tolto tutto ciò che era inessenziale e tenuto solo le parti più forti.

È un problema abbastanza tipico quando uno scrive una suite, e noi ce ne accorgiamo ascoltandola: il compositore tende a buttarci dentro tutto quello che gli viene in mente…

…ed è esattamente quello che stava accadendo! Ad un certo punto ero andato completamente fuori di testa con parti progressive praticamente senza fine, ed i ragazzi hanno detto: “sisi, è una bella sezione… usiamola per un altro pezzo!” (ride) Uno dei vantaggi di questo tipo di democrazia è che la maggioranza ha quasi sempre ragione. Mi succede spesso di parlare con persone e con band con un solo compositore, e gli chiedo che cosa facciano quando non hanno ispirazione e loro rispondono semplicemente che continuano ad andare avanti, buttano dentro tutto e cercano di tirare fuori il meglio. Questo è abbastanza triste, perché sai per primo tu stesso di non stare facendo il massimo possibile, non abbiamo sempre lo stesso quantitativo di ispirazione, io per primo a volte ne ho una montagna ed altre ne ho meno, in questo disco per dire ho contribuito solo in quattro tracce, in altri ho realizzato praticamente tutti i brani. Sono contento del fatto che abbiamo così tanti bravi songrwriters che possano dare il loro contributo. Oggi se dovessi scrivere un intero disco avrei molta meno ispirazione di tempi passati, ed il disco sarebbe molto più debole. Molte band con un solo compositore finiscono per riciclarsi all’infinito a questo punto, e non è mai un buon segno.

Il tuo pezzo preferito del disco, o comunque quello che ti fa sentire qualcosa in più degli altri?

La mia preferita da suonare dal vivo è “Divide and Conquer”, ha una buona vibrazione ed un’ottima parte centrale, ma è difficile prendere una canzone dall’intero disco perché sono di quelli che amano ascoltare il disco dall’inizio alla fine come se fosse un’unica, enorme traccia. Potrei citarti “Universal Deathsquad”, o “The Holographic Principle”, “Once Upon a Nightmare”… parecchie insomma. 

Penso anch’io che “Divide and Conquer” sia uno tra i pezzi meglio riusciti del disco…

Si il suo tema è di nuovo il Medio Oriente. Parla di come le potenze occidentali intervengano esportando la cosiddetta “democrazia”, mentre di fatto la ragione per la quale sussiste questa interferenza politica e militare e il voler mettere le mani sulle risorse naturali e sui giacimenti di questi paesi. Le grandi industrie hanno interessi su quei luoghi. La strategia del dividi et impera è già stata usata in passato e consiste nel dividere le popolazioni per mantenere il controllo su quei luoghi senza necessariamente iniziare una guerra. Lasci solo che si scateni da sola senza intervenire direttamente. Dividi le popolazioni ed incentivi il conflitto tra di esse per rovesciare i governi. Le primavere arabe sono un fenomeno controverso, solo Bashar al-Asad è ancora in giro. Lo stesso sta avvenendo in Europa con i flussi migratori, siamo divisi ma fortunatamente non conquistati, comunque questo genera una molta tensione.

Quindi supponi che ci sia una regia occidentale anche per quanto riguarda i flussi migratori e le divisioni che ne derivano?

Si, penso ci sia una qualche intenzionalità. Provo grande dispiacere per queste persone, che cercano solo una vita migliore per sé stessi, attraverso la fuga. Non hanno alcuna colpa, ma il risultato è l’accrescere di una grande tensione tra loro e gli abitanti di ogni paese, e temo che questa tensione possa in qualche modo esplodere in alcune situazioni. È inevitabile. Ora vedo questi grossi processi divisori che crescono in Europa, e nessuno sa come andrà a finire.

Dalla fisica alla filosofia alla geopolitica, torniamo agli Epica… precisamente al 2003, ai tempi di “The Phantom Agony”: come vedi la band di oggi confrontandola con quella di quel periodo? 

Beh, nel 2003 la band era composta da alcuni personaggi completamente senza esperienza, e questo è per certi versi anche un grosso vantaggio perché riesci a mettere nel disco delle vibrazioni, un’emozione ed una voglia di realizzare qualcosa di completamente nuovo. È un’ispirazione che non potrai mai far tornare del tutto, è qualcosa che esperisci solo la prima volta. Ma oggi abbiamo tutti molta esperienza e d’altro canto anche l’esperienza è un vantaggio che possiamo sfruttare in maniera positiva. Vedo quindi due band molto diverse, ed anche se ai tempi ti “The Phantom Agony” eravamo immaturi, mi sento molto molto orgoglioso di quell’album.

Per quanto riguarda la vostra attività dal vivo, sarete in tour con i Powerwolf e scenderete in Italia il 18 gennaio 2017 al Live Club di Trezzo (MI). Mi confermi che sarete voi gli headliner?

Abbiamo condiviso il tour suddividendo le date di headlining, nei paesi dove i Powerwolf sono più popolari come ovviamente in Germania chiuderanno loro, in altri paesi come l’Italia chiudiamo noi. Alla fine è una situazione positiva per entrambe le band, perché comunque ognuno suona per un pubblico più vasto, includendo quello dell’altra band.

Cosa possiamo aspettarci dalla setlist?

Puntiamo ad una setlist molto sorprendente. Suoneremo certo i classici di tutti questi anni, ma vogliamo anche qualcosa per rinfrescare la setlist, ovviamente qualche pezzo nuovo, ma anche brani che non suoniamo da molti anni. Penso che chi si aspetta una setlist rinnovata sarà molto felice.

Cosa mi sai dire invece dell’altra band che aprirà per voi, i “Beyond the Black”?

Una volta abbiamo suonato con loro, abbiamo visto le prove e li abbiamo sentiti dai camerini, ci sono piaciuti e gli abbiamo chiesto di unirsi a noi per il tour… ma ho sentito che hanno avuto qualche cambio in lineup… 

Grossi cambiamenti… [praticamente tutta la band ad eccezione della cantante Jennifer Haben n.d.M.]

Certo! (ride) Spero siano ancora una buona band. 
 

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Hai anche collaborato con gli “Universal Mind Project”, con Alex Landenburg dei Rhapsody of Fire, Elina Laivera e tanti altri… cosa puoi dirmi di questa collaborazione?

È stato molto divertente, abbiamo lavorato tramite la rete perché Michael Alexander vive in Messico. Mi ha contattato per fare dei growl in un pezzo, mi ha fatto sentire la musica e sono rimasto molto sorpreso dalla qualità. Non me l’aspettavo, di solito ho una mente aperta e non lo giudico in quanto viene dal Messico (ride), ma solitamente quello che mi propongono non è così irresistibile, mentre in questo caso sono rimasto proprio folgorato. Così da un pezzo ne sono diventati due, poi tre, poi quattro… spero che riesca a far lavorare quella band perché lo merita, ha fatto un grande lavoro nel songwriting ed è anche una persona molto amichevole.

Ultima domanda di rito, il tuo saluto ai lettori di truemetal.it… anche in dialetto se vuoi!

Nun ce scassà la m*nchia! (ride) Hmmm, la mia ragazza non è d’accordo e penso di dover dire qualcosa di più gentile, quindi “saluto” tutti in Italia, non vedo l’ora di essere di nuovo a Milano, anche se non è proprio Milano ma un po’ fuori, torneremo a pieno regime con il nuovo album. L’ultima volta che abbiamo suonato in Italia è stato a Roma coi Nightwish ed è stato allo stesso modo fantastico, ed in ultimo spero che tutti voi possiate apprezzare il nuovo album!
 

Intervista a cura di Luca “Montsteen” Montini