Recensione: Divina Commedia: Purgatorio
Ed eccoci qua, a due anni dal precedente (e decisamente interessante) capitolo riguardante la cantica infernale, a trattare il nuovo album degli italiani Starbynary. Come (spero) avrete facilmente intuito, “Divina Commedia: Purgatorio” prosegue nell’intento del quintetto Lombardo-Friulano di mettere in musica l’opera del mai abbastanza lodato Dante Alighieri, occupandosi in questa sede della cantica centrale della sua Comedìa. Anche in questo caso, il gruppo guidato da Joe Caggianelli e Leo Giraldi usa l’arma del power metal screziato da pesanti inflessioni prog per donare all’album il suo incedere flessuoso ed elegante, il tutto infarcito di melodie solenni e, soprattutto, del flavour mesto che crea in un attimo la giusta atmosfera purgatoriale. Come successo per il precedente capitolo, è l’atmosfera che qui la fa’ da padrona, col gruppo che si industria per donare alle composizioni un’indole narrativa che funga da ideale supporto allo scritto dantesco: i continui cambi di atmosfera non pesano, creando invece una bella corrente emotiva e permettendo di seguire, come accaduto nell’infernale predecessore, l’evolversi degli eventi.
Un’invocazione sacrale apre “On the Shores of Purgatory”; in un attimo entrano in scena ritmiche scandite e toni maestosi, su cui si distende una melodia sinistra e suadente al tempo stesso. L’improvvisa sfuriata introduce il personaggio di Dante, che dopo la scalata infernale che aveva concluso la cantica precedente si trova su una spiaggia sconosciuta. La traccia si dipana su velocità dimesse interrotte da fulminee accelerazioni, mentre nella seconda metà subentra un rallentamento delicato, dal profumo sognante. Il finale torna a spingere su note più malinconiche, salvo cedere il passo al pianoforte che introduce “Miserere”. Qui, se non ho capito male la scansione degli eventi, siamo già nel Canto V, ambientato nell’Antipurgatorio. In un attimo si passa dal piano alle tastiere per finire poi con un giro di chitarra nervoso e vorticante, che dilata la sua carica inquieta durante il ritornello. Il coro del Miserere, cantato dalle anime dei morti di morte violenta che si sono pentiti in fin di vita, dona possanza e solennità al pezzo, ottimamente sorretto da un bel passaggio di chitarra. L’atmosfera si ispessisce, con drappeggi cupi che screziano le melodie. Il duello chitarra/tastiere impenna il tasso di adrenalina, creando un climax che esplode nel finale carico di pathos. Note inquiete e un coro ipnotico aprono “Underneath the Stones”, pervasa da una tensione costante data dal sinuoso lavoro sottotraccia delle chitarre. Siamo nella prima cornice del Purgatorio, dove i superbi sono costretti a marciare portando sulle spalle un pesante macigno. Per questo motivo la velocità si attenua creando un ritmo massiccio e insistente, salvo poi impennarsi durante l’improvvisa frustata ai limiti del black e il nuovo duello tastiere/chitarre, che permette al gruppo di giocare con una nuova veemenza prima di tornare nei ranghi. “Blindness” ci porta sulla seconda cornice, dove devono espiare gli invidiosi; dopo una serie di schiocchi sibilanti, la traccia esplode grazie a riff decisi, sorretti da ottime melodie e inframmezzati dagli interventi del piano. Nella parte centrale le chitarre si fanno nervose, aggiungendo la giusta grinta al pezzo che diventa insistente, mentre il piano ricama melodie eleganti stemperando la tensione delle chitarre e coprendo, per fortuna, la voce di sottofondo. E veniamo ora ad uno dei peccatucci di questo album: gli interventi parlati. Per quanto azzeccati e posti nei momenti giusti, non posso far e meno di rimarcare la loro poca incisività, da imputare probabilmente a una voce troppo piatta e inespressiva che rovina un po’ il risultato complessivo. Per fortuna, quando Joe inizia a modulare la voce nel prosieguo della citazione dantesca le cose migliorano, dando alla canzone il giusto finale. Note inquiete aprono “In the Smoke”, sorrette poi da chitarre rudi che ben si accordano ai protagonisti del canto, gli iracondi della terza cornice. Il pezzo si mantiene su ritmi quadrati, salvo cedere posto al possente coro dell’Agnus Dei, in cui compare una voce femminile che ritroveremo nel finale. La canzone si pervade di un pathos più solare, stemperandosi nella pausa compassata che apre all’alzata di tono del finale. “Running and Screaming” parte propositiva, minacciosa, dispensando riff tesi e sferzanti per rendere la corsa a perdifiato degli accidiosi della quarta cornice. La cafonaggine del pezzo viene smorzata dal breve intermezzo più dimesso, che a sua volta apre al ritorno di chitarre più ruvide. Il solo neoclassico di tastiere si interrompe di colpo per dare spazio a una nuova citazione dantesca, mentre il pezzo si chiude su note più trionfali. “Laying Bound” apre a melodie sentite e sognanti: i ritmi si mantengono scanditi, insistenti, ma l’aura di minaccia che pervade il pezzo (riguardante avari e prodighi) non prende il sopravvento grazie alle linee vocali di Caggianelli e agli sporadici squarci melodici delle tastiere. La solennità della seconda parte sembra sprofondare in un minaccioso abisso per l’intervento delle chitarre, sventato solo nel finale nuovamente trionfale. Un certo pathos malinconico domina “The Suffering”, riguardante i golosi, che si dipana su tempi blandi guadagnando corpo nella sezione centrale. L’intermezzo narrativo sorretto dal piano rimette le carte in regola, contribuendo a confezionare una canzone molto sentita ma a mio avviso un po’ monocorde. Si ritorna aggressivi con “Walking Into Fire”, sostenuta da riff arroganti e un andamento inquieto. Siamo nella settima cornice, dove vengono puniti lussuriosi e sodomiti: la traccia gioca con profumi diversi, saltando dalla maestosità alla minaccia ma mantenendo ritmi scanditi. Anche qui l’intermezzo di piano spezza il normale corso del brano con un passaggio più malinconico, coronato da un’altra citazione dantesca che apre alla frustata conclusiva. Siamo arrivati in cima, e una melodia bucolica ci informa che siamo nel paradiso terrestre: piano e voce dominano l’inizio della canzone con fraseggi delicati, mentre il tasso di pathos si innalza con la comparsa di Beatrice (che sostituisce Virgilio come guida di Dante per il resto del viaggio e qui ha la voce decisa di Elisa Stefanoni, attuale cantante degli Shadygrove), donando sostanza al pezzo anche grazie all’ottimo crescendo strumentale. Nell’ultimo quarto si torna a tempi quadrati, insistenti, che aprono al duetto di voci finale. Com’era successo nel capitolo precedente, anche il Purgatorio si chiude con una canzone giustamente intitolata “Stars”, introdotta da soavi melodie che, di colpo, cedono il passo a una marcia dall’incedere quasi marziale: solennità e una certa arroganza si mescolano per il climax finale, non privo di riff duri e un senso di minaccia latente. Beatrice torna a farsi sentire nell’ultimo terzo, ingentilendo il profumo del pezzo prima del ritorno dei toni bucolici che ci accompagnano fino alla citazione finale: “Puro e disposto a salire a le stelle”. La versione in mio possesso dell’album presenta anche una bonus track, “Ary”, malinconica ballata dai toni languidi e sofferti che non toglie né aggiunge nulla ad un lavoro solidissimo, elegante e molto variegato pur senza essere dispersivo. “Divina Commedia: Purgatorio” è davvero un bell’album, nonché un bel passo avanti rispetto al suo immediato predecessore: la lunghezza di tutto rispetto non annoia, grazie a una serie di soluzioni ricercate e un’opera intelligente e precisa di levigatura dei pezzi, che risultano articolati ma mai indigesti. Ottimo lavoro.