Recensione: Magic Machine
Gli An Endless Sporadic sono una band strumentale progressive metal/rock nata nel 2005 in Texas. Nasce come duo compost da Zach Kamins (chitarra, tastiera, basso) e Andy Gentile (batteria). Guadagnagno un minimo di visibilità apparendo nella colonna sonora videoludica di Tony Hawk’s American Wasteland con la canzone “Sun of Pearl” (registrata in modo asincrono grazie alla Rete). Il pezzo “Impulse“, invece, venne incluso come bonus song in Guitar Hero III: Legends of Rock, uscito nel 2007.
Dopo l’uscita del primo EP ‘Ameliorate‘ nel 2008 I due mastermind continuano la loro collaborazione, anche Andy suona anche con un altro gruppo (Stasera) e lavora con Neversoft Entertainment, mentre Zach studia a Boston presso la Berklee School of Music (che ha sfornato talenti illustri, Dream Theater su tutti). Il self-titled arriva nel 2009, prodotto da Roine Stolt (The Flower Kings, Kaipa, Transatlantic) e con la presenza di Jonas Reingold come bassista di prima scelta. Il disco non è niente male, propone un prog. rock con venature metal ma la produzione resta claudicante e scarsa la longevità della mezzora strumentale proposta. La canzone “The Triangular Race Through Space” viene, comunque, inclusa in Guitar Hero 5.
Dopo ben sette anni e un cambio di line-up la band, ormai un one man act con Zach Kamins al comando del timone, ‘Magic Machine‘ è il platter che nessuno si sarebbe aspettato, spiazzante e bellissimo. In line-up troviamo nomi da brivido, come Michael Iago Mellender (Sleepytime Gorilla Museum), Navene K (Animals As Leaders), Jordan Rudess (Dream Theater), il già citato Roine Stolt e il riconfermato Jonas Reingold.
L’opener è un tripudio di inventiva. Vengono in mente i moderni Maschine ma anche i DT (evidente il tributo a “Erotomania“). Nei momenti più dilatati invece affiora l’influenza dei maestri TFK e le linee di basso, manco a dirlo, sono corpose. La title-track presenta infinite soluzioni tastieristiche; “Galactic Tactic” già dal titolo allitterante fa capire che la ridondanza non crea problemi ai nostri; l’avvio quasi videoludico resterà impresso nelle sinapsi, le asprezze volute non appesantiscono più di tanto l’ascolto. Tinte quasi metal in “Finding The Falls”, ma sempre stemperate da momenti più funk e la presenza di un violino imbizzarito alla Dixie Dregs.
Geniale le parti in fanfara di “The Assembly”, brano che strappa più di un sorriso (in senso buono, come la “Vampolka” di Mr Townsend) e dona un tocco di ulteriore follia al platter, salvo poi esplodere in ritmiche rocciose nel finale. Non poteva mancare un momento più fusion, ecco dunque i quattro minuti di “Agile Descent”, con attimi opethiani. “Sky Run” si salva grazie a un break centrale degno degli Ayreon e un assolo di sua maestà Jordan Rudess. Siamo sul finire dell’album. Dopo i tempi dispari di “Through The Fog” (sempre con il key-wiz in campo), “Sea Voyage” è un tributo ai mentori svedesi, con sir Roine Stolt che non perde mai smalto. Si poteva concludere con un pezzo lento, invece “Impulse I” è un brano nervoso e ancora una volta zeppo di idee schidionate una dietro l’altra.
In definitiva Magic Machine è un regalo per tutti i progster amanti di partiture insane e falotiche. Si rivela superiore all’ultimo LMR (troppo prolisso e “impegnativo”) e se la gioca con la qualità messa in campo dal trio The Aristocrats. La produzione è migliorata, così la longevità del full-length, che resta su un minutaggio scarso (circa 40 minuti) ma intenso: per una band di nicchia come gli AES “Magic Machine” è l’album delle meraviglie, basta la copertina lisergica per capacitarsene.
Roberto Gelmi (sc. Rhadamanthys)