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10 album folk metal dalla Turchia

Di Elisa Tonini - 25 Ottobre 2024 - 16:00
10 album folk metal dalla Turchia

Riprendiamo il nostro viaggio nel metal in salsa etnica, passeggiando tra lo spirito arcaico eppure moderno della Turchia, nella penisola anatolica. In tal senso, c’è una scena musicale ricchissima, mettetevi comodi.

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Tempo addietro avevamo trattato un articolo sul folk metal kazako, questa volta andiamo in Turchia, il cui popolo condivide con i primi il ramo etnico turco (“turkic”)
Situata in un punto geografico strategico, l’Anatolia subì nel corso del tempo varie influenze. In tal senso, da citare quelle centro-asiatiche, arabe, mongole, persiane, greche ed addirittura celtiche. Questi elementi si possono di conseguenza trovare più o meno chiaramente nel metal, a volte infuso da tinte “arabesk“, dal sapore Ottomano. Tra la ricca scelta di strumenti tradizionali risalta particolarmente il bağlama (anche detto saz) seguito da altri strumenti come il kanun, ney ed il più moderno cümbüş. Ne risulta un fascino complesso e misterioso.

Una precisazione

Gli album qui sotto rappresentano per la sottoscritta il meglio che la scena folk metal turca possa attualmente offrire. Un’eccezione può essere rappresentata da musicisti turchi nati in Paesi stranieri e, naturalmente, si punta a privilegiare l’uso del turco come lingua cantata. L’ordine scelto si basa su quello alfabetico per band, e poi per ordine di uscita dell’album.

I fantastici 10 album folk metal dalla Turchia

Barış Akarsu

Nel corso della sua breve carriera, lo sfortunato Barış ha prodotto tre album, di cui uno postumo. Amatissimo in Patria, la sua musica sfoggia grossomodo una fusione tra AOR, hard rock e melodie tradizionali, inoltre ha sempre cantato in lingua turca. L’opera più meritevole per noi metallari è il full-length “Islak Islak”, più deciso nelle sonorità e più ispirato a livello compositivo.

Islak Islak (2004)

Un lavoro dall’animo grintoso eppure nostalgico, permeato da un’affascinante vena epica, sui cui domina la profonda ed elegante voce di Barış. Le sue calde linee vocali ed i cori ben si adattano allo spirito perlopiù diretto dei brani, ma capaci di virtuosismi ricercati. Notevoli le tastiere prog settantiano, mentre per quanto riguarda la componente folk, questa risulta perlopiù intessuta negli strumenti elettrici.
Da segnalare la trascinante “title track” – cover di Cem Karaca – la maestosa “Kimdir O” e, tra i pezzi più duri “Gel Gör Beni Aşk Neyledi”. Quest’ultima si distingue per l’uso evidente di percussioni tradizionali e di vocalizzi femminili.

Gültekin Kaan & diVan

I Gültekin Kaan & diVan sono un gruppo che unisce essenzialmente folk tradizionale anatolico con l’hard rock occidentale, appartenente al musicista e cantante turco-tedesco Gültekin Kaan Kaynak. Il loro è un sound opulento, attraversato da vari strumenti etnici fra cui bağlama, kanun e zurna, e reso frizzante dalla teatrale voce del loro leader.
Ad oggi la band ha prodotto tre opere, cioè “1001 Divan” (2011) “Sofra” (2012) e “Demod de Divan” (2023). Senza indugio, consideriamo però unicamente l’album “Sofra”, l’opera più ispirata e meglio prodotta.

“Sofra” (2012)

Fatevi avvolgere dal dal sapore fiabesco ed ipnotico di questo ottimo disco, un’opera dall’orecchiabilità arabesk ed allo stesso tempo infuso di grande tecnica strumentale. A mio gusto, i brani da segnalare sono “Hazine” – il più prog – “Ağlıyor İstanbul” – spirito notturno eppure luminoso- “Ne güzelmis” – combattivo e diretto – ed “Üsküdar”, il brano più fiabesco e sognante nella sua epicità.

Mezarkabul

Nati nel 1987 e pionieri del metal in Turchia, dove si fanno chiamare Pentagram. Noi però preferiamo chiamarli Mezarkabul anche per differenziarli dalla nota band americana. Partiti suonando thrash metal, il loro sound si è evoluto nel corso del tempo, attraversando anche territori folk metal, il cui album principe è “Anatolia”( 1997). Oltre a quest’ultimo ritengo opportuno inserire pure “1987” grandissimo live e sorta di “best of”.

“Anatolia” (1997)

Una rara perla folk metal medio-orientale degli anni 90′, insieme ai dischi degli Orphaned Land e dei Melechesh. “Anatolia” punta essenzialmente su un heavy classico dalle tinte gothic e colate doom, in cui sono integrate le calde melodie tradizionali turche. Occasionalmente fa capolino il bağlama ed il ney. La lingua è perlopiù in inglese, purtroppo, ad eccezione di tre canzoni, una delle quali è la versione turca della title-track ed una bella cover di “Gündüz Gece” di Âşık Veysel. La voce di Murat Ilkan (sorta di fusione tra Disckinson e Kotipelto) si distende luminosa ed intensa, amplificandone il lato inafferrabile delle tracce, ed è spesso supportata dall’intervento dei cori eterei ma anche corposi.
Un disco che per me ha essenzialmente canzoni memorabili, con una particolare preferenza per la strumentale “Time”, affascinante nella suo vorticoso misticismo. Da evitare come la peste “On the run”, per me fuori posto qualitativamente parlando.

“1987” ( 2007)

Doppio live album che celebra il ventesimo anniversario della band, tenutosi al Bostancı Gösteri Merkezi il 4 febbraio 2007. Quanto a resa del suono credo che i Mezarkabul rendano molto più dal vivo che su disco. Sono specialmente e le canzoni provenienti dall’album “Bir” (2002) e “Unspoken” ( 2001) quelle che a mio parere ne beneficiano di più.
Per dire, “Bir” cantata insieme alla combattiva e grezza voce di “Ogün Sanlısoy ( di cui tratto più sotto) ottiene un’ulteriore, granitica linfa trascinatrice. Lo stesso si può dire su “Bu alemi gören sensin” (che inizia al minuto 0.44 perché prima c’è “Rotten Dogs”), in cui dobbiamo particolarmente ringraziare le linee vocali del chitarrista Hakan Utangaç, veramente implacabili. Impossibile non menzionare la prestazione vulcanica dei Nostri in “Lions in a cage” e lo straordinario strumentale “For those who died alone”.
Le canzoni del periodo thrash metal sono a mio gusto molto meno interessanti.

Hayko Cepkin

Quando penso ad Hayko Cepkin, musicista – e attore- turco di origine armena, mi viene in mente la sua versatilità vocale (quasi una sorta di Peter Hamill). Attivo musicalmente dal 1997, pubblicò il primo album nel 2005 in cui anticipava i suoi intenti, ovvero un sound fortemente dominato dalle tastiere e dalla sua teatrale, caratteristica voce. Queste si distendono su ritmiche più o meno metal o hardcore di tendenza folk, creando uno stile futuristico, eppure esistenziale e nostalgico. Si può dire che ne sia incantata pure Anneke Van Giersbergen, che lo ebbe ospite nell’magico brano “Mental Jungle” scritto a quattro mani con Hayko. Su You Tube ci sono alcuni video in cui i due si esibiscono insieme, e  lei duetta nelle canzoni di lui. Cepkin ha all’attivo diversi album tra EP, full-length e singoli, tuttavia scelgo l’album “Sandık”, il più interessante a livello compositivo.

“Sandık” (2010)

Forse l’opera più equilibrata della sua produzione. Di primo impatto le canzoni possono sembrare algide ma in realtà sono ricolme di un’intensità che trascende il tempo. Per dire, un pezzo come “Gelin Olmuş” ti conquista con una danza suadente eppure triste tra arrangiamenti di archi, voce pulita e spirito gutturale.”Sahibi Yok” travolge invece con la sua grazia drammatica eppure luminosa, quasi una speranza. Altro pezzo che risalta particolarmente è “Doymadınız” il brano più più aggressivo, direi molto hard core nel suo incedere, ma profondamente metal nell’animo. Il growl di Hayko a mio parere è degno dei migliori cantanti death metal.

Ogün Sanlısoy

Musicista noto per aver cantato cantato in “Trail Blazer” (1992), secondo album – thrash metal – dei Mezarkabul, Ogün Sanlısoy iniziò tre anni dopo la carriera solista. Se vogliamo, un sound tendenzialmente più “commerciale” rispetto ai primi, ma non fatevi ingannare da questa definizione. La totale autonomia espressiva sia dal punto di vista vocale che nelle composizioni, ha fatto emergere la sua forte personalità, applicata ad un sound alternative-rock ma anche hard rock e metal. Naturalmente, per me sono da considerare gli album che riassumono l’animo roccioso e metalloso, ovvero “Ben” (2011) e “GIT”, EP uscito quest’anno.

“Ben” (2011)

Un bellissimo lavoro, fatto di canzoni che vanno dritte al punto eppure attraversate da raffinatezze strumentali e melodiche, che vanno oltre il lato folk in esse intessuto. Ogün Sanlısoy è un cantante sicuramente originale nel timbro, oserei quasi indefinibile nella sua età, tra un adolescente pieno di energia ed un adulto saggio ed anziano. Sì, oserei dire quasi vicino ad Alain Stivell per certi aspetti. Il suo stile passa alquanto agilmente da  un cantato pulito a quello gutturale che può rimandare al passato thrash metal. Sinceramente lo reputo efficace in entrambe le versioni, anche se vincono i brani più aggressivi e compatti. Segnalo in particolare il gioiello furioso della title-track, l’incendiaria “Anma Arkadaş” (cover del brano di Erkin Koray) e “Gidenlerden” l’hit del disco, dall’aria molto tecnologica. Il resto, scoprite da voi.

“GIT” (2024)

“GIT” pare continuare l’eredità dell’album “Ben”, aggiungendo un’ulteriore complessità vocale e compositiva. Nel primo caso, la voce pare più limpida che mai e, allo stesso modo, in grado di attraversare i meandri misteriosi dell’inconscio. Questa sensazione è grazie anche al frequente uso di intensi vibrato. L’umore della voce è assecondato dalle chitarre nonché i loro assoli e l’uso occasionale di strumenti tradizionali turchi come bağlama (“Daha Dur”) e ney (Geri dönme”). Insomma, “GIT” osa di più e piace moltissimo. I brani più di impatto sono certamente Daha Dur” ed “Elma”, dove la prima punta su un’atmosfera minacciosa e chitarre affilate come rasoi. D’altro canto “Elma” colpisce con un animo giovanile, linee vocali quasi rap-ate ed una progressione thrash. Non sottovalutate comunque anche la semi-ballad “Geri dönme”, che condensa la sensibilità di Sanlısoy.

Özlem Tekin

Nata in California da una famiglia turco-americana, Özlem si traferì in Turchia qualche anno dopo e divenne nel 1993 tastierista delle Volvox, in cui faceva parte anche Şebnem Ferah. Lanciatosi poi nella carriera solista, Tekin produce dal 2002 ad oggi pochi album e singoli, variando con i generi, dal pop, pop-punk ed al metal di stampo moderno. Quest’ultimo si trova unicamente nel bellissimo album “Kargalar” in cui esaltano le sua qualità vocali.

“Kargalar” (2013)

Sonorità moderne e corpose, in bilico tra industrial e alternative metal, costituiscono il tappeto sonoro su cui volteggia la voce di Özlem Tekin, una sorta di Sandra Nasić in versione più algida, esistenziale e penetrante. Il lato folk pare giocare un po’ a nascondino, tuttavia è perlopiù integrato nelle tracce e nelle linee vocali. E’ un’opera che rapisce (salvo i remix alla fine), specialmente la title-track, “Asker” e “Dünyam”. Le prime due sfoggiano al meglio l’eccellente epicità delle canzoni e la versatilità della cantante che eccelle anche su tinte gutturali e scream. Dünyam” rappresenta invece il suo animo più gentile, aggraziato ma tosto ugualmente.

Yaşru

Dapprima one-man band del matermind Berk Öner e poi band a tutti gli effetti, gli Yaşru hanno prodotto dal 2012 ad ora un totale di sei album. Partiti con un folk-doom cantato prevalentemente in pulito, hanno integrato nel corso del tempo sonorità più robuste, altre sperimentazioni ed il cantato gutturale. La vera costante sono le melodie affini a quelle dei popoli – turchi – dell’Asia centrale, utilizzando anche una varietà di strumenti tradizionali. Ciò potrebbe paragonare Berk a Quorthon e gli Yaşru nella loro interezza a dei Bathory del Medio-oriente. Considerando le caratteristiche di ogni album, nella loro discografia emergono “Öz”( 2014) ed
“Ant Kadehi” (2017).

“Öz” ( 2014)

Un gioiello fatto di atmosfere folk pregevoli, che seguono particolarmente le scale musicali e melodie dell’antico passato (prima del 10 ° secolo) dell’Asia Centrale, terra d’origine dei turchi anatolici. I testi sono in lingua turca eccetto “Bilge Kagan’nin sözü” “che è in lingua GökTurk, tratto dalle iscrizioni Orkhon. Le sonorità appaiono distese, malinconiche eppure solari e luminose, sensazioni arricchite dalla voce di Berk Öner con il suo timbro caldo e carismatico.
Da menzionare la già citata “Bilge Kağan’nın Sözü” che si differenzia da tutto il resto per il throath singing ed il cantato/recitato, accompagnato da uno strumento ad arco. Ci sono poi la vorticosa “Öd Tengri Yasar” e “Gecenin Türküsü”, brano dall’epicità più dinamica.

“Ant Kadehi” (2017)

Opera dalle sonorità ben più estreme del precedente, “Ant Kadehi” brilla per la notevole eleganza delle sue melodie, in chiave sia drammatica che sognante. Quest’ultimo stato d’animo è dato anche dall’espansione elettrica delle atmosfere, non solo dagli strumenti tradizionali. “Yalnızsın”, quasi un valzer nella ritmica, ne è uno squisito esempio. Ciò che travolge l’ascoltatore è tuttavia la forza maestosa di “Aşina” e la furia elegante di “Tek korkum”

Conclusioni

La scena folk metal turca è alquanto ricca e non è stato per niente facile scegliere, anzi è stata una vera lotta nella mia mente. Vi lascio qui sotto altri brani che possono rientrare nel filone, anche se il gruppo o l’artista in questione non fa metal in senso stretto.

Almôra – To live is to fight” a dispetto del titolo, il brano è cantato in turco. Una traccia dal tiro formidabile, quasi disperata eppure carica di determinazione, impreziosita da una voce femminile acuta che può ricordare Ann Wilson (Heart).

Funda Arar –Arapsaçı” un pezzo folk hard rock/aor di gran carattere, interpretato da una cantante arabesk/pop.

Şebnem Ferah –Can Kırıkları” title-track misteriosa e tagliente, forse la più folk dell’opera. Ascoltatevi comunque tutto “Can Kırıkları”, specie i brani “Okyanus” e “Delgeç”. Şebnem Ferah è una dei musicisti di punta della scena turca e la sua proposta varia tra sonorità pop, rock, hard rock e metal .

Şebnem Ferah – “Yeniden Doğup Gelsem” pezzo dal bellissimo tiro AOR/ hard rock ottantiano con anima folk e melodia pop, tratto dal debutto “Kadın”. Un lavoro disomogeneo nel tipo di sonorità proposte. Emergono tuttavia pure “Durma” e “Vazgeçtim Dünyadan”, affini a “Yeniden Doğup Gelsem”.

Şebnem Ferah – “Ben Şarkımı Söylerken“grande canzone folk hard-rock moderno ricolma di un’energia a suo modo vulcanica

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