9 album folk metal mongolo oltre i The Hu
Dopo Taiwan, un giro in Mongolia.
Proseguiamo con gli articoli di curiosità bizzarre con i nove album di folk metal mongolo…
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Lo sfavillante successo dei The Hu ha portato alla ribalta il folk metal della Mongolia, patria di Genghis Khan. Ben prima di loro però c’era già qualcun altro ad unire questo tipo sonorità, restando purtroppo ad un livello molto più underground. Si tratta di band provenienti soprattutto dalla Cina, specie dalla regione della Mongolia Interna. Questo’articolo quindi racchiude album folk metal (ed affini) di ispirazione mongola tratte da quei due luoghi, più un inserimento dalla Buriazia, i cui abitanti sono un gruppo etnico mongolo.
Una precisazione
Gli album qui sotto rappresentano per la sottoscritta il meglio che la scena folk metal mongolo possa attualmente offrire. Si tratta di opere fondamentalmente eterogenee come sonorità mentre a livello di idioma il cantato è relativo alla cultura mongola oppure cinese. L’ordine scelto si basa su quello alfabetico partendo dal luogo di provenienza, poi per band ed infine l’album. Quando ho inserito più opere di uno stesso artista ordino invece per data di uscita.
I fantastici 9 album folk metal mongolo oltre i The Hu
Buriazia (Russia)
Namgar
Namgar è un gruppo internazionale fondato nel 2001 e guidato da Namgar Lkhasaranova e fonde essenzialmente musica tradizionale buryata e mongola con elementi pop, jazz, folk, ambient ed art-rock. Si tratta di contesti sonori arditi nelle ritmiche e nelle sperimentazioni, in cui si staglia la splendida e virtuosa voce della leader. I full-length “Nomad” ( 2009) e Nayan Navaa (2021) possono essere definiti i lavori complessivamente più in linea con lo spirito metallaro, specie quest’ultimo.
“Nayan Navaa” (2021)
Una complessa base prog espande il sound selvaggio eppure elegante buriata, da cui emerge “When I walk on the Mountain” e, soprattutto la travolgente “Yaboo-Aidoo”
Mi risulta invece arduo apprezzare “Southern Mountain”, in quanto non amo le linee vocali bisbigliate. A livello internazionale Namgar potrebbe ricordare una sorta di miscuglio tra Bjork ed Hawkwind di “Space Ritual”
Mongolia Interna (Cina)
Ego Fall
Nati nel 2000 gli Ego Fall uniscono essenzialmente un tecnologico metalcore con il folk mongolo. Esordirono nel 2008 con l’acerbo ma interessante “The spirit of Mongolia”, per poi maturare notevolmente con “Inner M”. Quest’utimo e “Duguilang” sono sicuramente gli album più degni di nota
“Inner M” (2010)
Un sound moderno, dal sottobosco Dark Tranquillity si destreggia tra le lame taglienti ed arcaiche del morin khuur ed un cantato combattivo. Fatevi conquistare da pezzi come “Wind the horn”, “Brave heart”, “Under the Sulde” e “Back to the East”
“Duguilang” (2013)
La prima cosa che salta all’orecchio rispetto al precedente sono le sonorità grezze in termini di produzione. Vale decisamente la pena andare oltre questo “scoglio” perché a livello compositivo “Duguilang” è secondo me migliore di “Inner M”. Siamo su coordinate quasi thrash metal con suggestioni In Flames ed un’anima folk certamente epica ma se vogliamo più tradizionale. Assolutamente consigliati pezzi come “Behind lies” , “War-horse” e la semi ballad “The weeping camel”, malinconica eppure solare.
Hanggai
Fondati nel 2004 gli Hanggai uniscono musica tradizionale mongola con vari tipi di sonorità rock ma anche country. Il cuore del loro sound ruota attorno il morin khuur ed il tovshur, supportati poi dalle chitarre elettriche ed affiancati da altri strumenti e soluzioni tecnologiche. Dal punto di vista linguistico i brani sono cantati in mongolo ed in mandarino. Tra i loro album “Horse of Colors” è per chi scrive l’album di maggior interesse in termini di sonorità e scrittura dei brani.
“Horse of Colors” (2016)
Qui il folk mongolo si abbina ad un intrigante miscuglio tra hard-rock, AOR americano e pop creando brani diretti ma d’impatto ritmico e spirituale. Da segnalare assolutamente “Ali the Mother River/阿里河,母亲河” ( a mio gusto la più coinvolgente), “The Transistor Radio Made in Shanghai /上海产的半导体” e “The Rising Sun/初升的太阳.
Nine Treasures
Formati nel 2010 i Nine Treasures si fanno notare con il loro folk metal diretto e relativamente scanzonato che fa perno su un virtuoso morin khuur ed una scintillante balalaika. La loro è una discografia sostanzialmente coerente dal punto di vista stilistico ed i brani sono cantati in mongolo. Tra le varie opere proposte mi sento di consigliare indubbiamente l’omonimo album del 2013.
“Nine Treasures” ( 2013)
Si tratta di un’ opera epica su cui scende un velo atmosferico ed elettrico oscuro. Per chi scrive è il migliore in termini qualitativi, sia a livello di scrittura che di esecuzione. Da segnalare le avvincenti “Praise For Fine Horse” e la – relativamente – mistica “Sonsii”
Suld
Nati nel 2014 i Suld uniscono il folk mongolo con un metal dalle suggestioni moderne e massicce. Colpisce un cantato timbricamente basso ed un throath singing dal carattere quasi “rilassante”, imperturbabile. La presenza fissa del morin khuur ed a volte quella di altri strumenti tradizionali (fra cui yatga, tambura e doshpuluur) aggiungono un’ulteriore nota dinamica ma anche poetica. Al momento, l’opera più convincente dei Suld è quella che segue.
“City Rider” ( 2015)
Per chi scrive è l’album più ispirato del gruppo, infuso spesso di un’atmosfera notturna, a tratti cittadina. Non manca tuttavia l’eco di una natura selvaggia. Picchi dell’opera sono la tiltle-track, “Iron Beard” e “Suld”. La prima conquista particolarmente grazie al gioco tra morin khuur ed il basso mentre “Iron Beard” punta su un’epicità virtuosa. Infine “Suld” intriga con la sua furia avventurosa, a tratti thrash.
Tengger Cavalry
Nati nel 2010 come one-man band del povero Nature Ganganbaigal, i Tengger Cavalry hanno prodotto una notevole quantità di lavori tra album e singoli. Una musica che ha subito varie forme, tra una base black metal, death metal melodico ed acustica in cui si intrecciavano suggestioni mongole e centro-asiatiche. Questa prolificità si abbinava spesso all’animo capriccioso del loro leader che lo ha portato a fare scelte difficili da comprendere e da perdonare. Sto parlando del ritiro dal mercato delle versioni originali di alcuni album, fra cui il più che ottimo “Ancient Call” del 2014. Tutto ciò ha favorito una miriade di riscritture, aggiunte ed omissioni quasi mai ugualmente efficaci. A ciò si deve pure aggiungere il passaggio del cantato, da cinese all’inglese.
E’ altresì vero che la sua morte ha lasciato un vuoto enorme nella scena musicale ed il suo percorso avrebbe potuto avere moltissimi sviluppi validi. In base a queste considerazioni includo i seguenti album.
“Sunesu Cavalry” ( 2012)
Originariamente uscito con il titolo “Cavalry Folk” insieme all’album acustico “The Mantra”, “Sunesu Cavalry” è probabilmente l’album più sincero dei Tengger Cavalry. E’ l’unico ad essere rimasto pressoché identico ed a non aver subìto riarrangiamenti di sorta. Fondamentalmente è un album grezzo eppure ben prodotto, pieno della grinta rivoluzionaria ed orgogliosa di Nature in bilico tra black e death melodico. Da segnalare i brani “Galloping Steeds”, War Horse (2012) ed “Under The Wekin”.
“Blood Sacrifice Shaman” ( 2015)
Rimaneggiamento dell’album di debutto uscito nel 2011, con scaletta modificata. Il grezzo black si fa quindi ben più curato ed elegante, mantenendo un’affascinante aura oscura e toni epici. Degni di nota alcuni suoni sperimentali nel tessuto sonoro. Se vogliamo è un’opera più accessibile ma di grande valore. Da segnalare “Hero”, “The Wolf Ritual” e la title-track. Di “Hero” personalmente tendo comunque a preferire la versione del 2011, con cui conobbi i Tengger Cavalry. Era un pezzo fantastico grazie al suo incedere epico e travolgente.
p.s. Notate che “Ancient Call” presente su bandcamp d non è la versione originale del 2014
Mongolia
Altan Urag
Formatasi nel 2002, gli Altan Urag combinano sonorità tradizionali mongole con influenze moderne e sono considerati tra i pionieri del folk-rock mongolo. Usano strumenti quali morin khuur, ikh khuur, bishguur (corno tradizionale) e yoochin mentre a livello vocale si lanciano in khöömii (throat singing) e long song. Altra particolarità del gruppo è l’uso di strumenti tradizionali elettrici mentre altri sono acustici per creare vari livelli nel sound. Tra i 7 album pubblicati finora sono “Made in Altan Urag” (2006) e “Blood” (2009) ad essere di nostro interesse, opere in bilico tra Apocalyptica e suggestioni jazz alla “21st Century Schizoid Man” dei King Crimson. In particolare, per il pubblico metallaro è consigliato “Blood”.
“Blood” ( 2009)
Grazie ad un maggiore innesto elettrico è l’album più deciso del gruppo, anche se ha dovuto combattere contro “Made in Altan Urag” in termini qualitativi. Difficile resistere a pezzi come lo strumentale “Yesterday”, “Blue Mongolia”, “1-8”, “Seesaw” e “Kherlen River”, brani che conquistano con la loro emotività tumultuosa eppure intellettuale.. L’outro è l’unica cosa da bocciare, in quanto include un breve estratto di ciascuna canzone.
Conclusioni
Considerata la mancanza di materiale originale nei canali ufficiali non è stato possibile mettere “Ancient Call” dei Tengger Cavalry. Vi lascio altri brani ed altri album tratti a volte da canali non ufficiali che possono in qualche modo rientrare nel filone “folk mongolo”. Tra queste ci sono un paio di brani degli Hurd, considerata la prima band metal in Mongolia.
Hurd – Eh Oron
Hurd – Mongolooroo Goydog. Un pezzo fantastico per linee vocali e romanticismo dall’aria AOR
Hanggai – Xiger Xiger Una versione dalla carica assolutamente devastante
Enchantenka– 迷魂殿 – 哭泣的鄂伦春 Un album meritevole di ascolto di una one man band dalla Mongolia Interna
Altan Urag – “Blue Mark” dall’album “Made in Altan Urag”. Pezzo da urlo, trainato da poderosi toni bassi. Il brano che mi ha fatto più vacillare nella scelta
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