Speciale Death SS – The Trinity Of Steele: …In Death Of Steve Sylvester, Black Mass e Heavy Demons
THE TRINITY OF STEELE
(special sui primi tre dischi dei Death SS con due interviste vintage a corredo)
L’occasione, imperdibile, per tornare a parlare dei Death SS dei primordi la fornisce, succulenta, la Self, che poche settimane fa ha licenziato sul mercato le ristampe in picture disc di …In Death Of Steve Sylvester, Black Mass e Heavy Demons.
L’intenzione della stessa etichetta lombarda è quella, in futuro, di arrivare a riproporre tutta la discografia del combo pesarese-fiorentino in questa modalità. Ma non di solo disco in vinile colorato si tratta: ogni uscita è accompagnata da un poster di ragguardevoli dimensioni (in pratica della grandezza di quelli che campeggiavano, negli anni Ottanta/Novanta, sui muri dei palazzi per annunciare i concerti, vale a dire di un metro in altezza per settanta centimetri di larghezza con in fondo la fascia bianca per poter alloggiare il nome del locale, la data e le informazioni varie) che riproduce fedelmente il manifesto del tour che è seguito alla release del disco originario. Al solito, quando si tratta di Death SS e di Self, è garantito il value for money in termini di qualità realizzativa, cromatica e grafica, così da non deludere le aspettative degli esigenti fan della band.
In coda a questa tripla recensione (che abbraccia in un colpo solo l’intero trittico in picture disc), per poter assaporare a pieni polmoni l’aria pregna di attesa spasmodica che accompagnava gli ultimi mesi del 1988 e i primi del 1989, quelli contrassegnati dall’uscita di …In Death Of Steve Sylvester, sono riportate pari pari , anche a livello di foto utilizzate, le interviste realizzate da Vincenzo “Jamaica” Barone (da H/M numero 59 del gennaio 1989) e del compianto Klaus Byron (da Metal Shock numero 38, gennaio 1989) a Steve Sylvester.
DEFENDER TALES…
…In Death Of Steve Sylvester, Black Mass e Heavy Demons, rispettivamente del 1988, 1989 e 1991 incarnano la Trinity Of Steele della storia dei Death SS. Il loro periodo defender a tutti gli effetti, che tanto ha fatto sognare e godere lungo quegli anni, grazie anche a un look fottutamente in linea con l’heavy fucking metal prodotto e delle line-up dalla potenza siderurgica devastante.
…In Death Of Steve Sylvester incarna l’attesissimo e tanto bramato dai fan ritorno di Steve Sylvester e dei suoi sodali sulle scene dopo l’oblio avvenuto nei primi anni Ottanta, fra misteri e cose mai rivelate del tutto. Il suo suono è ruvido, senza dubbio perfettibile ma diretto e stupendamente metallico. L’artiglieria pesante messa in campo dai Death SS risponde ai nomi di “Murder Angels”, “Vampire” e “Werewolf”, tre autentiche cannonate di metallo fumigante che non fanno prigionieri. In dote al celeberrimo come back del 1988, oltre al classico dei classici “Terror” (il manifesto dei Death SS nel mondo) compare “The Hanged Ballad”, episodio unico ed inimitabile nella carriera della band, una stupenda perla nera mai eseguita dal vivo che rimarrà a memoria imperitura a testimoniare la sublimazione in musica del gusto per il macabro. Quello di classe finissima, s’intende.
Il poster 70 cm x 1 metro contenuto all’interno del picture di …In Death Of Steve Sylvester
Con il successivo Black Mass si assiste a un netto salto in avanti a livello di produzione e di suoni: i Death SS possono finalmente contare su una formazione “vera” e non, come nell’album precedente, su dei validissimi musicisti coinvolti per poter far uscire il disco o poco più. La band di Steve Sylvester nel 1989 esce allo scoperto con alcuni brani nuovi, inediti, al passo con i tempi e sorprendentemente duri, come nel caso di “Devil’s Rage”. La magia risiede nel fatto che le novità riescono a convivere insieme con vecchi cavalli di battaglia del tenore di “Horrible Eyes” e “Cursed Mama”.
“Black Mass”, la title track, si può considerare una suite horror adatta a una rappresentazione cinematografica, una vera e propria messa nera racchiusa fra i solchi multicolori del picture disc griffato Self che venne riproposta per la prima (e ultima) volta dal vivo a Milano, all’Alcatraz, durante il concerto dei Death SS in qualità di headliner dell’Italian Gods Of Metal 2008. Quella notte, ad accompagnare i suoni infernali di “Black Mass” sul palco, un groviglio di corpi nudi, sinuosi, fra i quali spiccavano quello statuario della “Queen Of Death SS” Dhalila e delle altre due graziose performer, Marcella e Linda. Pena la scomunica, impossibile non tratteggiare la dolcezza inquietante e mefitica sciorinata da Steve & Co. su “In The Darkness”, un altro grandissimo pezzo per un altro grande album griffato Death SS.
Il poster 70 cm x 1 metro contenuto all’interno del picture di Black Mass
Fatto salvo l’alto gradiente espresso su …In Death Of Steve Sylvester, il tasso di acidità dell’interpretazione vocale di Steve crebbe ulteriormente, conferendo ulteriore tonnellaggio luciferino ai vari pezzi di Black Mass. Nonostante l’evidente indurimento dei suoni, la consueta la dose di mistero e malignità venne regolarmente fornita ad ampie mani, sebbene non al livello del disco precedente, che fatalmente racchiudeva il meglio del periodo più buio e morboso della band e onestamente sarebbe stato compito improbo riuscire a superarlo.
A due anni da Black Mass, con una line-up completamente rinnovata, il gruppo invade il mercato con Heavy Demons, che ritengo tuttora (Anno Domini 2020) “l’album” per antonomasia dei Death SS. Il disco totale, senza punti deboli, quello della svolta che ha maggiormente dato una dimensione internazionale al gruppo di Steve Sylvester, affrancandosi, quantomeno per un po’, dall’affascinante ma ristretto status di cult band. Di botto viene abbandonato lo stile polveroso e retrò che fino ad allora aveva contraddistinto il loro messaggio sonoro e si vira verso un suono tremendamente HM, potente, a tratti speed, senza però rinnegare le fondamentali escursioni dark. A rimarcare il pensiero sempre controcorrente, autonomo e libero dei Death SS, Heavy Demons uscì fuori tempo massimo, in piena epoca di rivisitazione dell’heavy metal (inizio anni Novanta), non certo il periodo più favorevole per le sonorità power/classic.
Il poster 70 cm x 1 metro contenuto all’interno del picture di Heavy Demons
Il disco del ‘91 ebbe l’effetto di un fulmine a ciel sereno: in un momento che prometteva un’ubriacatura grunge con i controfiocchi i Death SS sublimarono la loro attitudine più tradizionale e tradizionalista all’interno di un capolavoro horror neo romantico dalla resa sonora roboante. I brani in esso contenuti divennero dei tasselli irrinunciabili nelle successive rappresentazioni dal vivo del gruppo: “Family Vault”, la sempreverde “Inquisitor”, “Lilith” (uno stupefacente connubio di melodia e potenza), “Baphomet”, “Peace Of Mind”, contenente uno dei migliori riff della storia deathesseesseiana e, per finire, l’inno generazionale “Heavy Demons”. I Death SS, nel corso della loro lunga carriera, non avrebbero poi mai più realizzato un album che si potesse accostare, per sonorità e attitudine, a Heavy Demons.
Inanellare uno dopo l’altro i nuovi picture disc di …In Death Of Steve Sylvester, Black Mass e Heavy Demons equivale a effettuare un salutare tuffo nel passato, in grado di raggiungere lo zenit del potenziale defender del gruppo. L’incredibile impatto delle splendide quanto inquietanti copertine avvinghiate ai solchi vinilici che le contengono è solo uno dei componenti che accompagnano questo affascinante viaggio nelle viscere di uno dei come back più clamorosi nella storia dell’Acciaio declinato in musica.
Buona contemplazione e ascolto.
HAIL
Stefano “Steven Rich” Ricetti
I N T E R V I S T E
Qui di seguito, in sequenza, le interviste a Steve Sylvester apparse sulle riviste H/M e Metal Shock nel gennaio del 1989.
1) Intervista tratta dalla rivista H/M numero 59 del gennaio 1989.
Buona lettura,
Steven Rich
DEATH SS – IL RITORNO DEI MORTI VIVENTI
INCONTRO CON I PESARESI MALEDETTI A POCHI GIORNI DALL’USCITA DEL NUOVO ALBUM. STEVE SYLVESTER SPIEGA A VINCENZO BARONE COME GLI INTENTI DELLA BAND SIANO RIMASTI GLI STESSI DEL 1977 E ILLUSTRA LE DIRETTIVE DELLA RESURREZIONE.
Uno spesso ed impenetrabile alone oscuro ha da sempre circondato le vicissitudini ed i vari incidenti che hanno caratterizzato fino ad oggi la storia dell’unica vera cult band italiana: i Death SS. Quando Paul Chain decise di sciogliere il progetto per proseguire la sua carriera musicale sotto la denominazione di Violet Theatre spostando nettamente anche il baricentro dei coinvolgimenti occulti della band, il nome Death SS sembra finire sotto un buono strato di polvere, dimenticato in qualche recondito angolo della memoria senza la benché minima speranza di riprendere corpo e vita.
Ma è stato lo stesso Paul Chain, involontariamente, a fare sì che il suo vecchio gruppo, da lui ripudiato perché ritenuto insano e pericoloso viste le troppo accentuate incursioni nel complicato universo dell’occulto e del diabolico, potesse trovare la via spianata per la resurrezione, avesse pronta la linfa vitale per tornare ad esistere più oscuro e misterioso di un tempo: la raccolta antologica “The Story Of Death SS – 1977/1984”, patrocinata e progettata dallo stesso Chain, è stata vendutissima mostrando come non si fosse in realtà mai sopito l’interesse per i pesaresi maledetti ed avvicinando inoltre molti nuovi arrivati in territorio Heavy Metal ad una realtà ormai parte del passato…
E’ ovvio quindi ricavare da tutto questo che spesso il peso dei passato non si può scrollare di dosso ed, anzi, agendo in maniera apparentemente incoerente – che stimolo si può avere a perpetuare un qualcosa che ha messo a repentaglio la propria stessa vita e si spergiura di temere peggio della peste?!? – si ottiene il solo risultato di rinverdire vecchi fasti altrimenti ignorati dai più. In tutto questo non va dimenticata la eminenza oscura Steve Sylvester, responsabile principale del coinvolgimento maligno dei vecchi Death SS, che fuoriuscì dal progetto ben prima che Chain lo sciogliesse definitivamente rendendosi conto che l’autentico spirito del combo viveva con l’ex singer Steve. Già dal lontano 1982 Sylvester si era allontanato, ed i Death SS avevano indiscutibilmente perso quell’alone e quella credibilità misteriosa che oggi a quasi sette anni di distanza, risulta intatta ed ancora tanto inquietante. I Death SS si sono riformati oggi sotto la guida dell’autentico sacerdote nero che li mosse anche ai primordi: Steve Sylvester è ritornato e si è nuovamente voluto circondare di personaggi legati alle più note vicende dell’orrore ed alle paure più infantili e recondite della natura umana: la Morte, il Vampiro, lo Zombie, la Mummia e l’Uomo Lupo sono usciti dai sepolcri ed hanno ripreso il loro posto nello scellerato proponimento di Steve che è qui per raccontarci quanto e successo o quanto stia per succedere…
HM – Perché abbandonasti il progetto Death SS nel 1982? La versione ufficiale è che ti tirasti indietro per approfondire i tuoi interessi occulti…
SS – Innanzitutto è il caso di specificare che i Death SS nel 1982 si sciolsero, non fui solo io a fuoriuscire: ci successero un sacco di cose negative, come ad esempio la morte del nostro bassista originario, e così decidemmo di lasciar perdere. Per un certo periodo il gruppo venne sciolto per volontà comune visto che la situazione ci stava sfuggendo di mano a causa delle pratiche esercitate da me e Paul: il tutto ci aveva stressato ed abbandonammo il progetto. lo mi trovavo completamente fuori di testa: avevo cominciato delle cose che, se avessi proseguito senza giusta predisposizione, mi si sarebbero potute ritorcere contro. Decisi così di perfezionarmi e di prendermi poi un periodo di riposo il più lungo possibile…
HM – E come mai hai deciso di ritornare?
SS – Volevo riprendere il discorso musicale lasciato in sospeso nell’82. Paul dopo un paio di mesi dallo scioglimento decise di riprendere il nome del gruppo, già abbastanza conosciuto negli ambienti underground, ma snaturò completamente l’attitudine dei vecchi Death SS e trascurò pure il fattore del look, da sempre stato parte integrante del progetto. lo oggi voglio riprendere il discorso cosi bruscamente interrotto e riportarlo sui binari e sulle direttive che ci mossero allora, quei canoni così evidenti nella prima facciata della antologia fatta uscire dalla Minotauro l’anno passato. II gruppo di Paul Chain dall’83 al 1984 non erano i veri Death SS! Il disco antologico ne è ampia testimonianza…
HM – E come si articola il sound dei nuovi Death SS, quelli di oggi?
SS – Abbiamo ripreso tutto lo spirito che dava forza a questo gruppo alle origini, si riprende in chiave più moderna e meglio arrangiata il discorso esposto nella prima facciata del disco antologico ed anzi, nel nuovo disco, ci sono ben tre brani del primitivo repertorio della band e cioè “Terror”, “Zombie” e “Murder Angels”. I Death SS di oggi sono il logico e coerente proseguimento di ciò che furono dal 1977 al 1982, al passo con i tempi ma legati sempre a quello che fu il Dark Metal degli anni 70 filtrato in un’ottica più attuale e dinamica. Cerchiamo di attingere da tutto ciò che è Rock senza crearci però specifici o restrittivi riferimenti…
HM – Senti, il fenomeno occulto nell’ambito del Metal ha ormai sorpassato il suo boom: come si pone oggi un personaggio come te nei riguardi dei gruppi legati a Satana che ancora insistono e di quelli facenti parte del cosiddetto White Metal o Christian Metal?
SS – L’occultismo, nel nostro caso parlerei di occultismo e non di satanismo, ci ha sempre profondamente coinvolto ed interessato e da parte nostra si è sempre vissuta una attitudine alla cosa estremamente coinvolta e sentita; nel 1977 la moda ancora non era scoppiata e noi già ci occupavamo di argomentazioni occulte vivendole dall’interno, parlandone attraverso esperienze fatte sulla nostra pelle e non sugli scarsi ed approssimativi elementi raccolti in qualche libraccio trovato per caso in una libreria neanche tanto specializzata. Abbiamo applicato alla musica una attitudine ed un interesse vissuto tutti i giorni e non certo viceversa! Le due fazioni di cui mi hai parlato sono due degenerazioni e falsificazioni di un qualcosa che magari in principio aveva un fondamento serio e rispettoso…
HM – E cosa pensi dell’attitudine di King Diamond?
SS – Come compositore mi piace molto. è autore di brani molto belli, specie se legati al periodo Mercyful Fate. Il suo modo di cantare, l’impostazione della sua voce può essere discutibile ma è una questione di gusti… A livello di attitudine all’occulto direi, analizzando alcune delle sue liriche, che è senza dubbio una persona che se ne intende, deve aver letto e studiato molto per trattare certi argomenti come fa, anche se non garantirei sulla veridicità totale delle sue apparenti convinzioni e credenze. Non saprei…
HM – Tornando ai Death SS, chi viene coinvolto oggi nel tuo progetto che persona deve essere?
SS – Deve trattarsi di gente fuori dal comune, senza dubbio; non necessariamente mostri di bravura ma persone con una certa apertura mentale e consce e consapevoli del proprio ruolo nel gruppo. Persone disposte a truccarsi ed a vestirsi come il gruppo richiede e quindi con grande dedizione e spirito di sacrificio; a livello di attitudine mentale devono essere un minimo in possesso di elementi che li rendano credibili anche se io non pretenderò mai un coinvolgimento pari al mio o tantomeno la condivisione incondizionata delle mie idee e del mio modo di fare.
HM – Hai accennato al look…
SS – Certo, è sempre stato e sarà sempre un elemento importantissimo nell’economia di gruppo dei Death SS. La nostra immagine sarà sempre curatissima e dal vivo offriremo uno spettacolo il più possibile vario e trascinante, con uno stage pieno di cose da guardare e seguire… Ci dobbiamo preparare quattro ore prima dell’inizio di ogni concerto e ciò, statene pur certi, dà i suoi bei risultati dal vivo.
HM – E l’album?
SS – Si intitola “…In Death Of Steve Sylvester” ed è già in tutti i negozi: contiene nove brani tra editi ed inediti ed è stato interamente prodotto e curato da me. Sulla prima facciata è presente un concept che unisce i cinque brani dedicati ognuno ad un elemento della band col personaggio che esso rappresenta; sulla seconda facciata le versioni definitive dei classici dei Death SS “Terror” e “Murder Angels” più altri due inediti di cui uno è la cover riveduta di “I Love The Dead” di Alice Cooper. E’ stato registrato a Firenze ed è uscito per la Discomagic. Ha una copertina molto curata ma shockante ed in piena armonia con quanto proposto musicalmente…
HM – Del panorama nazionale che ci dici?
SS – Sono stato fuori dal giro per parecchio tempo e non conosco molti gruppi: conosco solo quelle band con le quali si è condiviso il palco e che mi sono sembrate davvero ottime come i Sabotage, che mi hanno aiutato molto anche per la lavorazione dell’LP, o gli Strana Officina: tutta gente delle mie parti che mi è parsa valida e competitiva. Non esprimo giudizi sulla scena in generale perché non la conosco… In generale vedo che il panorama è in continuo sviluppo e spero che qualitativamente si stia progredendo di pari passo che quantitativamente: mi auguro solo che non siano in molti ad avere fretta ed a fare il passo più lungo della gamba!
HM – Già, poi s’offendono se li stronchi… Comunque ora dimmi: l’antologia curata dalla Minotauro ha avuto un certo successo e ciò ha in fondo dimostrato come l’interesse e l’affetto per il tuo gruppo non si fossero mai completamente sopiti…
SS – Da questo punto di vista mi ha fatto molto piacere che l’album sia uscito; tecnicamente è un prodotto deplorevole e scadente, ma è stato capace di tenere vivo il ricordo di una band che ha ancora moltissimo da dire e che forse, nel tempo, era stata travisata e distorta nei suoi fini.
HM – Beh, di sicuro i Death SS non hanno alle spalle un passato all’acqua di rose…
SS – Ci avvicinammo all’occulto con la curiosità e l’impeto giovanili, quasi come fosse un gioco. Poi ci siamo accorti di essere finiti in una spirale che non aveva via d’uscita ma della quale sapevamo pochissimo e avevamo perso ogni controllo. Ci sono successe realmente cose da film, abbiamo vissuto situazioni terribili e drammatiche, dopo il mio abbandono mi sono dovuto curare i nervi e la niente mentre Paul ha reagito in modo più radicale e si è allontanato rifiutando quanto accaduto nel passato… Paul ha perso un occhio grazie ad un puntale durante un rito al quale anch’io ero presente e certe esperienze scottano sempre: io ho voluto capire dove sbagliavamo e sono rimasto a studiare ed a riflettere su tutto ciò che ci aveva coinvolti. Il passato è passato e sono passati svariati anni… I rapporti con Paul Chain oggi sono sempre ottimi, ma se può evitare di incontrarmi lo fa.
HM – D’accordo: e così il discorso è definitivamente chiuso! Ti piacciono i Candlemass, il gruppo considerato l’erede indiscutibile dei primi Black Sabbath ed unici epigoni credibili del dark/doom metal più ispirato?
SS – Mi piacciono moltissimo! Ho da poco comprato sia il primo che il più recente “Ancient Dreams”. Hanno il solo grande difetto di essere un po’ ripetitivi: alla lunga stancano… A me piace molto variare, pur restando in un’ottica legata ad un filone preciso e distinguibile: abbiamo stili diversi.
HM – Non hai paura di essere accusato di essere tornato per calcolo più che per convinzione, visto il successo del vecchio materiale del tuo gruppo?
SS – Beh, il tornaconto è comunque pochino! Siamo pur sempre un gruppo italiano e non è che il margine di successo sia così allettante, non vedo proprio quale potrebbe essere questo enorme guadagno e convenienza!
HM – Cosa diresti a chi solo ora conosce i Death SS?
SS – I Death SS di oggi sono esattamente gli stessi del ’77 e quindi il prodotto, se si vuole accettarlo, lo si deve fare in blocco, senza il minimo problema: siamo gli stessi di allora! Tengo comunque a sottolineare che il mio gruppo non è una malvagia macchinazione portatrice di male e sventura: noi parliamo del male, delle cose misteriose nascoste nel buio, ma non vogliamo trascinare nessuno in chissà quale incubo e non siamo portatori di parole diaboliche o di messaggi spaventosi. Ci occupiamo solo degli argomenti che conosciamo meglio e che più ci interessano e coinvolgono!
Vincenzo “Jamaica” Barone
2) Intervista tratta dalla rivista Metal Shock numero 38 del gennaio 1989.
Buona lettura,
Steven Rich
IL GRANDE RITORNO DI UNA DELLE PIÙ INTERESSANTI CULT BAND ITALICHE. INTERVISTA CON STEVE SYLVESTER.
di Klaus Byron.
NELLA CRIPTA DEI DEATH SS
Abbiamo intervistato per voi colui che da sempre è stato considerato l’anima nera dei Death SS: Steve Sylvester. Arrivati all’appuntamento con qualche apprensione, dovuta all’inquietante alone che circonda questo personaggio, ci siamo imbattuti in un musicista dalle idee chiare e dai modi di fare compassati. Nel corso della nostra chiacchierata, abbiamo spaziato dai burrascosi momenti dei primi Death SS, sino al nuovo album che ha sancito il ritorno di questa enigmatica cult band.
Cosa hai fatto e cosa ti è successo in questi lunghi anni che ti hanno visto lontano dalla scena musicale?
SS – La mia momentanea uscita dal mondo della musica risale al 1982, quando i Death SS si sciolsero a causa delle pratiche occulte che facevamo io, e in parte Paul Chain. Eravamo molto giovani ed ingenui e ci buttammo a capofitto nel mondo dell’occulto, con convinzione ma senza esperienza e la dovuta cautela. Questa cosa ci creò attorno un certo alone nefasto, che andò via via peggiorando sino a portare il gruppo stesso allo stremo. In quell’anno accaddero una serie di eventi negativi: un nostro intimo amico, che era stato uno dei primi bassisti dei Death SS morì d’infarto subito dopo una seduta spiritica, qualche giorno dopo Paul perse un occhio a causa di un puntale che gli si rivoltò contro durante un rito malefico, e anche mia madre iniziò a sentire delle presenze strane in casa e decise di bruciarmi tutti i libri e il materiale che tenevamo nella sala prove sottostante. Io stesso rimasi scosso mentalmente e ho dovuto curarmi per un po’ di tempo. Paul nel frattempo si riprese e decise di continuare, mantenendo per motivi pubblicitari lo stesso nome, ma il periodo dal 1982 al 1984 è da considerare più che altro un suo progetto solista ed infatti quando si rese conto che le cose non erano più come prima, cambiò il nome in Violet Theatre e continuò per la sua strada, completamente opposta sia a livello scenico che ideologico.
Da parte mia, dopo essermi ristabilito, mi trasferii a Firenze riavvicinandomi alla musica e frequentando scuole per perfezionare il cantato. Il difficile è stato trovare dei validi musicisti che, oltre a saper suonare, fossero come me convinti di quello che facevano. In ogni caso, siamo riusciti a fare questo disco che penso esprima tutto il concetto dei Death SS dal ’77 al 1982, ripreso in chiave moderna. Si può parlare di una logica evoluzione del discorso iniziato una decina di anni fa.
I Testi di “…In Death Of Steve Sylvester” si possono definire di orientamento satanico?
SS – direi di no. Il nostro satanismo è una cosa diversa da quello ad esempio dei gruppi thrash. Noi possiamo parlare di Satana o del Male, ma sempre dal punto di vista di chi ha vissuto in prima persona queste esperienze. Ne parliamo senza incitare a fare nulla.
Quali sono stati secondo te gli elementi che hanno permesso ai Death SS di diventare una vera e propria cult band?
SS – penso che la gente si sia resa conto, dai pochi spettacoli che abbiamo fatto, soprattutto all’inizio, che noi non siamo i classici tipi che si travestono senza sentire profondamente la cosa. Hanno subito capito che si trattava di un qualcosa di sentito e vissuto.
In una precedente intervista, Paul Chain ha affermato che a quel tempo, attraverso i vostri riti, avete fatto del male a delle persone. Tu puoi confermarcelo?
SS – Innanzitutto non è così facile fare del male a delle persone. Potenzialmente sarei in grado di farlo, ma è una cosa che costa moltissimo anche a me stesso, per cui non è come si vede nei film o nei fumetti dove vedi degli stregoni che trafiggono delle bambole. Bisogna raggiungere un certo livello di conoscenza, che implica studi e sofferenze e quando sei arrivato puoi azzardarti a fare questo, però in ogni caso devi indirizzare una grossa energia che ti esce dal corpo e quindi ciò ti lascia svuotato. Si può far del male ma non è così semplice e ne deve valere per davvero la pena, nel senso che se uno non mi pesta i piedi prima, non vedo perché dovrei fare una cosa del genere.
Farete prossimamente dei tour?
SS – Io sono sempre disponibile a farne, però chiaramente un nostro concerto, con tutto l’apparato scenico, le persone che ne fanno parte, richiede un certo budget, una tenda, dei camerini e quindi non è così semplice come andare in piazza a suonare. Preferisco fare pochi concerti ma fatti bene!
Ritieni che il vostro album sia competitivo rispetto alle cose che vengono fuori dall’Italia e che sono più o meno dello stesso genere?
SS – a livello di originalità musicale è senz’altro competitivo perché sinceramente è una cosa non paragonabile ad altri dischi come ad esempio quello dei Candlemass o di altri gruppi che fanno del doom metal.
C’è qualche band del passato che ha qualche analogia a livello musicale o d’intendimenti, con i Death SS?
SS – è difficile fare dei nomi. Io ascoltavo i Black Sabbath, i Black Widow, però non ho mai cercato di copiarli. Come cultura musicale sono rimasto ai primi anni ’70, ma nei nostri testi parliamo di horror, satanismo e magia nera valutando le ripercussioni che queste cose hanno nella vita attuale e non come fiabe o film. Non penso che siano stati in molti a parlare di queste cose. Ho rischiato di finire in manicomio, ho subito degli esorcismi, ma niente a che vedere con il vomito verde che si vede al cinema. Più che altro qualcosa a livello psicologico. Comunque adesso sono qua!
Ci puoi dire qualcosa sui singoli pezzi in modo da presentarli anche a chi non ha ascoltato il disco?
SS – la prima facciata è occupata da una concept song di cinque pezzi, ognuno dei quali è dedicato ai singoli personaggi che compongono i Death SS. E’ tutto missato senza spazi bianchi. Sul retro c’è “Terror”, un vecchio pezzo riarrangiato in maniera moderna, così come “Murder Angels”. Poi c’è una ballata un po’ atipica intitolata “The Hanged Ballad”, che dura quasi nove minuti. Un pezzo arpeggiato lentissimo, con cori e violini. Segue un rock’n’roll satanico che parla di una persona che scopre dei cadaveri. Ritengo che sia un disco che per essere capito appieno abbia bisogno di più ascolti.
Secondo voci di corridoio pare che i primi demo dei Death SS fossero volutamente maledetti e chi ne entrava in possesso si portasse in casa qualcosa di nefasto…
SS – queste sono favole, perché non è logico che una persona faccia un lavoro che porta male a chi lo compra. Chiaramente, se uno fa un disco, ci mette dentro tutto se stesso e cerca di farlo al meglio possibile, quindi se si potesse vorremmo che portasse fortuna e non sfortuna a chi lo compra. Sarebbe davvero masochistico fare dei prodotti che portano sfiga!
Con questa rassicurante dichiarazione si chiude l’intervista a Steve Sylvester, il cui rientro discografico a quanto sembra è stato accolto con grande entusiasmo da parte dei kid italiani. Ci auguriamo che sia l’inizio di una seconda vita, più concreta a livello artistico e meno nebulosa della precedente. Prima che mi dimentichi: perché non provate a far girare il disco ala rovescia? Chissà se…
Klaus Byron
Articolo a cura di Stefano “Steven Rich” Ricetti