Manowar: ne abbiamo ancora bisogno? Due punti di vista
E’ di pochi giorni fa la notizia del tour finale dei Manowar; che piacciano o meno, che si accolga questa notizia con gioia o tristezza, davanti all’addio di una band tanto iconica ed in grado di generare sentimenti tanto contrastanti è difficile rimanere indifferenti.
Ma cos’hanno dato i Manowar al Metal? E cos’hanno ancora da dare? Quest’addio arriva troppo presto, troppo tardi o al momento giusto?
Abbiamo cercato di rispondere a queste domande con questo doppio articolo.
Perché abbiamo bisogno dei Manowar
TrueMetal: si chiama così questo sito, sì o no?
True Metal. Se c’è una band che ha preso quel concetto e – a torto o a ragione – ne ha fatto una bandiera, sono solo loro. I Re. I MANOWAR. Ne possiamo fare a meno?
Secret of Steel: lo stereotipo
Ma poi, “farne a meno” in che senso? A parte la questione de ritiro dalle scene (c’è chi dice o spera che non sia davvero così), la vera domanda è se si può parlare di Heavy Metal senza fare riferimento a una band come i MANOWAR. Piaccia o non piaccia, sono un caso unico nell’Heavy Metal.
In un genere musicale che ha partorito band fantastiche ed evoluzioni vere, dalla nascita alle forme moderne (e ogni volta siamo lì a chiederci come definirle, ameno in Italia), i MANOWAR sono stati l’emblema della staticità. I paladini del True Metal. Non solo in senso musicale (pure loro hanno aggiunto le orchestrazioni) ma concettuale, estetico, iconografico. Per Loro l’Heavy Metal non è solo un sound, ma uno slogan. “Heavy Metal – or no metal at all”. Hanno fatto di tutto per cucirsi addosso lo stereotipo più totale. Hanno forgiato, incarnato e – alla fine – subìto un concetto: l’identità. E ci sono riusciti.
Questo è il loro Segreto dell’Acciaio: nessuno è mai riuscito a imprimere nei propri fans un senso di identità forte quanto quello legato alla band di Joey DeMaio e soci. Come hanno fatto?
Army of Immortals: totale identificazione
I testi quasi sempre al plurale: “We are Warriors – Warriors of the World”.
Le continue dediche ai fans: “In our eyes, You’re Immortal”.
L’istituzione di un segnale da fare con le braccia durante gli show, il tributo ai tatuaggi dei fans, l’insistere sul gruppo e mai sul singolo. E infine un’icona, quella del Guerriero senza volto disegnata da Ken Kelly presente in ogni copertina da Kings of Metal in poi, che (per stessa ammissione della band) poteva rappresentare qualunque fan della band. E nel dare a tutto questo tinte epiche di battaglia eterna, scriveva Luca Signorelli ne “L’estetica del Metallaro”, «i MANOWAR avevano visto giusto».
Per tutta la loro carriera i MANOWAR hanno puntato le dita ai fans urlandogli: siamo una cosa sola. Noi e voi. Voi e noi. Anzi: c’era solo il “noi”.
Nel proprio cuore, ogni vero fan incallito dei MANOWAR sente che l’Army of Immortals è una presenza reale – e se ne sente parte. E se tutti ci credono, diventa vera.
Brothers of Metal: fratellanza
È nata così, dal sentimento di chi ci ha creduto, di chi si è sentito fra i “Brothers of Metal” (canzone pubblicata nel 1996 su Louder than Hell, ma in realtà composta 10 anni prima e registrata in una demo prima di Fighting the World). È tutto vero.
Una delle dimostrazioni oggettive migliori fu la prima “Fan convention” del 2005 a Geiselwind (in occasione dell’Earthshaker Festival). Non era una banale sessione di foto e autografi con la band – chi pensa che fosse solo questo non ne coglie il vero significato: fu un raduno di famiglia, fra persone che non si conoscevano eppure sembravano aver condiviso la vita intera. Chiunque può fare una sessione di autografi, ma nessun altro ha mai fatto una cosa del genere e nessuno potrà mai farlo. Perché – qua sta il punto -, sotto sotto, a nessun fan di altre band glie ne può fregare di meno di conoscere altri duemila come lui. I MANOWAR dimostrarono che quel legame c’era davvero, che non era solo il titolo di un brano. Non provateci nemmeno a dire a un fan dei MANOWAR che “quella è solo musica”: vi ride in faccia.
Number One: l’autocelebrazione
Penso che i MANOWAR siano l’unica band ad aver incluso nel proprio sito un’intera sezione dedicata ad autocelebrare i propri primati. A partire dal guinness per il volume più alto on stage, raggiunto e doppiato. E poi: il concerto da 5 ore (e 1 minuto – 47 canzoni in scaletta) a Kavarna nel 2008, il primo contratto firmato col sangue, i primi a registrare in 18 lingue diverse (!!!), la prima metal band a produrre un cd un super-audio e dolby5.1 eccetera. L’intera carriera dei Re è stata quella di una band che ha continuato a propagandare la propria differenza dal resto della scena. A un solo scopo: giustificare la Corona di Sovrani dell’Heavy Metal.
Four Metal Kings: e poi, certo, c’è la provocazione
Una band che si autoproclama Sovrana sa benissimo che, per ogni fan disposto a onorare quella Corona, ci sono 10 haters pronti a deriderla. E Joey è un MAESTRO della provocazione. Fin dai tempi di Into Glory Ride (e del True Metal), i MANOWAR hanno tracciato un solco: noi di qua, tutti gli altri di là. True contro false, posers & wimps.
“Other bands play – MANOWAR KILL”.
Sono stati accusati di machismo, nazismo, propaganda della violenza e della guerra e chissà che altro. Quando si gioca una carta del genere, la scelta non ammette ripensamenti. Per i MANOWAR la provocazione è una colonna portante. Col risultato di diventare una band più odiata che amata. Simbolo di un Heavy Metal oltranzista per definizione, bersaglio di sfottò perfino per chi non li ha mai sentiti. I fans dei MANOWAR sono additati da tutti (gli altri) come i peggiori, isterici, fanatici. E fieri di esserlo.
Heart of Steel: la Potenza
“Per tutta la mia vita ho avuto il culto della potenza” (Joey DeMaio, 1983). Tutto ciò che ho detto fin qua è stato il contenitore. Il contenuto, testi e musiche, è PURA POTENZA – ABSOLUTE POWER. La voce di Eric Adams, vero marchio di fabbrica dei MANOWAR, è indiscutibilmente una delle più belle di tutto l’Heavy Metal. La forza di quel singer sta soprattutto nell’aver portato le liriche scritte da Joey a un livello di pathos che pochi, ma davvero pochi, possono eguagliare. Le note, le parole, la voce. Solo così si spiega Heart of Steel: l’inno e il “manifesto” del concetto manowariano di battaglia senza resa.
Battle Hymns: l’Epic Metal
Ci voleva un bel coraggio, nel 1983, a pubblicare una copertina come quella di Into Glory Ride, un’immagine lontanissima dal mainstream. Eppure oggi quella copertina è il cardine di ciò che si chiama Epic Metal.
Quello di Epic Metal è un concetto sconosciuto all’80% dei metal fans. E se non fosse per quella colonna del giornalismo HM italiano che risponde al nome di Beppe Riva, forse a nessuno sarebbe venuto in mente di chiamare così la musica dei MANOWAR (prima di allora pare ci sia solo una auto-attribuzione di Mark Shelton, fatto di cui però non ho traccia ufficiale). Un genere su cui esiste grande confusione anche tra gli appassionati, e che però qualche punto fermo ce l’ha: una pugno di band nate negli 80’s come Manilla Road, Heavy Load, Cirith Ungol (redivivi), Virgin Steele, Warlord eccetera, e un pugno di band che hanno quasi resuscitato il genere da metà degli anni ’90 in poi come DoomSword, Battleroar, Wotan, Holy Martyr, Atlantean Kodex eccetera.
Capostipiti, i MANOWAR con la loro Battle Hymn. Che per me è, era e sarà sempre la canzone più bella della storia della musica.
Carry on, my sons – Forever carry on
Ecco, i MANOWAR hanno fatto tutto questo. Un connubio unico nell’HM di identità, attitudine, legame coi fans, ego e potenza. Nessun’altra band può vantare un peso pari al loro, nei cuori dei propri fans. Anni fa gli Hammerfall (band che ha giocato MOLTISSIMO su un’iconografia simile ai MANOWAR, soprattutto nella prima parte della carriera) fecero uscire un disco che si chiamava “Legacy of Kings”, quasi un’allusione esplicita. Chiediamocelo: chi raccoglie l’eredità dei Quattro Re?
Nessuna band esistente. Ma qualcuno c’è.
Musicalmente il loro sound ha fatto sicuramente dei proseliti (se non espliciti cloni), ma la loro eredità è un’altra. È un’armata di fans che andranno avanti per decenni a chiamarsi brothers & sisters of Metal. Che lo saranno per sempre e che non dimenticheranno mai chi ha regalato loro questa cosa meravigliosa. No, non c’è dubbio: nessuno, mai, sarà più come loro.
Dal più profondo del mio cuore – a Joey, Eric, Ross, Scott, Karl, Rhino, David, Donnie, io posso solo dire: GRAZIE.
Marco “Dreki” Turco
Perché non abbiamo più bisogno dei Manowar
I Manowar si sciolgono.
I Manowar faranno un ultimo gigantesco tour e poi si ritireranno.
Questa notizia, diffusa dalla band pochi giorni fa, giunge certamente inaspettata; sebbene i Manowar non facciano tour mastodontici sono sempre in attività, fanno sempre concerti, pubblicano live e negli ultimi anni si era parlato anche di un nuovo studio album.
Quando una band di questa caratura scompare dalle scene c’è sempre almeno un po’ di malinconia: che piacciano o meno i Manowar sono una band che ha fatto la storia, che con un certo modo di fare a creato un’iconografia che si è legata indissolubilmente al Metal, che viene da un periodo storico quasi “leggendario” per la nostra Musica preferita.
Ma a 36 anni dalla formazione della band e davanti all’imminente ritiro bisogna chiedersi: abbiamo ancora bisogno dei Manowar?
Cominciamo dall’inizio: nei primi anni ’80 i Manowar si ricoprono di pelliccia e proclamano il Verbo del Metallo.
Oggi ci può sembrare ridicolo, e anche allora magari a qualcuno lo sembrava, ma in un epoca in cui i metallari erano degli outsiders, in cui mettersi il chiodo e farsi crescere i capelli ti rendeva un criminale e magari anche un satanista, dire che “Ehi amico, se ascolti Metal non sei solo, ci siamo anche noi; se ascolti Metal non ascolti solo la mia stessa musica, sei proprio un fratello” era qualcosa di notevole.
E questi testi andavano insieme a della musica di grande qualità.
Avanti veloce fino ad oggi.
Il Metal è stato sdoganato alle masse, le popstar girano con magliette dei Metallica e sperano di “essere i prossimi Iron Maiden piuttosto che la prossima Madonna”, H&M vende le magliette degli Slayer e le accuse di satanismo al massimo provocano una risata.
Davanti a questo panorama qualcuno ha bisogno di sentirsi dire che siamo tutti “Fratelli del Metallo”? Qualcuno crede davvero che “se non ti piace il Metal non sei mio amico” (dal testo di “Metal Warriors”)?
Bisogna dirlo: oggi i testi dei Manowar sono obsoleti e, dopo essere rimasti immutati per più di 30 anni, noiosi.
E a forza di proclami e accuse, tra un poser qui ed un poser lì probabilmente considererebbero pure Lemmy un poser; negli anni ’80 questi discorsi potevano avere un senso, o quantomeno essere divertenti, ora, per di più fatti da dei sessantenni, sono solo ridicoli se non tristi.
Va bene, va bene, stiamo parlando di musica, andiamo oltre i testi…cos’hanno fatto i Manowar negli ultimi 20 anni?
Proprio vent’anni fa usciva “Louder Than Hell”, primo disco con Karl Logan alla chitarra; Logan che, pover’uomo, in vent’anni ha registrato tanti album con i Manowar quanto la band ad inizio carriera aveva registrato in tre anni.
Se è vero che la qualità viene prima della quantità è altrettanto vero che è un’impresa ardua se non impossibile trovare qualcuno che classifichi uno degli ultimi quattro album tra i migliori sei-sette, su undici, della band.
L’ultimo album, “The Lord of Steel”, l’esempio più recente di output creativo dei Manowar, arriva nel 2012 dopo 5 anni dal predecessore e viene stroncato dalla maggior parte della critica e dei fan, anche i più die-hard.
E se non bastasse un album mediocre, ad essere buoni, uscito dopo un’attesa di ben 5 anni, pure le modalità in cui è uscito sono una scelta inspiegabile: l’album esce in formato digitale e in allegato a Metal Hammer a giugno 2012 per poi uscire normalmente solo ad ottobre dello stesso anno.
Le prime due versioni mixate in un modo e la terza in modo diverso, quasi a correggere il brutto e tanto criticato mixaggio delle prime versioni.
Però tra il 2002 ed il 2009 hanno pubblicato 8 DVD.
Poi Joey DeMaio ha deciso che aveva bisogno di fondare una sua etichetta.
Potevano farsi mancare il festival? Certo che no, e via ad organizzare l’Earthshaker Fest ed il Magic Circle Festival.
Bene, adesso magari si possono concentrare sulla nuova musica…no! Riregistriamo i capolavori della band (e sottolineo il “capolavori” per far capire quanto fosse necessaria quest’operazione).
Così ne 2010 esce la riregistrazione di Battle Hymns, Battle Hymns MMXI (perché si chiama 2011 se esce nel 2010? Non ci è dato saperlo), e nel 2014 quella di Kings of Metal, Kings of Metal MMXIV.
Verrebbe da chiedersi, anziché portare avanti tutte queste belle iniziative non potevano concentrarsi di più sulla musica nuova?
Verrebbe da pensare che tutte le belle parole sul “difendere il Vero Metallo” vengano messe in secondo piano quando si tratta di fare soldi; d’altronde un mio collega raccontava già anni fa di Joey DeMaio che, in una telefonata di 4 ore con un promoter, non aveva mai nominato i Manowar ma continuava a riferirsi alla band come al “prodotto”.
“Però live spaccano!”
E’ vero, live i Manowar sanno ancora dire la loro, ma bisogna anche fare i conti con la legge della domanda e dell’offerta.
Se i Manowar hanno ancora qualcosa da dire dal vivo, non sono più così in tanti quelli interessati ad ascoltarlo.
Dal 2005, dopo due anni di pausa dai concerti, ad oggi nell’anno in cui hanno fatto più concerti ne hanno fatti 23, un calo notevole rispetto agli anni precedenti.
Se facciamo un confronto, i Black Sabbath, 10 anni più vecchi e con il chitarrista malato di leucemia, nel 2013 ne hanno fatti 54 e nel 2016, con mezzo tour ancora davanti, ne hanno fatti già 25.
Nel 2014 il tour americano è stato spostato, ufficialmente perché i Manowar stavano iniziando a lavorare ad un nuovo album, in realtà perché non avevano venduto abbastanza biglietti.
Del nuovo album ad oggi non c’è traccia, ed è lecito credere che con questo imminente ritiro non lo sentiremo mai.
Insomma, la situazione non è rosea in casa Manowar: l’ispirazione se c’è è poca, i concerti si fanno più scarsi e pure i fan sembrano essere sempre meno (e si può fargliene una colpa?).
Con queste prospettive un addio sembra la mossa migliore che possano fare.
Un grosso tour che richiami tanta gente per l’attrattiva di essere l’ultimo.
Un addio alle scene fatto da una band ancora capace dal vivo, senza arrivare a trascinarsi sul palco malati o senza voce.
Un tour finale che non ha bisogno di un Axl Rose della situazione per portare a termine un ultimo tour arrancante.
Se negli ultimi (tanti) anni i Manowar hanno fatto delle scelte artistiche e commerciali criticabili, appendere la chitarra al chiodo potrebbe essere la mossa migliore che fanno da tanto tempo.
Davide Sciaky