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POTERE E GLORIA – Biografia Dialogata Dei Saxon

Di Dwight Fry - 12 Ottobre 2021 - 7:04
POTERE E GLORIA – Biografia Dialogata Dei Saxon

«Guarda chi si rivede! È da un po’ che non ti si legge in giro.»

«Che vuoi farci. Un po’ l’estate, un po’ il vecchio PC che ha tirato le cuoia…»

«Va beh, ma tu sei proprio sparito. Neppure un articoletto…»

«Ne avevo iniziato uno sui SAXON, mesi fa, poi l’ho lasciato lì. Troppo lungo. Volevo proporlo ai tipi di True Metal ma per pigrizia non l’ho finito. Al massimo ci rimetto mano dopo che il gruppo avrà pubblicato il nuovo album.»

«I Saxon devono pubblicare un nuovo album?»

«Così pare. Spero che sia migliore dell’ultimo.»

«Non ti è piaciuto?»

«“Thunderbolt”? Non mi ha detto nulla, più che altro, ma dev’essere un mio problema perché lo hanno promosso un po’ tutti. Poi lo sai come funziona, se stravedi per un gruppo la delusione è maggiore.»

«Li ascolti da molto?»

«Da metà anni ’90. Amore al primo riff. Solo che al tempo non era facile reperire informazioni, trovare gli album. E se ti eri perso gli anni ’80 per via dell’età, se certi album non li possedevi, la strada era in salita. Sai, senza internet…»

«Dovevi beccare il negozio giusto…»

«O affidarti a qualche fratello/amico più grande. Grazie alle riviste scoprii comunque che i Saxon arrivavano dalla working class inglese e questo me li rese simpatici: Biff Byford, che era partito con l’idea di suonare il basso e poi si è ritrovato dietro al microfono, lavorava in miniera. Graham Oliver in una fabbrica.»

«Come Tony Iommi

«Esatto. E come Tony Iommi, anche lui perse la falange di un dito in un incidente. Fu un brutto colpo. Pensò di mollare, vendette pure la chitarra.»

«Poveraccio…»

«Per fortuna l’altro chitarrista, Paul Quinn, lo convinse a tener duro. Paul suonava con Biff in una band chiamata Coast, quando arrivarono gli altri tre divennero i Son Of A Bitch, nome col quale non avrebbero mai sfondato.»

«Ho letto in giro che Lemmy, al momento di scegliere un nome per i Motörhead, rinunciò a chiamarli “Bastard” su suggerimento del loro manager. E non era un termine chissà quanto offensivo. Figuriamoci “Son of a bitch”.»

«Esatto. Di ‘sti tempi vendono magliette con la scritta “slut” e nessuno si scandalizza, ma all’epoca certi appellativi potevano crearti dei problemi, se li sceglievi come nome di una band. Comunque Biff e gli altri alla fine fecero la scelta giusta, cambiarono il nome e pubblicarono il debutto omonimo, “Saxon”, nel 1979. È uno dei primissimi album della NWOBHM.»

«Com’è?»

«Non se lo filano in molti, nelle retrospettive, a me invece piace un sacco. È un po’ strano: inizia con una strumentale e poi piazza un brano lento, oggi non lo farebbe nessuno. Inoltre ha una produzione orribile, da demo, per fortuna le versioni remaster suonano meglio. L’etichetta, la francese Carrere, non è che avesse tutti ‘sti soldi. Però la band aveva stoffa. E poi c’è ‘Stallions of the Highway’, nel debutto, anche se per me la vera perla è ‘Militia Guard’, in cui sembravano i nuovi Wishbone Ash

«Mai sentita. Sarà che quando uno chiede consiglio, ti nominano sempre le canzoni degli album successivi.»

«Beh, è giusto così. “Wheels of Steel”, “Strong Arm of the Law” e “Denim and Leather”… aggiungi pure il live “The Eagle Has Landed” dell’82… sono bellissimi. Roba seminale, se ascolti gli ultimi novanta secondi di ‘Machine Gun’ e l’assolo di ‘Princess of the Night’ capisci da dove sono partiti i Metallica

«Ho visto un video in cui il cantante dei Saxon è sul palco con loro.»

«Sì, suonano ‘Motorcycle Man’. Quel tipo di canzone veloce, ai Saxon, all’epoca riusciva benissimo, se ti capita ascolta “Power & the Glory”.»

«La canzone?»

«Sì, ma anche il resto dell’album. È il primo con Nigel Glockler alla batteria, uscì nell’83.»

«Prima chi c’era?»

«Pete Gill, che poi entrerà nei Motörhead per registrare “Orgasmatron”.»

«Saxon e Motörhead erano amici, mi pare.»

«Hanno condiviso il palco tante volte. Di recente i Saxon li hanno pure omaggiati con un brano, ‘They Played Rock And Roll‘, che trovi su “Thunderbolt”. Gill però si è sempre lamentato del modo in cui fu allontanato dai Saxon, quindi credo che nei Motörhead si sia portato dietro del rancore nei confronti dell’ex-band.»

«Come mai fu allontanato?»

«Si era infortunato alla mano e i Saxon, che avevano già assunto il sostituto, quando guarì non lo ripresero con loro.»

«Begli amici!»

«Magari volevano licenziarlo da un po’ e l’infortunio alla mano era solo un pretesto. Chissà. Pare che in realtà ci fossero questioni economiche, di mezzo. La cosa strana è che in seguito Gill litigò pure con Lemmy.»

«Perché?»

«Un po’ perché, parole sue, Lemmy pensava a sfondarsi di anfetamine mentre lui si faceva il culo in studio dietro alla batteria. E poi perché Lemmy, in seguito, mise in giro la voce che Gill fosse gay. Una probabile conseguenza del litigio.»

«Non me lo vedo, Lemmy, a fare il gossipparo.»

«Eppure è successo. Gill definisce sia Lemmy che Biff “dei bastardi”, in una vecchia intervista pubblicata da Classix Metal.»

«E tu gli credi?»

«Non me ne frega niente, in tutta onestà. So che Lemmy e Biff vengono considerati due signori, nell’ambiente, ma non spendo soldi in CD e magliette solo perché un musicista si comporta da signore. Non possiamo stare simpatici a tutti, né tutti possono starci simpatici. E poi, a chi non è capitato di dire qualche stronzata, nella vita? Sta di fatto che quando Gill uscì dalla band, i Saxon realizzarono un album che inizia con ‘Power & the Glory’ e finisce con ‘The Eagle Has Landed’. Bastano quelle due canzoni a giustificare la spesa, se uno va dietro alla musica fisica. Comunque per me non c’è neppure un brano debole in tutto l’album, lo considero all’altezza dei tre più famosi.»

«Ma è in quel periodo che andarono a Sanremo?»

https://www.youtube.com/watch?v=i09wBg3uQXg

«Sì, nell’83.»

«La prima volta che l’ho letto in giro pensavo fosse uno scherzo.»

«Se sei un professionista, suoni dove ti chiedono di suonare. Ti pagano apposta. Poi quelli erano altri tempi, l’heavy metal classico era popolarissimo. Una cosa del genere oggi sarebbe impensabile.»

«Quindi non ci sono stati altri gruppi metal, a Sanremo?»

«No. Al massimo qualcuno hard rock: Europe, Bon Jovi, Def Leppard… Ma al tempo i Saxon erano un gruppo 100% heavy metal, infatti quando iniziarono a cambiare pelle i vecchi fan li abbandonarono. Comprensibile.»

«Va beh, mica un gruppo deve suonare per forza sempre le stesse cose…»

«Restare nei dintorni di un genere non significa suonare sempre le stesse cose. Comunque io intendevo altro.»

«Cioè?»

«Che se passi dall’heavy metal al rock melodico, è normale che i fan dell’heavy metal possano restare freddini. Ok, all’epoca si esagerava, non dico di no. Bastava poco per essere accusati di tradimento. Però a quei tempi “essere metallaro” aveva un altro significato, ed è inutile valutare col metro di oggi una scena che non c’entrava una mazza con quella del 2021. Tra l’altro i Saxon iniziarono la transizione con un album che, molto semplicemente, non era all’altezza dei precedenti.»

«Sarebbe?»

«“Crusader”, nel 1984. Di solito i fan ricordano giusto la title track, di quel lavoro. C’è chi la considera un gioiello, a me piaciucchia e basta. Quella sorta di epic metal riusciva meglio ad altri.»

«Ma si diedero all’epic?»

«No, il resto dell’album non c’entrava niente con quelle sonorità. Che poi nessuno parlava di “epic metal”, nel 1984. È un termine che è stato coniato dopo. Il resto dell’album era parecchio allegro, oscillava tra hard rock e rock ‘n’ roll, con giusto qualche puntata nell’heavy metal, ma niente di speciale. Pur non essendo un brutto lavoro, per me è quello meno entusiasmante dei Saxon, fin lì, in cui tra l’altro già si percepisce la voglia di conquistare gli americani. Se ascolti un pezzo come ‘Rock City’ ti pare di sentire i Kiss e ‘A Little Bit of What You Fancy’ ha un coro che pare il Rocky Horror Picture Show. Se poi un brano lo intitoli ‘Sailing to America’, si capisce dove vuoi andare a parare. “Innocence Is No Excuse”, l’album seguente, calò la maschera e mostrò in modo plateale l’intenzione della band, quella di conquistare gli Stati Uniti a suon di class metal e ammiccamenti glam. Basta vedere la copertina, anche se per anni ho pensato che la ragazza sulla cover reggesse una saponetta e non una mela. Chissà se sono l’unico.»

  

«E il tentativo ebbe successo?»

«Macché. Non entrarono neppure nella top 100 di Billboard, nonostante fosse la EMI a spingerli. Tra l’altro avevano cambiato immagine, adeguandosi alle tutine e ai colori sgargianti. Il Biff Byford del periodo è una roba inguardabile. Il bassista storico della band, Steve Dawson, mollò subito dopo. Si dice su insistenza della moglie, che non sopportava i tour estenuanti del marito, ma il declino del gruppo deve aver facilitato quella scelta. Il classico disco-flop, insomma.»

«Eppure non era così brutto, no?»

«Sonorità del genere non mi fanno impazzire, i miei Saxon sono quelli di altri album, però “Innocence” si difende bene. Oggi c’è chi lo spaccia per un capolavoro, lo sai che con internet le mezze misure si sono perse. Per me non lo è, tuttavia lo ritengo superiore anche ai due lavori successivi, “Rock the Nations” e “Destiny”. Si capisce: Dawson era il songwriter principale, non è che lo rimpiazzavi dall’oggi al domani. In “Rock the Nations” qualcosa di buono c’è, comunque. ‘Battle Cry’ è uno dei miei pezzi preferiti dei Saxon.»

«E “Destiny”?»

«Una lagna, con tutte quelle tastiere e quei suoni AOR. Il pezzo migliore è una cover, il che è tutto dire. Poi la sessione ritmica era cambiata… per carità, no.»

 

«Ma la EMI se li è tenuti per tre album, i Saxon?»

«Suppongo lo prevedesse il contratto. Poi in ogni caso sono passati alla Virgin.»

«Un’altra major…»

«Appunto. Non credo facesse tutta ‘sta differenza. Il problema è che, come ha sempre detto Biff, non puoi vendere la Coca-Cola agli americani. Sì, i Def Leppard ci sono riusciti, però diciamolo: la loro vera natura vien fuori negli album più melodici. Di strettamente “metal” hanno sempre avuto poco.»

«Giusto il primo album.»

«Che tra l’altro è bellissimo. Io penso che alla fine si tratti di assecondare il proprio DNA. Se lo tradisci per calcoli commerciali puoi anche scrivere qualcosa di buono ma prima o poi la tua natura ti chiede il conto.»

«Come fecero a sopravvivere? Voglio dire, se non conquistarono nuovi fan e persero quelli vecchi…»

«A salvarli fu Nibbs Carter, bassista nella media ma buon songwriter e animale da palcoscenico. All’epoca del suo ingresso aveva solo 23 anni, Biff andava per i 40. Eppure gli venne data fiducia. “Solid Ball of Rock”, per metà, l’ha scritto Nibbs. Infatti suona fresco e potente. Nel successivo “Forever Free” il suo contributo venne ridimensionato, sarà pure per questo motivo che non convinse molta gente. Non è proprio brutto; diciamo senza infamia e senza lode. Meglio il disco successivo, “Dogs of War”, che poi è quello con cui li ho conosciuti.»

«Che anno era?»

«Il ’95 o il ’96, l’album era uscito da pochi mesi, ricordo che MTV e VideoMusic ogni tanto mandavano in onda il video della title track. Gran pezzo. Diciamo che nella prima metà degli anni ’90 fecero pace coi vecchi fan, d’altronde la situazione stava palesemente cambiando.»

«Nell’heavy metal?»

«Nella musica in generale. Negli USA avevano già sfondato i gruppi di Seattle, quelli della scena neo-punk e quelli nu metal. Generi diversi ma di enorme successo. Pensa che in appena otto mesi, tra febbraio e ottobre del ’94, uscirono “Superunknown” dei Soundgarden, il primo album dei Korn e “Dookie” dei Green Day. Il grosso del pubblico metal tradizionale rimase in Europa, infatti a fine decennio esplose il power.»

«E i Saxon che combinarono? Cioè, in che direzione andarono?»

«Eh, ormai si erano fatti furbi. Fecero la cosa più intelligente, secondo me. Restarono nei paraggi del metal classico, però svecchiarono la proposta. Produzioni potenti, qualche piccola concessione a sonorità più anni ’90 che ’80, un tocco quasi oscuro in certi pezzi… nulla di sconvolgente, eppure Graham Oliver li mollò proprio in quel periodo perché diceva che i Saxon stavano diventando troppo duri.»

«Non mi pare un gran difetto.»

«Per qualcuno può esserlo, così come può essere considerato un difetto ammorbidire troppo la proposta. Il discorso è sempre quello: se sai fare bene una cosa, falla. Se vuoi farne un’altra, falla lo stesso, basta che tu sia consapevole dei rischi che corri lasciando il certo per l’incerto. Però non lo capisco, Graham Oliver: a me non pare che a fine anni ’90 i Saxon si siano snaturati o venduti. Mica sono passati al nu metal o al post-thrash. Ci trovi giusto un po’ di oscurità in più, nei dischi del periodo.»

«Ma arrivò qualcuno al posto del vecchio chitarrista? O restarono con una sola chitarra?»

«Reclutarono Doug Scarratt, che poi non se n’è più andato.»

«Un altro ragazzino?»

«No, lui all’epoca aveva quasi quarant’anni. Il caso vuole che fosse il vicino di casa del batterista. Il suo primo album coi Saxon fu “Unleash the Beast”, che a me piace un sacco, e poi “Metalhead”, che invece mi piace poco.»

«Come mai?»

«Le canzoni sono meno interessanti e poi la produzione esagera con volumi e suoni compressi. Ecco, se Graham Oliver fosse uscito dal gruppo dopo aver registrato “Metalhead”, lo avrei capito un po’ di più. Però è l’album che contiene ‘Conquistador’, che in campo heavy considero una delle canzoni migliori degli anni ’90.»

«E il resto dell’album?»

«Mi lascia indifferente, a parte un paio di pezzi, d’altronde non era facile raggiungere i livelli di “Unleash the Beast”. Quello è proprio un discone. “Metalhead” invece mi deluse già all’epoca, tanto che finii per rivendermi il CD. L’ho ricomprato due anni fa a una fiera del disco, costava pochi euro e la nostalgia ha avuto la meglio. Gli preferisco nettamente il successivo “Killing Ground”, secondo lavoro con Fritz Randow alla batteria, che è un altro musicista coi controcoglioni. Per me è il loro album migliore degli ultimi vent’anni.»

«Addirittura!»

«Sì, mi piace dall’inizio alla fine. L’ho riascoltato un mesetto fa, dopo anni, e penso che sia sempre un gran disco. I pezzi vanno dal discreto all’ottimo e non è facile trovare una qualità media del genere, in quelli successivi. Con “Killing Ground” rinunciarono quasi del tutto ai suoni troppo moderni ma variarono molto: pezzi tipicamente heavy, una gran cover dei King Crimson, tempi medi alla AC/DC e qualcosina dell’heavy-power anni ’80… d’altronde in quegli anni gli HammerFall avevano riportato in auge certe sonorità.»

«E i fan le accettarono, quelle influenze?»

«Non ci furono polemiche, che io ricordi, anche perché non parliamo certo di un power alla Rhapsody. E comunque si trattava di poca roba. Quell’immaginario e quelle sonorità, in salsa tedesca, saranno presenti semmai nei due album seguenti, “Lionheart” e “The Inner Sanctum”, i più veloci e violenti della loro storia. Qualche giornalista, all’epoca, parlò di germanizzazione del sound.»

«Ed era vero?»

«Un po’ sì, anche perché da metà anni ’90 il mercato più ricettivo è sempre stato quello tedesco, per i Saxon. A me non piacciono un granché, mi annoiano subito. Ho sempre avuto la sensazione che Biff e soci volessero… non dico sfidare, ma almeno dimostrare che pure loro fossero in grado di pestare come le nuove leve. Se ascolti ‘Witchfinder General’, ‘To Live by the Sword’ o ‘Let Me Feel Your Power’ ti sembra di ascoltare dei ragazzini, non certo degli over 50. Poi è noto che Biff canta meglio da adulto che da ragazzo.»

«E allora perché non ti piacciono?»

«Non so. Tutta quella potenza mi pare fine a se stessa. Neanche a distanza di anni sono riuscito a rivalutarli. Preferisco il lavoro del 2009, “Into the Labyrinth”, che sarà pure meno potente e con dei passaggi a vuoto, però riesco a ricordarmi le canzoni! Un paio sono bruttine ma il discorso non cambia.»

«Cioè? In che senso?»

«Preferisco gli album più sfaccettati. Uno che ascolta maggiormente l’heavy-speed, è normale che possa preferire i due precedenti.»

«Ma li consiglieresti, in generale?»

«Beh, “Lionheart” e “The Inner Sanctum” non sono certo dei lavori scadenti. Anche se io li trovo freddi, a molti fan piacciono. In quegli anni i Saxon hanno cambiato spesso batterista e ogni volta prendevano in organico dei mostri di potenza: Glockler, Randow, Jörg Michael…»

«Quello degli Stratovarius

«Lui. Credo che in “Lionheart” qualcuno abbia sentito un tocco tedesco anche per via della sua presenza, d’altronde ha suonato con Rage, Running Wild, Grave Digger…»

«Parecchia doppia cassa, quindi.»

«Diciamo che i Saxon li hanno sfruttati a dovere, quei batteristi, senza per questo snaturarsi. Più che “Into the Labyrinth”, comunque, è stato “Call to Arms” a darci un taglio con certe sonorità.»

«Nel senso che è più tradizionale?»

«Sì, meno compatto e più vario, più inglese. Mi piace abbastanza; all’inizio mi aveva preso di più, poi col tempo l’entusiasmo è calato. Il punto è che la scrittura dei brani gioca sul sicuro, da qualche tempo. Prendi “Sacrifice”: è un lavoro discreto, a tratti buono, come tutti quelli che hanno sfornato da “Lionheart” in poi. I deja-vù ci sono sempre e perde punti nella seconda parte ma l’approccio è quello giusto. Tutto sommato mi piace, e potrei dire la stessa cosa di “Battering Ram”. Il problema è che, nonostante li abbia ascoltati diverse volte, di alcuni album fatico a ricordare i brani. Parlo proprio della collocazione.»

«E quindi?»

«E quindi voglio sentire una canzone e vado a cercarla nel CD sbagliato! Perché gli ultimi lavori sono tutti validi, più o meno, ma anche parecchio omogenei. È un po’ come cercare di ricordare in quale film di James Wan si trova una certa scena. Hai presente i suoi film con streghe e demoni? Uno li confonde facilmente, le trame si somigliano, anche se nel complesso piacciono. Non so se rendo l’idea.»

«Non sono un esperto di cinema horror…»

«Era così, per dire. Mi capita pure con certi album di Anvil e Raven. O degli stessi Motörhead. Forse è per questo che “Killing Ground” mi piace tanto: non è perfetto però ti sorprende, muta pelle senza perdere in coerenza. Anche i due album più “tedeschi” dei Saxon hanno un’impronta, sebbene non mi entusiasmino. Gli ultimi tre… suonano freschi, a uno che non conosce la band e che ama queste produzioni moderne e potenti rischiano di piacere un botto. Però… ecco: fermo restando che le cose migliori le hanno prodotte a inizio anni ’80, e ti parlo proprio di scrittura dei pezzi, se tu chiedi ai fan di indicarti il migliore album dei Saxon degli anni ’90, quasi di sicuro citano “Unleash the beast”, al massimo “Solid ball of rock”. Se invece chiedi di indicarti il migliore album realizzato dopo “Killing ground”, vedrai molta più incertezza.»

«E che significa?»

«Non ce n’è uno che spicca, per la fan-base. Ognuno ha il suo preferito. La qualità media viene considerata soddisfacente ma pare che si sia un po’ appiattita.»

«L’ultimo, però, hai detto che è il peggiore.»

«Non lo so se è il peggiore, dico che personalmente mi ha stancato subito. Dopo tanti anni di carriera e una proposta quasi sempre fedele al metal classico, ci sta. Rimangono comunque un gruppo di caratura superiore, la qualità media della loro discografia è davvero alta. Poi ognuno ascolta e valuta con le sue orecchie. Dipende anche dal periodo: la prima volta che ho ascoltato “Sacrifice” e “Battering ram” li ho trovati troppo standard, l’ultima volta invece mi sono sembrati più piacevoli. Spero che succeda anche con “Thunderbolt”, prima o poi.»

«E il nuovo album quando esce?»

«Febbraio 2022. Non vedo l’ora. Suppongo sia pronto da un pezzo ma ‘sto covid, si sa, ha stravolto i piani di tutti. Se n’è parlato di recente, comunque, quando è uscito l’album di cover.»

«Non l’ho ascoltato.»

«Si chiama “Inspirations”, l’hanno pubblicato a marzo per lanciare un segnale di vita. O almeno credo.»

«Com’è?»

«Lascia il tempo che trova. Se bisogna temporeggiare in attesa del nuovo album dei Saxon, tanto vale concedere una chance al lavoro solista di Biff, “School of hard knocks”. Per me è stato una piacevole sorpresa. Peccato solo per quella copertina del cacchio.»

 

«E il tuo articolo sui Saxon? Quando esce?»

«Chi può dirlo. Quei taccagni di True Metal non mi pagano mica e io, ormai, coi miei libri sono diventato un pezzo grosso, non è che sto qui a regalare perle letterarie. Quindi… sai cosa?»

«Cosa?»

«Mi sa che non finirò neppure di scriverlo, quell’articolo.»

 

DISCOGRAFIA ESSENZIALE

1979 – Saxon

1980 – Wheels of Steel

1980 – Strong Arm of the Law

1981 – Denim and Leather

1982 – The Eagle Has Landed (live album)

1983 – Power and the Glory

1984 – Crusader

1985 – Innocence Is No Excuse

1986 – Rock the Nations

1988 – Destiny

1989 – Rock ‘n’ Roll Gypsies (live album)

1990 – Solid Ball of Rock

1992 – Forever Free

1995 – Dogs of War

1996 – The Eagle Has Landed Part II (live album)

1997 – Unleash the Beast

1999 – Metalhead

2001 – Killing Ground

2002 – Heavy Metal Thunder (best of)

2004 – Lionheart

2006 – The Eagle Has Landed Part III (live album)

2007 – The Inner Sanctum

2009 – Into the Labyrinth

2011 – Call to Arms

2012 – Heavy Metal Thunder – Live – Eagles over Wacken (live album)

2013 – Sacrifice

2015 – Battering Ram

2016 – Let Me Feel Your Power (live album)

2018 – Thunderbolt

2021 – Inspirations (cover album)