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Quanti dischi metal si vendono in Italia?

Di Marco Donè - 30 Marzo 2024 - 10:22
Quanti dischi metal si vendono in Italia?

I dati di vendita… Un concetto usato e abusato da tutti gli appassionati di musica dura. A volte le vendite vengono citate con un chiaro intento spregiativo: “Quella band ottiene certi risultati perché è commerciale”. In altre occasioni, invece, si usano per sottolineare l’importanza di una determinata formazione: “Quel gruppo ha buttato fuori un disco talmente fico che sta vendendo un botto!”. Difficile dire chi abbia ragione tra queste due fazioni. Se però pensassimo agli anni Ottanta e Novanta, periodi in cui la musica dura aveva la forza di riempire gli stadi, beh, potremmo forse ottenere un po’ più di chiarezza. Basti pensare a nomi come Bon Jovi, Aerosmith, Motley Crue, Metallica, Megadeth, Pantera, Rage Against the Machine, Iron Maiden, AC/DC… giusto per citare alcuni gruppi che, oltre a vendere cifre significative dei propri dischi, hanno lasciato un segno indelebile della propria esistenza, scrivendo pagine importanti della musica dura, e non solo.

Al giorno d’oggi è noto a tutti che le vendite si siano ampiamente ridotte rispetto a quelle epoche. Negli ultimi vent’anni sono avvenuti dei cambiamenti radicali ed epocali, che hanno completamente modificato il modo di fruire la musica. Okay, ma quante copie vendono i gruppi a noi cari, ai giorni nostri? Una curiosità più che legittima, che prende ulteriore peso se considerassimo la classica affermazione di appassionati e addetti ai lavori, un ritornello che fa più o meno così: “Nel metal i dischi si vendono ancora, sono gli altri generi ad essere in crisi”.

E quindi? Eh, ottenere certi dati non è mai cosa facile, soprattutto se si cercano fonti ufficiali. In Italia, però, viene in nostro aiuto la FIMI (Federazione Industria Musicale Italiana) che, oltre a stilare le classifiche settimanali dei dischi e dei singoli più venduti nel nostro paese, dal 2009 tiene traccia delle certificazioni ottenute da ogni singolo artista. Sì, avete capito bene, le certificazioni: Disco d’Oro, Disco di Platino e via via a salire fino al Disco di Diamante.

La prima cosa che attira subito l’attenzione è la cifra necessaria per ottenere un Disco d’Oro nel 2024: solo 25.000 copie. Effettuando una rapida ricerca all’interno del sito FIMI scopriamo che nel corso degli anni tale cifra si sia piano piano ridotta, fino ad arrivare alle fatidiche 25.000 copie attualmente in vigore. A oggi, quindi, la situazione è la seguente:

Album e Compilation

ORO oltre le 25.000
PLATINO oltre le 50.000
DOPPIO PLATINO oltre le 100.000
TRIPLO PLATINO oltre le 150.000
QUADRUPLO PLATINO oltre le 200.000
5 PLATINO oltre le 250.000
DIAMANTE oltre le 500.000

Singoli

ORO oltre le 50.000
PLATINO oltre le 100.000
DOPPIO PLATINO oltre le 200.000
TRIPLO PLATINO oltre le 300.000
QUADRUPLO PLATINO oltre le 400.000
5 PLATINO oltre le 500.000
6 PLATINO oltre le 600.000
7 PLATINO oltre le 700.000
8 PLATINO oltre le 800.000
9 PLATINO oltre le 900.000
DIAMANTE oltre 1.000.000

Riportiamo anche una nota presente nel sito, che ci aiuta a comprendere alcune dinamiche delle vendite:

Capita sovente che vengano certificati per la prima volta dei brani o degli album celebri, le cui vendite non possono di certo fermarsi alle unità rilevate dal panel di GfK: si tratta di grandi titoli che nel passato, solo in Italia, hanno venduto milioni di copie.

Qual è allora il motivo di questo tardo riconoscimento?

Con l’avvio della collaborazione tra FIMI e GfK nel 2010 sono stati introdotti i conteggi delle vendite di ogni singola registrazione, per permettere un rilevamento serio e accurato del mercato musicale italiano. Nel passato, come è noto, i dischi d’oro e di platino venivano assegnati in Italia sulla base di autocertificazioni delle aziende e non era disponibile un sistema di monitoraggio ufficiale.

Per tale motivo può capitare che solo adesso album con una lunga storia nella musica o grandi hit del passato raggiungono le più piccole soglie: resta indubbio, tuttavia, che i grandi successi raggiunti in passato non vengono penalizzati dall’introduzione delle certificazioni FIMI, che pur costituiscono l’unico riconoscimento ufficiale agli artisti che si misurano in un mercato fortemente rinnovato con l’avvento del digitale.

Semplicemente, questi titoli – che hanno rappresentato successi storici nel mercato italiano – raggiungono le attuali soglie conteggiando le vendite esclusivamente dall’introduzione delle certificazioni ufficiali FIMI/GfK.

Beh, ora non rimane che approfondire la nostra ricerca. Abbiamo iniziato quindi a digitare alcuni nomi. Siamo partiti dai Metallica, forti del successo dell’ultimo “72 Seasons”. Ecco cosa abbiamo scoperto:

Ci siamo limitati alla voce “Album e Compilation”. Sia chiaro: i dati riportati partono dal 2009, ciò che è avvenuto prima finisce in una desolata strada di campagna, avvolta dalla nebbia. Impressiona subito come “Metallica”, il famoso “Black Album”, abbia centrato il certificato Doppio Platino nella settimana 49 del 2022. Segno di come quel disco, nonostante le vagonate di copie vendute negli anni Novanta, continui a riscuotere successo. Scorrendo i titoli, ci accorgiamo di come “Hardwired… To Self-Destruct” abbia centrato il Disco d’Oro nella settimana 52 del 2016, poco dopo la sua uscita. “72 Seasons”, invece, a quasi un anno dalla sua pubblicazione, non ha centrato nessuna certificazione. Significa che ha venduto meno di 25.000 copie, nonostante sia rimasto nella classifica dei dischi più venduti in Italia per ben cinque settimane, toccando addirittura la posizione numero 3. Un dato al disotto delle aspettative? Forse.

E se siamo partiti dai Metallica, non potevamo che continuare con MegaDave e i suoi Megadeth:

I Megadeth non hanno raggiunto nessuna certificazione in Italia. Un dato che lascia esterrefatti, soprattutto se consideriamo la qualità di lavori come “Dystopia” o “Endgame” (usciti entrambi dopo il 2009, n.d.a.), senza scordare i capolavori del passato. Un dato che spiazza e che ci fa fare subito una riflessione sullo stato di salute della musica dura nel Bel Paese.

Abbiamo poi approfondito con un altro nome di prima fascia, la Vergine di Ferro, gli Iron Maiden:

Notiamo subito come gli Iron Maiden abbiano ottenuto parecchi consensi con le loro ultime uscite, tutte certificate Disco d’Oro. L’album più veloce a centrare tale riconoscimento è stato “The Book of Souls”, uscito a inizio settembre 2015 e diventato Disco d’Oro nella settimana 45 dello stesso anno.

E i Defenders of the Faith per antonomasia, i Judas Priest? Chiedere una certificazione per “Invicible Shield” forse è troppo presto, ma “Firepower” aveva fatto il botto:

Ecco… questo è un dato che fa davvero riflettere. Nessuno degli ultimi lavori dei Judas Priest, pubblicati dal 2009 a oggi, ha raggiunto le 25.000 copie vendute. Stiamo parlando dei Judas Priest, una formazione che rappresenta l’heavy metal. Bene: in Italia i Priest non raggiungono la soglia delle 25.000 copie. Impressionante.

Abbiamo provato con un altro nome sinonimo di leggenda: gli Slayer:

Anche per loro nessuna certificazione. Significa che i pluriosannati “World Painted Blood” e “Repentless” non hanno raggiunto le 25.000 copie vendute. Gli Slayer, una delle band più amate dai metalhead italiani. Chi lo sa, un nuovo disco pubblicato dopo la reunion live potrebbe creare l’hype per rialimentare la sete di violenza.

E a proposito di reunion… Gli Helloween? Che risultati hanno ottenuto con l’omonimo “Helloween”, del 2021, un disco che ha scalato le classifiche di mezzo mondo?

Sebbene in Italia “Helloween” si fosse piazzato alla posizione 14 dei dischi più venduti, non ha raggiunto le 25.000 copie. E anche qui una riflessione credo sia necessaria…

Voi direte: “Sì, okay, ma i tempi sono cambiati, i dischi non si vendono più. Ora bisogna vedere le riproduzioni sulle piattaforme streaming, le visualizzazioni dei video su YouTube (spesso monetizzate dai gruppi emergenti, n.d.a.), le interazioni social…”. Vero, ma quel dato, quelle copie vendute siamo proprio sicuri non incidano sui programmi live delle singole band? Magari possono consigliare quale nazione evitare, in quale tipo di palco suonare. Riflessioni a voce alta, qualcuno direbbe.

Ma perché ci siamo focalizzati sul quel famigerato numero di 25.000 copie? Beh, perché leggendo “L’Anima del Teschio”, la biografia dei White Skull, nella prefazione Maurizio Chiarello – mastermind dell’Underground Symphony – ci svela che negli anni Novanta la sua etichetta è riuscita a piazzare tre album sopra le 10.000 copie. Stiamo parlando di band underground degli anni Novanta. Molto probabilmente le 10.000 copie che vendeva un gruppo underground italiano negli anni Novanta corrispondono alle copie che possono vendere formazioni come Helloween, Judas Priest, Slayer nel nuovo millennio, sempre in Italia. E le band meno affermate? A che soglia si fermano ai giorni nostri? Sicuramente sotto ai numeri dei gruppi sin qui citati.

Un’ulteriore riflessione ci porta poi ad analizzare come vent’anni fa ci fossero molte meno band, con la conseguenza di avere molte meno uscite in un anno. Un disco di valore faticava a essere dimenticato e continuava a girare nello stereo di ogni appassionato per mesi interi. Ai giorni nostri, invece, perdiamo addirittura il conto di quanti album vengano pubblicati in un anno. Ci sono le uscite delle grandi label, quelle delle case discografiche di media fascia, quelle delle piccole etichette, quelle underground, fino alle autoproduzioni. In questo modo, con uscite a ripetizione, i dischi “durano” molto meno e finiscono presto nel dimenticatoio. Un mercato saturo e inflazionato, che non sempre premia chi ha più genio, talento ed estro. Un mercato a portata di click, ma in cui tutto dura un click. Senza scordare, poi, la totale perdita di valore e interesse riposto nel supporto fisico: CD, vinile o cassetta che sia. I live in Italia continuano a esserci e continuano ad avere una discreta affluenza. Siamo però sicuri che basti questo per dire che vi è ancora interesse nella musica dura?

Marco Donè