Rebis: “Acqua Remota” studio report
La definizione ‘musica liquida’, comparsa non più di una quindicina di anni fa, riassume molto bene il concetto di ‘musica libera dai vincoli del supporto fisico’. Non voglio impantanarmi in lunghe e arzigogolate riflessioni su quale sia il modo migliore per ascoltare musica: l’importante è ascoltarne tanta, possibilmente di buona qualità, tramite qualsiasi piattaforma o supporto disponibile. Mi limiterò ad esprimere la mia opinione: la buona, vecchia musica ‘solida’ difficilmente tramonterà. Pur essendo concettualmente giurassica, infatti, completa alla perfezione la sua controparte ‘liquida’. Capita spesso, ad esempio, che io ascolti preventivamente dischi che mi interessano o artisti che non conosco su una qualsiasi piattaforma digitale; quando scopro che un album fa per me, successivamente, passo alla ricerca della sua copia fisica per rendere più completa e appagante l’esperienza. La copia fisica rende ‘concreto’ l’apprezzamento verso un prodotto musicale, senza contare il doveroso supporto tangibile, leggasi monetario, nei confronti dei musicisti. Dal punto di vista di qualunque appassionato, poi, non c’è piacere più grande di spacchettare una bella edizione speciale di un disco ascoltato e piaciuto…questa è un’emozione che nessun abbonamento Premium/Vip/Golden/Plus potrà mai eguagliare. Il mondo reale, insomma, riesce ancora a vincere a mani basse sullo scintillante, ma al momento ancora troppo trasparente, mondo digitale. Lo sanno bene tutti coloro che si presentano davanti al palco di un qualsiasi concerto, magari dopo aver viaggiato per qualche centinaio di chilometri: cosa c’è di meglio che vedere dal vivo gli artisti, parlare con loro, procurarsi dischi e t-shirt direttamente dalle loro mani? In certe occasioni, inoltre, si fanno incontri interessanti, soprattutto quando si è redattori di TrueMetal.it. Poco meno di un anno fa ebbi la fortuna di partecipare ad un concerto in cui i thrasher italiani Re-Animated introducevano il ‘metallo/non metallo’ degli Ottone Pesante nella cornice dello Ziggy Club di Torino. In mezzo al pubblico festante venni riconosciuto da un vecchio compare di bisbocce, Giacomo ‘Ciaky’ Fontana. Tra una birra e l’altra, tra un ricordo e l’altro, mi rivelò di essere il batterista del gruppo torinese Alternative Metal/Post Hardcore Rebis. Nella medesima occasione conobbi uno dei due chitarristi della band, Sabino Matera, che ancora ringrazio per avermi fornito alcune delle sue fotografie di quella serata, confluite poi nel relativo live report (qui l’articolo, per i lettori curiosi). Scoprii che i Rebis in quel periodo erano impegnati nella produzione del loro primo album, dopo la pubblicazione di un EP omonimo nel 2019 e la diffusione del singolo “Polaroid Moon” nel 2020. Ci salutammo con l’intenzione di risentirci e rivederci, se non prima, in concomitanza con l’uscita del disco, prevista per il mese di novembre 2023. Puntuali come degli orologi svizzeri, i Rebis pubblicheranno il 24 novembre 2023 “Acqua Remota”: come resistere all’invito che il gruppo mi ha rivolto per approfondire la situazione? Impossibile, anzi: visto il congruo preavviso indosso la maschera dotata della miglior faccia tosta e propongo alla band una pacifica invasione di sala prove, in modo da poter ascoltare in anteprima i brani del disco e gustarmi un concerto ad personam. Altro che ‘ascolto preventivo tramite piattaforma digitale’: in quest’occasione sarò il primo fortunello, estraneo alla cerchia di amici, parenti e fonici, ad ascoltare le canzoni che faranno parte di “Acqua Remota”. L’acqua, come certa musica, è liquida…la mia esperienza, però, sarà ben più concreta!
Giunge il giorno fatidico: dopo aver fatto il mio dovere di padre portando avanti e indietro mio figlio dalla lezione in piscina, scarico l’amato fardello tra le braccia di mia moglie e parto in fretta e furia per Torino. E’ sabato, il che mi fa sperare di non trovare troppo traffico lungo la tangenziale torinese. Dovrò percorrerne un bel tratto, considerando che la sala prove in cui avrà luogo il mio ‘concerto privato’ si trova nella periferia Nord di Torino, a metà tra i quartieri Borgo Vittoria e Barriera di Milano, in una delle molte attività commerciali e lavorative nate negli storici Docks Dora. I locali dei magazzini generali Dora, dismessi a partire dagli anni sessanta, nel corso degli ultimi 20/25 anni sono tornati a nuova vita. Ricordo le belle esperienze vissute nei primi anni 2000 al Cafè Blue, leggendario locale notturno situato proprio in uno degli spazi dei Docks. Dal giovedì al sabato il locale proponeva lunghe serate danzanti in cui ci si scatenava al ritmo delle migliori selezioni di Rock, Metal, Ska, New Wave e chi più ne ha più ne metta. Oggi i Docks ospitano birrerie, start up di ogni tipo e genere, negozi di abbigliamento…e la Sala Prove Rainbow Music, in cui entro insieme ai Rebis dopo aver parcheggiato comodamente di fronte all’ingresso della struttura. In attesa che la saletta prenotata dai ragazzi si liberi faccio conoscenza con gli altri due membri del gruppo: Simone Cantino, chitarrista e cantante, e Federico De Leo, bassista.
Come ogni buon figlio del territorio delle Langhe piemontesi, quando vengo invitato a casa d’altri, mi presento con una buona bottiglia di vino rosso. In quest’occasione, visto che siamo in tanti e tutti bevitori, ho raddoppiato l’offerta portando con me due bottiglie, in modo tale che tutti abbiano di che rallegrarsi. Oltre ad essere un ottimo biglietto d’ingresso per questo concerto personalizzato, le bottiglie mi saranno utili per saggiare la preparazione dei Rebis quando vengono messi sotto pressione da un paio di rossi da 13 e 15 gradi! Anche io, comunque, attingerò alla stessa fonte…vedremo chi reggerà meglio lo sforzo e si aggiudicherà la palma per il miglior assimilatore di alcool: vinceranno i quattro giovani prestanti o l’imbolsito scribacchino ultra quarantenne? L’età che avanza si deduce anche dall’apparente mancata reazione dei Rebis al cartone animato che sta guardando il gestore della sala prove: Holly e Benji. Mentre Oliver Hutton e Benjamin Price corrono lungo i campi da calcio ingobbiti, deformando i palloni con la loro potenza muscolare, mi godo ancora per qualche minuto i poster, i soprammobili e i mitici annunci in bacheca che adornano l’ingresso della sala prove, raccogliendo le forze prima che inizino le danze. <<Ci siamo, la sala è libera>>, mi urla qualcuno: pronti!
Mentre i Rebis occupano le loro postazioni si entra nel vivo: a turno i ragazzi iniziano a raccontarmi le molte curiosità che hanno anticipato la pubblicazione di “Acqua Remota”. Io, nel mio piccolo, faccio la mia parte stappando la prima bottiglia, un rosso delle Dolomiti pronto a dar sollievo alle nostre gole inaridite dal pungente freddo invernale. “Acqua Remota” è il primo LP del gruppo, preceduto, come accennavo poc’anzi, dall’EP “Rebis” del 2019 e dal singolo “Polaroid Moon” del 2020. Inizialmente la tracklist di “Acqua Remota” prevedeva 10 pezzi, ridotti nel corso dei mesi a 8. I ragazzi hanno sentito la necessità di dover ‘limare’ ancora un po’ i due brani rimasti fuori, adattando la durata del disco al poco tempo che purtroppo molti appassionati possono dedicare al piacere dell’ascolto. Simone e Federico mi raccontano che tutti i pezzi sono nati nel 2017, contemporaneamente alla nascita della band, e che nel corso degli anni sono stati pian piano rimaneggiati sino a raggiungere la forma con cui vengono ora presentati al pubblico. L’album dura circa mezz’ora: ciò farà di “Acqua Remota” un viaggio semplice e veloce da percorrere nella sua interezza. I Rebis eseguiranno la tracklist di “Acqua Remota” seguendone l’ordine, ma inizieranno le prove con un’introduzione non presente nel disco, studiata solo per i live. La prendo come un’esclusiva: il pubblico potrà ascoltare questa introduzione soltanto nella serata del 9 novembre, o per meglio dire, l’ha già ascoltata…scrivo infatti questo report qualche giorno dopo il release party di “Acqua Remota”, tenutosi al Blah Blah di Torino giovedì 9 novembre.
Durante l’accordatura dei vari strumenti Simone Cantino, praticamente il portavoce ufficiale della band, mi racconta un altro po’ di retroscena. Si parte dal nome della band, anche se in realtà questo è l’unico argomento di cui so già qualcosa. Il rebis è il culmine della Grande Opera, il processo alchemico che conduce gli iniziati alla realizzazione della mitologica Pietra Filosofale. La Pietra Filosofale, semplificando al massimo, è il rebis. Questa parola, derivata dal latino, si potrebbe tradurre con l’espressione ‘cosa che è due volte’ e simboleggia l’unione degli opposti: è la riunificazione di concetti contrastanti come uomo e donna, bene e male, yin e yang, bianco e nero e via dicendo. L’obiettivo degli alchimisti è ottenere un elemento, il rebis per l’appunto, identificabile come il risultato delle ‘nozze chimiche’: qualche Lettore potrebbe già aver incontrato questo concetto ascoltando “The Chemical Wedding”, apprezzatissimo album solista di Bruce Dickinson, cantante degli Iron Maiden. Non è dato sapere se qualche alchimista abbia ottenuto concretamente il rebis nel corso dei secoli. Quel che è certo è che l’Opera alchemica rappresenta uno dei molti sentieri intrapresi dall’umanità per raggiungere i massimi livelli di saggezza e illuminazione: il classico cammino spirituale in cui ciò che conta per davvero, più che la destinazione, è il viaggio. L’alchimia viene richiamata anche dal titolo dell’album, “Acqua Remota”. Non si tratta solo dell’alone di mistero evocato dall’associazione di queste due parole: l’acqua ha una grande valenza esoterica, nei suoi ruoli di agente purificante e solvente universale in continua trasformazione.
Affiancare all’acqua la parola ‘remota’ rende il titolo del disco ambivalente: si tratta di un lontano tsunami che si muove verso l’osservatore o di un miraggio che si avvicina verso un assetato viandante, stremato dalla sete? La copertina del disco, che come tutto l’artwork è stata curata dal batterista Giacomo, aggiunge un’ulteriore sensazione di rischio in corso, con un’enorme stella che pare avvicinarsi impietosa alla città su cui si ‘appoggiano’ il titolo dell’album e il nome del gruppo. I ragazzi, insomma, ci ricordano che nella vita non è tutto sempre ‘rose e fiori’: bisogna fare molta strada per arrivare al rebis…tra una chiacchera e l’altra, nel frattempo, gli strumenti sono stati accordati e i piatti della batteria sono stati posizionati. Il riscaldamento consiste nell’esecuzione della succitata introduzione: il corto brano è utile per controllare i volumi e per permettermi di trovare un angolino in cui rannicchiarmi. Il concerto sta per iniziare!
“Midollo”
Questo brano è il ‘primo’ da ogni punto di vista: prima traccia del disco, primo pezzo in assoluto scritto dai Rebis e creato in occasione del primo ritrovo dei 4 ragazzi in una saletta. E’ il pezzo mai perfetto, lo scoglio che quasi tutti i gruppi prima o poi incontrano. La canzone è stata perfezionata per il primo full length dopo 5 anni dalla sua creazione: non stupisce il fatto che sia stata promossa al ruolo di singolo apripista. Il ritmo a tratti ‘zoppicante’ del brano ipnotizza l’ascoltatore fino al ritornello, il cui testo fotografa con precisione chirurgica una delle migliori amiche di mia moglie: ‘le cose che hai – e che non usi mai – foglie di loto essiccate – i segreti che hai – che mai rivelerai’ e ancora: ‘gocce di midollo in amuleti – un elisir che tutto avvererà’. Ovviamente i Rebis non hanno mai conosciuto la ragazza in questione, parzialmente new age, ragionevolmente no vax e inguaribilmente omeopatica. Tuttavia, come mi conferma il cantante Simone, il bello dei testi è proprio la loro capacità di adattarsi all’orecchio di chi ascolta. Ce lo insegnava Andrea Camilleri quando nel 1994 scriveva il romanzo La forma dell’acqua: l’acqua non ha una forma predefinita, sono gli uomini a plasmarla facendole prendere la forma del recipiente che la contiene. Allo stesso modo, l’acqua remota dei Rebis penetra nei solchi dell’album invadendo gli spartiti e sciogliendo in un unico amalgama echi di Deftones e Marlene Kuntz. Questi richiami sono stati sottolineati proprio da mia moglie. Quando ha ascoltato la canzone per la prima volta ha fatto un salto indietro nel tempo di almeno 20 anni, fino ad atterrare nelle vecchie discoteche torinesi ‘alternative’ evocate qualche riga fa. La gentil donzella a cui è dedicata la canzone, tra l’altro, sembra essere l’incarnazione contemporanea del “21st Century Schizoid Man” dei King Crimson, quello a cui tutti gli oggetti che possedeva non servivano a niente (‘Nothing he’s got he really needs’). E anche gli amanti del Progressive Rock sono serviti!
“Opera Al Rosso”
Altra citazione alchemica: l’Opera al Rosso, o Rubedo, è l’ultima fase della Grande Opera: posteriore alla Nigredo e all’Albedo, rappresenta un altro passo verso la completezza e verso il rebis. “Opera Al Rosso”, insieme a “Midollo”, fa parte di una doppietta di brani non proprio luminosi: non a caso queste canzoni sono state poste all’inizio del disco, come a voler fissare un punto di partenza in ombra. Il viaggio verso l’illuminazione, d’altronde, non potrebbe essere tale senza una fase oscura iniziale. Il brano è sostenuto da un’evidente vena in pieno stile Deftones, in cui rabbia e malinconia danno corpo ad una canzone che potrebbe far divertire i clienti di uno di quei locali che continuano a fare capolino in questo articolo. Quanta nostalgia in queste note! Sembra che il testo descriva una coppia di fidanzati e/o sposati che, dopo lunga una vita insieme costellata di figli, successi e delusioni, si concedono vicendevolmente qualche ora d’aria mentre ‘sciami sismici lasciano tutto in bilico’. Urge a questo punto un bicchiere di vino, considerando che il testo sembra avvicinarsi pericolosamente al tenore di vita di molte coppie contemporanee: il rosso delle Dolomiti verrà prosciugato in pochi minuti, riportando calore e speranza nei cuori dei presenti. Malinconia, nostalgia,…ogni scusa è buona per fare un ulteriore brindisi e ‘tirare il collo’ alla bottiglia, universale panacea per tutti i mali!
“Étoile”
Questa parola francese si traduce con ‘stella’. Effettivamente in questa traccia si inizia ad intravedere un po’ di luce: i suoni in qualche modo si ‘aprono’, facendosi più eterei e cristallini. Si tratta forse dell’effetto prodotto dall’ingombrante stella ritratta in copertina? Sì…ma non solo: sono in compagnia dei Rebis da una mezz’oretta scarsa e ho già capito che con loro la stratificazione dei significati, più che essere un’eccezione, rappresenta la norma! I ragazzi infatti mi rivelano che il disco, in origine, avrebbe potuto intitolarsi ‘Rigel’. E’ il nome di una stella supergigante blu, parte integrante della costellazione dedicata al gigante Orione; volendo essere precisi, per chi volesse individuarla, si tratta del suo piede sinistro. A prima vista la parola ‘Rigel’ si accorda perfettamente con ‘Rebis’: le due parole iniziano con la ‘R’, sono formate al 60% dalle stesse lettere, sono di uguale lunghezza. Si preferirà poi “Acqua Remota” per intensificare il gioco di contrasti e sottolineare ulteriormente le molte derive ermetiche presenti lungo tutto l’album. E’ tutto qui? Assolutamente no! La parola ‘étoile’ ha forse qualcosa a che fare col mondo della danza? La figura femminile a cui il cantante si rivolge fa parte di un corpo di ballo classico? Può darsi, però ancora prima del richiamo siderale, prima del riferimento al balletto, la principale fonte di ispirazione per il titolo arriva dal nome di un vecchio cinema torinese rimasto nel cuore del cantante: il cinema Etoile di Via Bruno Buozzi, situato in pieno centro e chiuso nel 2002. Ancora una volta i ricordi, stavolta non miei ma del cantante Simone Cantino, diventano un’ombra sulla strada, visibile ovunque il protagonista del testo decida di andare. Il legame tra questo brano e il cinema si concretizzerà nei prossimi mesi, quando “Étoile” verrà ‘tradotta’ in un videoclip che sarà girato dal bassista Federico, autore di tutti gli altri videoclip della band, “Midollo” compreso.
Approfitto di un attimo di pausa per approfondire la genesi del disco. Le pubblicazioni del gruppo precedenti ad “Acqua Remota” sono caratterizzate da un alto livello di qualità nella produzione sonora, raramente riscontrabile nel ricco mondo dell’Underground. L’ascolto del disco, gentilmente fornitomi in anteprima dalla band, confermerà l’estrema attenzione che i Rebis rivolgono a questo aspetto, la cui importanza viene troppo spesso messa in secondo piano. Chiedo lumi a riguardo e il buon Giacomo prende la parola: <<Ci affidiamo sempre a Magma Studio, che è un mago. Abbiamo speso un giorno a testa solo a scegliere i suoni! Personalmente ho cambiato due volte rullante! Il master l’abbiamo affidato ad Audiosiege a Portland, che ad ogni variazione ci presentava tre versioni diverse tra cui scegliere, ognuna dalle differenze pressoché insignificanti: abbiamo dovuto fermarlo altrimenti saremmo andati avanti per mesi e mesi!>> Amici musicisti, se dovete produrre un nuovo disco sapete a chi rivolgervi…
“Lemure”
Questa canzone poteva contare su di un videoclip, girato in una prima versione nel periodo del Covid, con i membri del gruppo impegnati a suonare ognuno a casa propria. L’isolamento forzato di quegli anni in qualche modo si riflette nel testo: non a caso le strofe parlano di assenza, di perdita e di ricerca di una figura femminile tratteggiata come un essere spirituale. Simone giustamente dichiara che le tematiche principali del brano sono i fantasmi e le ‘apparizioni’, eteree come certe storie d’amore. ‘Ogni storia d’amore è una storia di fantasmi’, diceva il compianto scrittore statunitense David Foster Wallace, che pur senza poter contare sugli effetti del nostro Rosso Dolomiti riusciva a scrivere aforismi di grande spessore. Anche in questo caso le note portano verso un’ulteriore innalzamento, continuando a rispettare il progressivo movimento verso la luce che anima tutto il disco. Il testo, inoltre, sembra nuovamente insistere sui temi del sogno e del ricordo: queste tematiche, stranamente, non sono emerse in sala prove, nemmeno quando siamo arrivati al momento delle chiacchiere avvinazzate dopo la fine della sessione. Piccola chicca: come tutti i pezzi di “Acqua Remota” anche “Lemure” nasce in inglese. Le canzoni dell’album sono state tutte riscritte in italiano nel corso del tempo; il Lettore curioso sappia che esiste anche una versione in inglese di ogni traccia. Magari in un lontano futuro comparirà una riedizione di “Acqua Remota” in inglese, chissà! Francamente, però, “Distant Water” non sembra un titolo molto efficace…
“Dafne”
E’ il brano più breve di “Acqua Remota” ed è forse fra i più intensi, sia musicalmente che tematicamente. Con “Dafne” le sonorità tornano a farsi più dure, riproponendo l’effetto dirompente prodotto dal secondo brano, “Opera Al Rosso”. Il testo viene scritto dal punto di vista di una persona negativa, un predatore, che come suggerisce il titolo si tratta proprio del dio Apollo. La mitologia classica ci racconta infatti della ninfa Dafne, prima figura mortale ad essere amata da Apollo, che per sfuggire all’invadente amore del dio accetterà di farsi trasformare in una pianta di alloro; da quel momento l’alloro, o lauro, diverrà l’albero caro ad Apollo. La ninfa in fuga dal dio e lo sfogo del predatore simboleggiano uno stato di frustrazione e mancata accettazione della situazione, soprattutto da parte di Apollo. Un essere onnipotente, in teoria, non dovrebbe inseguire nessuno ma essere inseguito…il parallelismo con gli odierni e odiosi casi di femminicidi, maturati spesso all’interno della cerchia familiare e sociale delle vittime, salta subito all’occhio. Ancora una volta, nemmeno ci fosse ancora il bisogno di dirlo, il Fantastico e la mitologia riescono a parlarci della contemporaneità in modo molto più efficace rispetto ad un qualunque talk-show…
“Arcadia”
Il titolo della canzone è un altro diretto riferimento all’immaginario classico. E’ il secondo capitolo di quella che si rivelerà essere una trilogia nascosta all’interno della tracklist di “Acqua Remota”: una ‘trilogia della classicità’ che tradisce le fondamenta culturali di Simone Cantino. Il cantante dei Rebis, di giorno, è un Professore di Italiano: chi meglio di lui può sapere cosa sia l’Arcadia? Normalmente, quando si parla di Arcadia, ci si riferisce ad una regione dell’antica Grecia situata nel Peloponneso. Nel corso dei secoli quest’area si è trasformata idealmente in una specie di Paradiso in terra, ricco di poeti contadini, natura benevola e luoghi ameni in cui ritrovare la pace. Ricordate però che con i Rebis nulla è come sembra…il brano infatti narra una storia ben lontana dalla mitizzata Arcadia ellenica e dalla beata vita pastorale dei suoi antichi abitanti. Il testo racconta l’epilogo della relazione tra due novelli Bonnie e Clyde. L’Arcadia del brano è il nome di un paese statunitense, situato in Louisiana, vicino al quale i veri Bonnie e Clyde sono stati uccisi durante una rapina in banca. I loro corpi sono stati poi trasportati in un negozio di Arcadia che all’epoca aveva una doppia funzione: mobilificio e…impresa di pompe funebri. Nella canzone dei Rebis la fine della storia è meno tragica: almeno uno dei due criminali sembra riuscire a salvarsi e a fuggire in una località ‘da cartolina’: che sia questa l’Arcadia del titolo? “Arcadia” è forse la traccia più malinconica di tutto il lotto, tanto nelle sonorità quanto nel testo. Sembra che il narratore sia destinato a fare la stessa fine di uno degli antieroi di Bruce Springsteen, nostalgico del suo passato da fuorilegge quando lo confronta con la sua nuova vita post-carcere: una vita ordinata…ma terribilmente noiosa. Occorre a questo punto una nuova ‘risalita’, che verrà garantita dalla successiva traccia: “Pianeta”.
Prima di tornare nello Spazio profondo approfitto di un ulteriore momento di pausa per chiedere ai Rebis quali siano i ruoli di ogni membro all’interno del gruppo. Non parlo solo di ‘chi suona cosa’: in una band che lavora bene c’è tanto altro. Simone Cantino, ad esempio, oltre ad essere cantante, chitarrista e responsabile della stesura dei testi, è anche inventore di riff insieme al bassista Federico. Pare che i due producano quantità industriali di riff e melodie, tanto da rendersi necessaria una forza mitigatrice. La loro creatività viene moderata dalla concretezza di Giacomo, il batterista, la cui mentalità pratica da artigiano del legno riesce a delimitare i confini entro cui muoversi. Sabino, l’altro axe-man, media tra le due forze: come ogni buon fotografo, Sabino si muove a suo agio tra l’impulsiva soggettività dell’artista e la concretezza indispensabile per maneggiare macchine e obiettivi fotografici. Ora, però, basta ficcanasare: mancano due brani all’appello, il tempo inizia a stringere e si deve anche trovare il tempo di ‘asciugare’ la seconda bottiglia. Guai a riportarla a casa sana!
“Pianeta”
Nella sua prima versione in inglese questo brano si intitolava “Stray”. Traduzione italiana: ‘randagio’, ‘vagante’. Da dove arriva quindi “Pianeta”? Anche in questo caso ci viene in soccorso la classicità: in greco antico la parola πλάνης (plànes), da cui deriva appunto l’italiano ‘pianeta’, significava proprio ‘vagante’. I pianeti, per gli antichi greci, erano quindi oggetti vagabondi e perennemente in movimento, a differenza delle stelle, ferme e immutabili. “Pianeta” è forse il pezzo più ‘positivo’ del lotto ed è la penultima canzone del disco, in cui incontriamo schitarrate di un certo spessore che si evolvono in un ritornello liberatorio, orecchiabile e quasi danzereccio: un po’ di luce, alla fine, è giunta. Non siamo ancora arrivati al rebis ma la strada è quella giusta: è la strada percorsa dal protagonista del testo, impegnato a fantasticare mentre cammina in una città che potrebbe benissimo essere Torino in tarda serata. Il protagonista e i suoi pensieri sembrano vagare in una sorta di prosecuzione cosmologica di “Etoile”: è facile seguire, con lo sguardo dell’immaginazione, un giovane spettatore del cinema Etoile che, finito lo spettacolo, esce nel fresco della notte torinese per riflettere sul film appena visto. Nuovamente i ricordi di giovinezza mi assalgono: pur non avendo mai abitato in pianta stabile a Torino ci ho vissuto innumerevoli esperienze e trascorso altrettante nottate, quasi sempre in compagnia di amici, musica e buon vino. A conti fatti non è poi cambiato molto…ho solo anticipato gli orari e oggi non tornerò a casa alle 6 del mattino, tutto qui. Fatto sta che il ritorno a casa si avvicina a grandi passi: manca un brano e la tracklist di “Acqua Remota” potrà dirsi conclusa.
“Sibilla”
La traccia conclude in un colpo solo il disco e la trilogia mitologica, dopo “Dafne” e “Arcadia”. I Rebis all’unisono mi confidano che “Sibilla” è un pezzo nato per ‘stare al fondo’: raccoglie infatti tutte le suggestioni che permeano il disco ed è stato chiaro, fin dalla sua prima stesura, che avrebbe dovuto chiudere un percorso. La profetessa del titolo infatti regala agli ascoltatori una terribile premonizione. La stella immortalata nella copertina del CD è sempre più vicina, pronta per ‘sommergere le memorie’ e ‘incendiare ogni errore, ogni pace ogni guerra’. L’abbagliante luce della stella in avvicinamento è talmente potente da riuscire ad operare un ultimo sovvertimento lessicale. Dopo rebis e Rigel siamo ora davanti ad un definitivo reset, vale a dire un riavvio: la canzone evoca un finale apocalittico ma non propriamente negativo. La minaccia sulla città può portare ad un nuovo inizio: le prime battute del testo infatti suonano come la presa di coscienza di qualcosa che non può essere evitato ma solo accettato, in nome di un futuro diverso e, con ogni probabilità, migliore. L’illuminazione, insomma, è arrivata ma nessuno si aspettava la sua forza distruttiva…fortunatamente, dopo il disastro, ‘una sillaba ancora ci animerà’. Come a dire: la parola, questo dono squisitamente umano, è l’unica forza capace di farci ritornare in pista. In questa sede l’unica sillaba che mi viene in mente è bis, la stessa cosa cioè che chiederei ai Rebis se stessi partecipando ad un vero concerto. Purtroppo, però, le due ore di occupazione della saletta si stanno per concludere. Rimane tempo soltanto per qualche chiacchiera e un paio di altre canzoni. Ennesima piccola chicca: “Sibilla” originariamente avrebbe dovuto ospitare dei fiati. L’idea era addirittura quella di chiedere la collaborazione di uno dei membri degli Ottone Pesante! La serata allo Ziggy Club ricordata all’inizio dell’articolo continua a stendere la sua ombra lunga sulla mia vita e quella dei Rebis, con buona pace di chi crede che gli avvenimenti nel mondo accadano sempre e solo per puro caso…
Nei primi paragrafi dell’articolo, prima della lunghissima serie di sproloqui con cui ho infarcito questa cronaca, ho definito la situazione in cui mi sono cacciato come un concerto ad personam. Ebbene, come in ogni concerto che si rispetti, si deve dedicare ancora qualche minuto all’encore. I brani aggiuntivi selezionati per accompagnarmi all’uscita sono due e fanno parte della ‘vecchia’ discografia dei Rebis. Il primo è “Polaroid Moon”, brano rimasto in inglese originariamente destinato a comparire in “Acqua Remota”. La canzone è stata scritta e registrata poco prima della pandemia, esattamente come “Sirene”, secondo e ultimo brano che sentirò dal vivo oggi. “Sirene” è stata pescata dal primo EP omonimo della band ed è stata per molto tempo la sola canzone con un testo in italiano scritta dai Rebis. “Polaroid Moon” è molto vicina, sia nello stile che nelle sonorità, a ciò che sentiamo in “Acqua Remota”. “Sirene”, invece, risulta più cruda e diretta, esattamente come le sue ‘colleghe’ dell’EP. L’evoluzione nel sound del gruppo è tangibile, pur essendo passati pochissimi anni tra una pubblicazione e l’altra. Gli effetti della pandemia si sentono eccome: pochi anni di eccezionalità hanno prodotto un mutamento imponente nella musica prodotta dai Rebis. “Acqua Remota” è stato praticamente scritto durante il lockdown e vive di contrasti e contraddizioni; quei brani, nati tra le mura delle abitazioni dei ragazzi, ora vengono alla luce per essere suonati in pubblico. Illuminazione raggiunta!
Sappiate, miei cari 23 lettori, che gli ultimi paragrafi di questo articolo sono stati abbozzati dopo la scolatura di quella famosa seconda bottiglia, il cui destino, tra digressioni alchemiche e nozioni astronomiche, avevamo un po’ perso di vista. Si fa in fretta a rimediare: si è trattato di un rosso pugliese di 15 gradi che ha dato una bella spallata alla sobrietà di tutti, sciogliendo in una botta sola tanto le bocche dei quattro artisti quanto le mie dita, che dopo qualche bicchiere hanno iniziato a scivolare sulla tastiera del mio portatile con estrema leggiadria. La fine della bottiglia coincide con il momento dei saluti. Mentre i tre Rebis privi di figli a carico si allontanano dai Docks Dora per iniziare il loro sabato sera, il batterista ed il sottoscritto si preparano a concluderlo, mestamente ma con malcelato orgoglio, in una delle birrerie presenti nella struttura. Abbiamo garantito alle nostre rispettive famiglie il ritorno a casa, non le condizioni in cui ci saremmo rientrati…ringrazio i Lettori per essere arrivati fino a qui e invito tutti a seguire i Rebis, approfittando dei collegamenti sottostanti. L’appuntamento è per il 24 novembre, giorno in cui tutti insieme troveremo il rebis dopo il primo ascolto ‘ufficiale’ di “Acqua Remota”. Alla prossima!
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