Recensione Film: Lords Of Chaos
Tanto atteso, quanto preventivamente accusato di offrire uno spaccato lontano da quanto realmente portò alla controversa nascita del cosiddetto true norwegian black metal, Lords Of Chaos è un film che divide e intimidisce – esattamente quello che ci saremmo aspettati. Va guardato con la dovuta preparazione psico-emotiva, essendo consapevoli che non sia interamente basato su una completa rappresentazione dei fatti, ma per dovere di cronaca sappiate che non ci si trova di fronte a una pellicola che vuole “vendere ciò che non è fatto per vendere”, dato che in fin dei conti per un buon 75% tratta argomenti delicati, scomodi e in molti casi tutt’ora taboo. Ma al tempo stesso non abbiate timore se proverete un senso di attrazione verso questo mondo infernale, perché osservarlo dentro a uno schermo tende a fargli acquisire un qualcosa di accomunabile al gusto per un film horror. In questo caso non si tratta però soltanto di una storia vera, ma di fatti accaduti nel nostro amato ambiente metal e questo gli conferisce una potenza comunicativa che raramente è capitato di vedere nel genere.
Lords Of Chaos è la trasposizione cinematografica del segreto nascosto nel più profondo cassetto del nostro subconscio. Quella morbosa voglia di sapere di più, di vedere di più, di farne in qualche modo parte, anche solo che da spettatore che non si può accontentare delle parole messe giù nel peraltro ottimo libro omonimo del 1998. Moralmente scorretto – come è giusto che sia – violento, brutale, trasporta su pellicola una storia drammatica e talmente malvagia che non poteva non essere raccontata. Lords Of Chaos si rivolge sostanzialmente a due fette di pubblico diametralmente opposte: quelli che lo guarderanno come se fosse un tradizionale film horror/drammatico basato su eventi realmente accaduti e quelli che conoscono molto bene gli accadimenti in quel di Oslo e dintorni, a cavallo tra la fine degli anni 80 e i primi 90. Gli appassionati del genere, coloro che sono stati attirati verso l’abisso creato dal fondatore Oystein Aarseth, detto Euronymous, sanno bene che le aspettative sono altissime e il grande clamore che il film ha suscitato ben prima della sua uscita rende la situazione ancora più delicata, tanto da trasformare queste stesse aspettative in una sorta di negazione e rifiuto verso la sua realizzazione. Non per ultimo, il fatto che tutti i personaggi coinvolti nella vicenda (quelli ancora in vita) non abbiano dato il consenso per trasporre la storia su pellicola, a tal punto da vietare l’utilizzo delle canzoni delle stesse band. Sulla carta ci si potrebbe aspettare un’ora e tre quarti di delusione, ma la realtà è che il film è un autentico viaggio all’Inferno. Un viaggio senza ritorno che comincia e finisce con un ritmo sostenuto e trascinato dalle ottime performance degli attori protagonisti, i quali riescono a trasmettere al meglio i rapporti tormentati di un gruppo di adolescenti che in un modo o nell’altro ha cambiato le vite di moltissime persone. In un’intervista radiofonica, il protagonista Rory Culkin ha dichiarato “Il black metal non è una musica tradizionale. Devi esserci dentro fino al midollo per capire realmente cosa quelle canzoni vogliano trasmetterti. Non puoi fartelo piacere, è una cosa che parte da dentro”.
Jonas Åkerlund, che per un ridottissimo lasso di tempo è stato il batterista dei Bathory – altro nome fondamentale per la scena black metal – ha messo in campo tutta la propria esperienza, maturata peraltro nella produzione di video musicali ben lontani dalla scena metal estrema. Ciò che ne è venuto fuori è un film controverso e che per uno spettatore che non è abituato a certe tematiche può risultare fin troppo oscuro. C’è tutto: desiderio di annichilimento, sangue, vandalismo, blasfemia, suicidio e ovviamente omicidio. La rapida nascita, ascesa e distruzione della band black metal per antonomasia, i Mayhem, quella creatura idealizzata dal giovane Euronymous, concentrato nel tenere le fila di un gruppo di giovani che presero ben presto come riferimento il suo negozio di dischi: Helvete (norvegese per Inferno). La storia la conoscerete tutti, del resto anche chi è lontano anni luce dal panorama metal avrà sentito parlare di chiese in fiamme e di un’ondata di violenza legata a un ristretto numero di persone, membri dell’Inner Circle (o Black Circle), ovvero coloro che meritavano di poter gravitare attorno all’aura nera di Euronymous e della sua visione di chaos.
Il film dipinge molto bene i rapporti drammatici che vivono gli stessi protagonisti, mettendo in primo piano Aarseth e il suo misantropico desiderio di creare qualcosa di elitario, ma che al tempo stesso lo mettesse in primo piano quale unico riferimento. Il rapporto di amicizia con il cantante Dead, il suicidio di quest’ultimo e il degenerare della situazione, con l’ingresso nella band del giovane Varg Vikernes (Burzum). Ben presto, quella che sarebbe dovuta essere una collaborazione reciproca, diventa un susseguirsi di gelosie, bugie e porta allo sfinimento economico e psicologico dei due protagonisti, con il conseguente omicidio di Aarseth da parte di Vikernes, in parte romanzato dal regista, rispetto ai veri accadimenti (forse il punto più controverso dell’intero film, essendo anche quello cruciale). Lords Of Chaos non è una ricostruzione fedele al 100%, ma come nella migliore delle situazioni, mescola sapientemente la verità con alcune piccole bugie. La ricostruzione delle location è uno dei punti forti della pellicola, prendete per esempio la casa nel bosco dove Dead si è suicidato, oppure il record shop Helvete, o ancora il freddo appartamento di Vikernes. Vedere questi luoghi in tre dimensioni è un po’ come trovarsi in mezzo a quel mondo che ci ha morbosamente attirato e che ha creato un alone di macabro interesse tale da non stroncare la scena black metal, ma addirittura consacrarla e permetterle di sopravvivere quando i due maggiori esponenti dell’epoca erano finiti fuori dai giochi. Lo stesso dicasi per l’entrata in scena di Metalion e delle scene che ricostruiscono le famigerate fotografie, tra le poche testimonianze grafiche dei primi anni della band.
La regia fa il suo sporco lavoro, mentre per la musica si deve fare una piccola digressione e nonostante il film non abbia potuto contare sull’utilizzo di brani delle band coinvolte, le scelte di Åkerlund e soci si rivelano azzeccate e nei rari momenti in cui ci si ritrova attorno ad un palco, tutto funziona a dovere, compresa la storpiatura di “Freezing Moon”, suonata live poco prima del suicidio di Dead, una delle scene più cruente dell’intero lungometraggio, insieme all’omicidio perpetrato da Faust. Rory Culkin veste bene i panni di Euronymous, il quale viene però dipinto come un ragazzo tormentato, ma con alcuni angoli smussati rispetto a quanto invece risulti da fonti attendibili. Nella stessa maniera, la figura di Varg Vikernes, impersonato da Emory Cohen, riesce a far trasparire quell’alone di carisma diabolico celato dietro ad un viso quasi innocente. In questo modo, esattamente come si insinua nel Black Circle, il lupo solitario venuto da Bergen, stravolge la storia e porta ad estreme conseguenze.
In definitiva, Lords Of Chaos è un film che non piacerà a tutti, ma del resto non è necessariamente rivolto a tutti. L’errore più grande sarebbe di prenderlo per quello che dovrebbe rappresentare e non per ciò che è, ovvero una pellicola oggettivamente ben fatta, sostenuta da un ottimo ritmo e senza necessariamente proporre per filo e per segno ogni singolo accadimento legato a quel periodo. Chi è fuori da queste vicende potrà quasi pensare che le parti più estreme siano state romanzate, ma in realtà sono proprio quelle che sembrano essere più fedeli ai fatti realmente accaduti, fatta appunto eccezione per l’ultimo quarto d’ora. L’unico appunto è che l’intera vicenda è raccontata attraverso la visione del suo protagonista Euronymous, tralasciando alcuni aspetti di un carattere sofferto che lo ha portato alla rovina, ancor prima di essere lui stesso vittima delle circostanze. Lords Of Chaos non è una fedele ricostruzione della nascita del Trve Norwegian Black Metal, ma è ciò che più gli si avvicina, senza assumere le sembianze dell’ennesimo documentario e rappresentando al meglio l’omonimo libro scritto da Michael Moynihane e Didrik Søderlind.
“A 25 anni ho la mia etichetta musicale, il mio negozio di dischi e la mia band. E voi cosa ç@**o avete fatto ultimamente?” – Euronymous
Giudizio favorevole.
Alessandro Marrone