Recensione libro: Gli anni del Grunge, Italia 1989-1996
Gli anni del Grunge: Italia 1989-1996
di Giacomo Graziano
(Gli scrittori della porta accanto)
Dimensioni: 15.01 x 1.47 x 21.01 cm
Copertina flessibile: 228 pagine
15.00 Euro
Editore: PubMe
Gli Anni del Grunge Italia 1989 – 1996 è un insieme, molto ben strutturato e filante lungo la lettura, di scritti afferenti i ricordi e le esperienze vissute in quel periodo prevalentemente all’interno dei patri confini da parte di scrittori, organizzatori di concerti, giornalisti, musicisti, promoter, deejay, strumentisti, semplici fan e agitatori di varia foggia e natura.
A raccogliere e poi assemblare il tutto è Giacomo Graziano, appassionato di musica classe ’76, membro dei Mistery Of Friday nonché vero e proprio ultras pensante del Grunge, che visse minuto dopo minuto sulla propria pelle in età adolescenziale e post.
Su queste pagine web truemetallare a sfondo nero talvolta è capitato di disquisire, all’interno di recensioni, interviste o più semplicemente sul nostro forum di quanto sia stato nefasto l’avvento del Grunge per le sonorità tradizionali, sia in ambito heavy metal che hard rock.
Nella vita, nei momenti di difficoltà, il fatto di trovare un nemico causa dei propri mali costituisce un piacevole sollievo. Che poi il nemico esista per davvero è tutto da verificare, nella stragrande maggioranza dei casi, poi, è totalmente inconsapevole dei – presunti – danni arrecati.
L’avvento del movimento Grunge, a parere dello scriba, di certo non aiutò, al crepuscolo degli anni Ottanta, ma la crisi di idee delle band hard rock era evidente, l’esasperazione di un concetto che era nato fra la polvere delle strade aveva portato nel giro di pochi anni a una deriva in termini di look e credibilità musicale sotto gli occhi e le orecchie di tutti. Le contaminazioni pop erano al massimo della propria espressione e lo spirito primigenio tutto chitarre, sudore e sfacciataggine aveva lasciato campo libero all’edonismo più sfrenato condito da eccessi di ogni tipo. Non che se la passassero poi tanto meglio i gruppi simbolo dell’heavy metal più tradizionale e tradizionalista, in piena crisi di idee fra cambi di line-up clamorosi. L’ammiccamento ai compari dell’hard di cui sopra portò poi ad un allontanamento del pubblico più viscerale con conseguente calo drastico di appeal anche in termini di presenze ai vari live. Questa la fotografia della situazione a livello generale, che di lì a poco avrebbe subito un altro poderoso scossone da parte di agguerriti musicisti in face painting provenienti dal Nord Europa. Ovviamente, come sempre, vi erano le debite eccezioni, su tutte i Virgin Steele di David DeFeis che nel 1994 pubblicarono uno fra gli album più scintillanti di heavy metal di stampo epico della storia: The Marriage Of Heaven And Hell Part One, seguito dall’altrettanto clamoroso Part Two nel 1995.
Al movimento Grunge va senz’altro riconosciuto di avere azzerato il campo, ripartendo dai primordi: via lustrini, eyeliner, paillettes e produzioni superamplificate e largo al minimalismo: chitarra, amplificatore e tanta voglia di suonare, strafregandosene del look. Un po’ come fece il Punk nella seconda metà degli anni Settanta. Poi, come ben si sa, nel momento in cui qualcosa sfonda, avviene l’assalto al carro del vincitore, con conseguente decodifica dei comportamenti e dell’abbigliamento, a favore dei trend modaioli.
Per questo, come saggiamente scritto dentro Gli Anni Del Grunge Italia 1989 – 1996 da parte di Gianni Della Cioppa, la durata media di un trend si assesta più o meno intorno al lustro. Poi la parte vitale si accascia e si assiste al rituale della perpetuazione forzata, non sempre con risultati degni di nota.
La forza del libro di Giacomo Graziano, pubblicato da PubMe, risiede nel fatto di riportare situazioni afferenti il Grunge avvenute in Italia, alle quali probabilmente molti lettori riandranno con la memoria. Nel momento in cui vengono citati il Bloom di Mezzago, l’Uonna Club e il Piper di Roma, il Vidia, è impossibile non respirare l’aria di casa e accorgersi che anch’essa ha contribuito fattivamente a quel successo planetario che poi arrise a Pearl Jam, Soundgarden, Nirvana, Alice In Chains e in parte Mudhoney e Screaming Trees.
Clamorose e interessanti le varie testimonianze snocciolate da Graziano e dai vari suoi interlocutori lungo le duecento e rotti pagine della sua opera: i Nirvana spompissimi in un concerto al Piper di Roma con Cobain che voleva, dall’alto delle cima degli amplificatori, giocare a fare il Tarzan de noantri attaccandosi alla boccia caleidoscopica in pieno stile Febbre del Sabato Sera penzolante dal soffitto, la novella organizzatrice di concerti Daniela Giombini che poco dopo aver iniziato la propria attività a causa dell’inaspettato scazzo fra i membri di una band dovette annullare un tour e ci rimise l’intera cifra economica ereditata dal padre, ma che poi coraggiosamente si riprese alla grandissima con gli interessi, accompagnando i Nirvana su e giù per lo stivale.
Poi le cose mutarono, e Gli Anni del Grunge lo testimonia alla grande, con interventi di prima mano. Quando il Grunge fece il botto, da movimento carbonaro e di ripartenza fatto di rapporti diretti divenne oggetto di business: cambiò l’aria, cambiarono le agenzie e le persone ma soprattutto cambiò la posta in gioco, misurabile in soldoni sonanti. Nonostante questo i Nirvana dopo il loro concerto al Bloom di Mezzago del 17 novembre 1991, con un migliaio di persone rimaste fuori dal locale zeppo all’inverosimile, aiutarono lo staff a sparecchiare i tavoli. Loro erano rimasti umili. Tutto quanto avevano intorno assolutamente no. Il Grunge si era uniformato al Sistema, quello con la “$” di dollaro. E non sarebbe più stata la stessa cosa, nemmeno per Giacomo Graziano.
Arrivò per Eddie Vedder il giorno di tornare a casa. Lo accompagnai – con una Fiat Panda, ndr – in albergo come ero solito fare, ma quel giorno ero molto stanco, un po’ apatico. Lo salutai in modo svogliato e di fretta. Risalito in macchina percorsi pochi metri, dallo specchietto intravedevo la sagoma, ancora lì, ferma, via via allontanarsi. Schiacciai di colpo il freno, saltai giù dall’auto e tornai a salutarlo. Lo guardai dritto negli occhi, certo che non avrei mai dimenticato l’uomo che mi aveva fatto capire il senso del Grunge, l’importanza della musica e il ruolo che essa svolge nella vita di ognuno di noi.
[Fausto Casara, pag. 176]
Il lungo soggiorno italiano – dei Nirvana, ndr – era terminato, i ragazzi di Aberdeen, conosciuti un paio di anni prima, stavano per essere inghiottiti dalla grossa macchina dell’industria discografica. Mi guardavo bene dal farne parte. Il mercato indipendente calava il sipario, e io perdevo tutti gli stimoli e il senso di continuare a fare quel mestiere. Ci salutammo, consapevole che non li avrei più rivisti.
[Daniela Giombini, pag. 80]
Gli Anni del Grunge dipinge di un colore pastello, quindi capace di restituire calore, l’ascesa e il declino del movimento, quello che oggi, a distanza di decenni, ricordiamo – anche – per la serie sanguinosa di croci che ha lasciato al suo seguito. Manifesti e testimonianze, anche crude, di varia umanità, accomunata da un’unica passione, la stessa riversata da Giacomo Graziano per allestire questo libro, scritto col cuore.
Stefano “Steven Rich” Ricetti