Recensione libro: I 100 Migliori Dischi Doom
I 100 MIGLIORI DISCHI DOOM
di Cerati S.
I Tifoni 17 – 198 pagine a colori – 15×21 – ISBN 978-88-94859-30-0
18.00 €
Alla lista dei migliori cento per genere mancava all’appello ancora il doom. Per i pochissimi che non hanno ancora le idee chiare riguardo questa corrente dell’Acciaio declinato in musica, basti sapere che i migliori interpreti del settore corrispondono a Black Sabbath, Death SS – entrambi nella parabola iniziale della carriera – seguiti da Candlemass, Saint Vitus, The Black, Electric Wizard, Cathedral, Pentagram e via così di compagnia dannata in compagnia dannata.
Come esplicita molto bene l’ultimo nato in casa Tsunami Edizioni, doom è un termine inglese che tradotto nell’italico idioma significa fato, destino avverso, rovina, sventura, condannare. Va da sé che molto difficilmente, all’interno di questo schema stilistico ed esecutivo si possano ritrovare gli Angel piuttosto che i Ratt.
Non è un caso, infatti, se i grossi calibri del doom italiano abbiano saputo tradurre lungo le sette note antichi rituali, maledizioni, stregonerie, omicidi e leggende, delle quali è pregno il Nostro Paese, in quel filone di musica heavy metal che ebbe nei sopraccitati Black Sabbath, per l’appunto, i più accreditati progenitori.
Onde sgombrare il campo sin da subito dai vari “ma”, “se”, “però”, l’autore nelle pagine iniziali del libro spiega ben bene i criteri con i quali è arrivato a selezionare la magica centuria e la modalità con la quale poi ha incasellato i vari album, che compaiono tutti in schede con la copertina a colori e con le note tecniche del caso. Discutibile finché si vuole ma ottimamente argomentato! Opere come questa, oggetto della recensione, di propria natura assumono i connotati di prodotto rispondente all’insindacabile metro di giudizio di chi le crea. Ed è giusto che sia così.
La forza di lavori come “I Cento Doom” risiede nel fatto di riuscire a suscitare la voglia, nel lettore, di riascoltarsi un ben determinato disco o, meglio ancora, se non lo si possiede, segnarselo sul taccuino e poi correre appena possibile presso il più vicino negozio di dischi e farlo proprio. Bello pensare, per un solo momento, che non si ordini online sulle note piattaforme che poi in Italia, a livello di tasse, lasciano le briciole, ad andare bene…
E’ sempre molto pericoloso mettere in fila una serie di – seppure ben fatte – recensioni. Il rischio è quello di annoiare, di fare perdere il ritmo, di provocare la “sfogliata” compulsiva. L’autore, non allungando più di tanto il brodo disco dopo disco, è riuscito a dare una forma scorrevole all’intero lavoro, rafforzando i vari excursus album dopo album con l’inserto di aneddoti, citazioni, svisate sul periodo storico, rendendo così sufficientemente piacevole il viaggio attraverso coloro i quali hanno dato una forma musicale ai brividi provocati da Edgar Allan Poe, Lord Byron, Bram Stoker, HP Lovecraft e Mary Shelley, solo per citarne cinque. Azzeccata, poi, l’idea di elencare, a fine recensione, i titoli di altri pregevoli album a firma della stessa band, così da ampliare il raggio d’azione di chi volesse poi approfondire.
Entrando un po’ più nel dettaglio, accanto ai soloni del genere – Angel Witch, Witchfinder General, Pagan Altar, Paradise Lost, Paul Chain – è bello imbattersi in gente come Blood Ceremony, Conan, Cough e i disciolti The Oath che, in tempi più o meno recenti, hanno permesso al genere di non richiudersi su sé stesso o, meglio ancora, doversi sempre rivolgere al suo aureo – ops… nero – passato.
Stefano “Steven Rich” Ricetti