Recensione libro: Il Rock è Morto?
Il Rock è Morto?
di Luca Paisiello
466 pagine
12 Euro
“Il Rock è Morto?” è un “bestione” di 466 pagine che vede la luce anche in forma cartacea dopo aver vissuto i suoi primi mesi editoriali solamente in formato digitale. E meno male che è così, altrimenti un’opera del genere ben difficilmente sarebbe potuta approdare alla cerchia degli interessi dei lettori più intransigenti, indissolubilmente legati al rapporto “fisico” con un libro. E, visto che all’interno del lavoro griffato RockShock Edizioni c’è anche del Metallo, inevitabilmente una buona fetta di ultras del nostro genere preferito avrebbe gentilmente declinato l’interesse verso questo tipo di uscita, proprio perché disponibile nella sola modalità liquida, inaccettabile per i duri e puri dell’heavy metal.
Luca Paisiello, l’autore, ha realizzato un lavorone mica da poco. Per riuscire a dare a sé stesso e poi anche ai lettori quante più risposte possibili alla domanda da un milione di dollari che impersona il titolo della sua creatura, s’è fatto un mazzo tanto stanando musicisti, giornalisti, promoter, agenzie di stampa, etichette discografiche, organizzatori di concerti e di festival. Un’orda di addetti ai lavori che s’è sporcata le mani trattando la materia Rock, in tutte le sue accezioni e declinazioni. Nel Paese nel quale quello che detta legge in questo campo è rappresentato da un mix fra i successi di Sanremo, la canzone d’autore, il folk locale e i brani di liscio delle feste di piazza traboccanti di gente, è senza ombra di dubbio molto intrigante imbattersi nelle riflessioni di coloro i quali dal suono di una chitarra elettrica – distorta o meno – è scaturito quel Sacro fuoco che ha permesso di vivere un sogno, per poco o tanto nella loro vita di personaggi legati alla musica. Che poi il mezzo utilizzato per mantenerlo in vita fosse una penna, la tastiera di un computer, una sei corde, delle bacchette, un microfono, dei cavi del backline o semplicemente un telefono per allestire l’ennesimo concerto, nel caso de “Il Rock è Morto?” fa poca differenza.
Paisiello è riuscito a selezionare persone che nelle note dure hanno buttato dentro anni della loro esistenza, quindi gente che effettivamente ha qualcosa da dire, con le stimmate dei chilometri macinati, delle ore di sonno perso e sottratte ad altro ben in evidenza nell’anima. Un lavoro monumentale, ma sul serio, raccogliere tonnellate di testimonianze e poi metterle insieme in maniera armonica come se tutti i protagonisti fossero allo stesso tavolo, nello stesso momento, a discorrere di Rock, di Rock italiano, di fronte a una birra, un calice di vino, uno shot di Jack Daniel’s o anche solo dell’acqua fresca di fonte.
Gli anni Novanta, quelli nei quali sembrava che anche da noi il Rock potesse attecchire per davvero vengono scandagliati in maniera chirurgica: chi doveva esserci è presente e chi non c’è probabilmente ha semplicemente declinato l’invito. Purtroppo capita, in questi casi, quando ci si muove in autonomia armati della sola passione, come nel caso dell’autore, ma è poi stato ampiamente sostituito da altri dal cuore fottutamente RRRRRRrrrrooock, che di certo non se la menano come certe – presunte o meno – rockstar che, dall’alto della loro posizione non possono abbassarsi a fornir risposte per un libro di questo tipo, destinato, secondo loro o i loro mega uffici stampa, all’underground a vita. Sbagliato, sbagliatissimo! Il mazzo che s’è fatto Paisiello non merita di finire nel dimenticatoio o passare sottotraccia: di lavori così impregnati di sudore non ne escono molti. Una fotografia siffatta sulla situazione del Rock tricolore di ieri, di oggi e di domani val la pena di essere presa in considerazione in quanto foriera di moltitudini di interrogativi scaturiti da situazioni di fatto, comprovate e vissute a fondo, chicche su chicche elargite senza filtro alcuno da tutti quanti i soggetti coinvolti.
Al netto dei momenti fisiologici di promozione e autocelebrazione che si consumano in ogni intervista, gli input che arrivano direttamente in face pagina dopo pagina sgorgano che è un piacere. Qualche inevitabile contraddizione, vista la moltitudine di attori, non fa altro che alimentare l’interesse per una lettura che non può non intrigare il popolo legato alle sonorità più dure di questa terra.
Amen!
Stefano “Steven Rich” Ricetti