Heavy

Recensione libro: K.K. Downing – Heavy Duty, la mia vita nei Judas Priest

Di Stefano Ricetti - 25 Settembre 2020 - 15:22
Recensione libro: K.K. Downing – Heavy Duty, la mia vita nei Judas Priest

HEAVY DUTY

La mia vita nei Judas Priest

di K.K. Downing con Mark Eglinton

I Cicloni 36 – 290 pagine + 16 di foto in b/n

16×23

ISBN 978-88-94859-36-2

€ 22

Tsunami Edizioni

 

Che per arrivare lassù in cima, o quasi, nel firmamento dell’heavy e dell’hard, negli anni Settanta e Ottanta ci si dovesse fare un mazzo così è cosa ormai risaputa, per chi bazzica la musica dura da un po’. Poi negli anni Novanta le cose sono un po’ cambiate, in meglio ma anche in peggio, per giungere agli ultimi tre o quattro lustri nei quali le regole del passato si sono letteralmente disintegrate a favore di altri canali e il mondo è totalmente mutato.

Heavy Duty, la mia vita nei Judas Priest, libro scritto da K.K. Downing con Mark Eglinton nel 2018 (titolo originale: Heavy Duty, days and nights in Judas Priest) e licenziato da Tsunami Edizioni da qualche settimana in lingua italiana grazie alla traduzione di Stefania Renzetti, illustra ampiamente come colui che diverrà il biondo, arrogante (aggettivo usato su se stesso) e famoso chitarrista dei Judas Priest, i primi tempi si sia preso i suoi bei rischi, abbia patito la fame e il freddo, dormito fra i topi e vissuto una situazione familiare infernale pur di traguardare il sogno di una vita.

Kenneth “Ken“ Downing, West Bromwich, 27 ottobre 1951 all’interno delle trecento e rotti pagine del volume ha avuto il coraggio di raccontarsi fino in fondo. E i primi capitoli tratteggiano la sua gioventù, distante anni luce dall’agio che avrebbe poi conquistato successivamente. Quando si scrive un libro si può, senza che poi quasi nessuno se ne accorga, omettere particolari su particolari, soprattutto se di “polpa” da raccontare ce n’è a iosa. Si evitano così facilmente le critiche, gli “Oooohhhhh” della situazione dettati dallo stupore di certune inattese scoperte ma così agendo si metterebbe in soffitta l’onestà intellettuale che sempre dovrebbe guidare ciascun artista in operazioni di questo tipo. K.K.Downing, seppure con il suo stile assolutista, s’è rivelato per bene, così come ha raccontato i suoi pard, senza particolari filtri buonisti. Ha narrato dei suoi problemi sentimentali post Priest, non ha omesso di essersi pisciato addosso da ubriaco a 57 anni dopo una notte di bagordi con Kerry King, ha spiegato per bene le ragioni che lo hanno indotto a lasciare il gruppo, nel 2009. E in tutto questo risiede la grandezza di Heavy Duty.

Un lavoro che arriva direttamente al cuore di chi si accinge alla lettura, sia esso un fan dei Judas Priest piuttosto che un semplice appassionato di tutto quanto ruota intorno alla vita on the road e alla musica rock.

Al suo interno, come ci si attende da un tomo che riguarda una fra le band defender per antonomasia vengono sapientemente snocciolati tutti i temi che giustamente uno si aspetta di trovare da una cronaca  “dal di dentro” e che attirano l’attenzione morbosa tanto degli ultras del Sacerdote di Giuda quanto dei normali fruitori di letteratura hard’N’heavy: il rapporto con Al Atkins, Ian Hill, Rob Halford, Glenn Tipton, Tim “Ripper” Owens, i manager e i batteristi che si sono avvicendati nella band, l’adozione del look spike’n’leather, l’origine del nome di battaglia “K.K.” e quello del gruppo, le fasi di registrazioni dei vari dischi e le successive reazioni, i momenti tragicomici nel backstage e lungo i viaggi, il sesso, i concerti, le frizioni con gli Iron Maiden e le affinità con altre band “true”, gli aneddoti su Bon Scott, Angus Young, gli Status Quo, Ronnie James Dio, Kerry King, le accuse mosse al gruppo in America e i processi cui vennero sottoposti sino ad arrivare all’uscita dello stesso Downing dai Judas Priest.

Refusi, al solito, sotto il livello minimo sindacale.

 

Stefano “Steven Rich” Ricetti