Recensione libro: Loopyworld, I miei anni con gli Iron Maiden, dal Ruskin Arms a Powerslave
Loopyworld
I miei anni con gli Iron Maiden – dal Ruskin Arms a Powerslave
di Steve “Loopy” Newhouse
Le Tormente 15
264 + 16 pagine a colori
16×23
ISBN 978-88-94859-59-1
22 Euro
Gli Iron Maiden, così come i Led Zeppelin e i Black Sabbath, sono fra le band hard and heavy più saccheggiate all’interno dell’empireo legato alla letteratura metallara mondiale. Evidentemente perché di questi gruppi non se ne ha mai abbastanza. Non stupisce quindi che uno fra gli ultimi parti di Tsunami Edizioni sia legato alla Vergine di Ferro britannica. Trattasi della traduzione in lingua italiana operata da Antonio Biggio di Loopyworld, The Iron Maiden Years, di Steve “Loopy” Newhouse, classe ’57, storico roadie del british HM, fondatore della Killer Krew dei Maiden nonché factotum al servizio degli stessi Irons nei primi anni della loro storia.
Inutile girarci troppo intorno: del combo di Steve Harris dal punto di vista storiografico ormai resta ben poco da scoprire. Diverso il discorso legato alle sue abitudini defecatorie, come scoprirete. Fra libri, Dvd, interviste, foto, articoli, retrospettive, testimonianze e dichiarazioni varie assortite è stato pressoché scandagliato il 95% del loro corso. L’appeal di un libro come I miei anni con gli Iron Maiden – dal Ruskin Arms a Powerslave risiede quindi nel fornire una diversa chiave di lettura, dal “di dentro”, conoscendo i fatti ma spesso subendoli sulla propria pelle, come accadde al buon “Loopy”, nomignolo che nello slang inglese suona come pazzoide, mattacchione, in italiano.
Steve Newhouse deve alla sua amicizia con Paul Andrews (che a dire dello stesso “Loopy” si inventò delle origini italiane, trasformandosi in Paul Di’Anno, solo perché si ingurgitò qualche pizza in più di altri suoi compari) la sua entrata nel mondo Iron Maiden, quando la band muoveva i suoi primi passi all’interno del music biz.
Gli inizi della carriera di Newhouse furono in veste di roadie duro, puro e non pagato, poi seguirono periodi altalenanti, da tecnico della batteria prima di Doug Sampson e poi di Clive Burr, sempre senza essere ricoperto d’oro, beninteso, ove si occupò anche di altre faccende, a metà fra il factotum e il tappabuchi improvvisato. Da locali quali il Bandwagon e il Ruskin Arms al periodo stellare dell’album Powerslave, con qualche momento di pausa forzata, questo è il contenuto dei racconti esplicitati lungo le 264 pagine di Loopyworld. Le ultime sedici sono dedicate a una serie di foto a colori tipiche da backstage/staff, nulla di professionale ma scatti in grado di cogliere il “momento”, spesso più intensi di quelli ufficiali.
Vivere in prima persona situazioni come quelle che hanno investito gli Iron Maiden equivale a immagazzinare esperienze uniche, irripetibili, grandi soddisfazioni e colossali cazziate, all’interno di un frullatore inarrestabile, che viaggia perennemente a 300 Km/h, al quale è impossibile sottrarsi. Quantomeno finché ve ne si fa parte. E proprio questa è una delle peculiarità del tomo griffato Tsunami: Loopyworld, al contrario della stragrande maggioranza delle uscite letterarie legate all’hard and heavy, ove si celebra, legittimamente, per lo più la sindrome da rock’n’roll, ossia eccessi, ubriacature imperiali, sesso a gogò e contravvenzioni assortite (torno comunque in argomento, a breve) solleva una tematica estremamente d’attualità, che sta segnando le vite di moltissime persone: la precarietà. Il racconto di Steve Newhouse ne è impregnato, benché negli anni Ottanta il mondo fosse totalmente diverso da come è adesso, e il lavoro di sicuro non mancava, a tutti i livelli. Quantomeno vi erano molte più possibilità di oggi e il contratto a tempo indeterminato era un caposaldo del welfare. Non come oggi ove spadroneggiano contratti a termine, a chiamata, Co.co.co, partite Iva ogni dove per ovvia necessità pur di darsi da fare, cooperative fittizie e inquadramenti da associato (solo sulla carta, of course!). Non è che fosse tutto rose e fiori, intendiamoci bene, ma esistevano senza ombra di dubbio molte garanzie in più per i lavoratori. E se si lavorava si veniva pagati, generalmente. “Loopy” per certi versi è stato un precursore dei tempi attuali, con un’esistenza segnata da un’insicurezza cronica e strisciante. E alla fine ha vinto. Lo ha fatto alla propria maniera, certo, ma mettendoci sempre la faccia, chapeau.
Tornando in argomento “sbrago”, qualche chicca assortita:
Ken il matto, che ricordo come una vera testa di cazzo, aveva con sé un assorbente femminile usato e si divertiva a ciucciarlo, offrendolo poi a tutti.
Uno dei ragazzi che ci aiutava occasionalmente e che non faceva parte della crew, decise che sarebbe stato divertente cagare sporgendosi dal retro del camion mentre eravamo in movimento, non so se avesse realizzato che avevamo altre auto al seguito.
Steve Clarke dei Def Leppard afferrò un boccale lasciato da noi sul davanzale del backstage e ne tracannò un bel sorso, peccato che non fosse colmo di birra ma della pipì di Doug.
Loopyworld: uno spaccato del vissuto Iron Maiden da una diversa prospettiva, raccontato con gli occhi di un bambino.
Steve “Loopy” Newhouse: semplicemente una brava persona in un mondo di pescecani.
Nota a margine: ma che cavolo di strada hanno fatto gli Iron Maiden da Sanremo a Reggio Emilia nei primi anni Ottanta? Nel libro si parla di terrificanti passaggi in montagna ?!? Gli Appennini??? 🙂 🙂 🙂
Stefano “Steven Rich” Ricetti