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Recensione libro: Metal Theory. Esegesi del vero metallo

Di Carlo Passa - 3 Marzo 2024 - 10:25
Recensione libro: Metal Theory. Esegesi del vero metallo

Metal Theory. Esegesi del vero metallo

Claudio Kulesko, Gioele Cima (a cura di)
2023
Edizioni D Editore
Pagine: 226
ISBN: 88-94830-91-8
€ 20,80

Nel 2008 usciva Metallica e la filosofia, a cura di William Irwin. Il piccolo volume raccoglieva una serie di saggi di ricercatori statunitensi di area filosofica su vari temi scaturenti dai testi della band di Lars Ulrich e James Hetfield. Il libro evidenziava la natura più o meno consapevolmente profonda e, appunto, ‘filosofica’ non solo delle liriche ma dell’attitudine stessa della band e, più ampiamente, dell’heavy metal.
Oggi Metal Theory. Esegesi del vero metallo, a cura di Claudio Kulesko e Gioele Cima, condivide con Metallica e la filosofia lo sguardo filosofico sull’heavy metal, attraverso una serie di interventi, nominati ‘Documenti’, che discutono, nei modi più diversi, alcuni aspetti di un genere musicale spesso relegato a “vezzo adolescenziale o mera stramberia”, come si legge nella bella Introduzione del volume.
I Documenti raccolti in Metal Theory sono al contempo reciprocamente indipendenti e intimamente connessi. Un filo rosso, infatti, li percorre, lungo il quale si incontra spesso l’occulto, declinato ora attraverso presunte possessioni demoniache dei Black Sabbath, ora, come è prevedibile, con frequenti rimandi al black metal.
Il titolo stesso del volume discende, estendendola, da quella Black Metal Theory che, avviata nel 2009 in un simposio scientifico, si è imposta nel variegato panorama dei cosidetti Metal Studies, mirando a realizzare una “esplorazione concettuale, mistica ed estetica del black metal”. Si tratta, in sostanza, non tanto “di pensare il black metal, quanto piuttosto di pensare con il black metal”. E il volume, nei suoi migliori contributi, fa, appunto, pensare, entrando nei meandri del dolore, della morte, dell’occulto, della putrefazione: il tutto veicolato dalla musica dei Sabbath, dei Neurosis, dei Carcass, o dei Sunn O))), così come dal drone o dal tritono.
I Documenti sono stilisticamente molto vari: racconti, saggi e monologhi si alternano davanti agli occhi del lettore, che, a tratti, rischia di perdersi nel flusso di concetti e parole che Metal Theory propone. Uno dei limiti di alcuni Documenti sta proprio nel lessico e nella sintassi, che paiono appositamente scelti per suonare ostici, al limite del criptico e dell’oscuro. La sensazione che ne scaturisce è quella di un autocompiaciuto intellettualismo manieristico che, purtroppo, rischia di mettere in secondo piano i contenuti stessi di alcuni contributi del volume. Ne è esempio il, pur valido, intervento di Irene Sottile, che, alla luce della Black Metal Theory, ripensa “il rapporto che vige tra momento estetico e momento analitico” e riflette sulla “teorizzazione propria della black metal theory come un tentativo di rivendicazione del territorio razionale dell’illogico”: riflessioni non banali, che annaspano un poco nella verbosità terminologica dell’espressione scelta.
Ma il volume regala ottimi momenti. Tra i migliori c’è certamente il pezzo di Gioele Cima (“Eppure, tutto sembra senza fine”. Il dolore cosmico dei Neurosis) che, attraverso la produzione dei Neurosis, scava nella sofferenza “eretta a vero e proprio principio universale”.
Degno di nota è anche il Documento di Rosalba Nodari (Purezza. Minaccia. Impostura. Retoriche dell’autentico nel discorso Black Metal) che, attraverso una scrittura scorrevole, avanza interessanti riflessioni sul concetto di purezza e di trasmissibilità, prendendo spunto dal Black Metal e, su questa base, criticando, con buoni argomenti, alcuni aspetti della Black Metal Theory.
Dei tredici paragrafi che costituiscono il Documento intitolato Black Sabbath: Genesi Inumana, sono, invece, meritevoli di menzione il II (che, pur tuttavia, sostiene la tesi piuttosto risibile per cui le registrazioni di Sabbath Bloody Sabbath costituirebbero “un interessante caso di possessione”), il IX (sull’esordio dei Sabbath) e il X, che offre una buona sintesi dell’uso del tritono (da Wagner agli Arch Enemy).
Nel complesso, Metal Theory è un volume che richiede al lettore tempo e attenzione, ma che sa ricompensarne le fatiche con contenuti non scontati e, appunto, tali da spingere alla riflessione, se non alla introspezione. Al netto di alcuni eccessi stilistici che, come detto, non fanno giustizia al messaggio che gli autori vogliono veicolare, il testo dimostra come l’heavy metal, pur essendo il “genere musicale più primitivo e infantile in assoluto”, trovi nella propria apparente semplicità e manifesta brutalità parte di quella sostanza che lo mantiene ancora oggi in vita e che fa di esso non solo un genere musicale, ma uno stile di vita e, in ultima istanza, un modo di guardare alla vita: pensare diventa, dunque, pensare con l’heavy metal. A questa stregua, Metal Theory aiuta il metallaro a prendere coscienza di sè e, facendolo, a comprendere quanto importante sia nella sua quotidianità il ruolo di quello sporco genere “primitivo e infantile” che, in conclusione, Metal Theory onora.