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Recensione libro: Musica di Carta, 50 anni di riviste musicali in Italia

Di Stefano Ricetti - 11 Novembre 2022 - 14:43
Recensione libro: Musica di Carta, 50 anni di riviste musicali in Italia

Musica di Carta

50 anni di riviste musicali in Italia

di Maurizio Inchingoli

336 pagine

12×24

ISBN: 88-9277-136-1

EAN13: 9788892771369

Arcana Edizioni

Euro 22

 

Ridendo e scherzando, ma neanche poi troppo, sono più di cinquant’anni che le pubblicazioni a sfondo cartaceo di stampo musicale campeggiano sugli scaffali e sulle rastrelliere delle edicole italiane. Tornare in argomento, nel 2022, ha il sapore dell’amarcord ma nello stesso tempo è opera sacrosanta per cercare di orientarsi nei confronti di un futuro dalle tinte fosche. A essere buoni.

Scandagliando all’interno della nostra Parrocchia al momento ne sono rimaste solamente due. Rock Hard è l’unica ad uscire regolarmente in edicola e, come da tradizione, fornisce la stragrande maggioranza dello spazio a propria disposizione alle nuove uscite, con annesse le interviste di prammatica. L’altra, Classix Metal, dedicata agli approfondimenti della musica hard’n’heavy del passato, da qualche mese è disponibile solamente su ordinazione presso il sito dell’editore. Negli anni Novanta ne esistevano almeno cinque: HM, Metal Shock, Metal Hammer, Flash, Psycho. Tutte defunte per vari motivi. La domanda che giustamente pone alla fine di ogni intervista ad alcuni dei protagonisti della letteratura musicale tricolore Maurizio Inchingoli, l’autore del libro oggetto della recensione è proprio questa:

Secondo te le riviste cartacee esisteranno ancora in futuro, oppure visto che è tutto digitale, spariranno per sempre?

Dura poter rispondere di sì in un momento storico nel quale le edicole chiudono i battenti una dopo l’altra, gli aumenti sconsiderati del costo della carta mettono in ginocchio anche i più entusiasti fra gli editori, i distributori mediamente se ne fregano e permangono arroccati sulle proprie posizioni e il pubblico avvezzo a queste letture è sempre quello, in termini numerici, ha messo da mo’ la pancetta e nel migliore dei casi non è più nella possibilità di bearsi allo specchio per la folta chioma.

Proprio per questa serie di motivi un tomo come Musica di Carta, 50 anni di riviste musicali in Italia, capita a fagiuolo, con la “u”. Perché oggi probabilmente esiste ancora uno zoccolo duro di quaranta/cinquantenni con qualche tracimazione anche nei decenni successivi interessato all’argomento, in grado di carpirne i sussulti storici e, perché no, accusare un poco di magone rimembrando “come eravamo”, con più di una punta di nostalgia. Già, perché un tempo, quando si veniva inondati dalla stampa cartacea specializzata, al di là del genere musicale preferito, pareva fosse cosa normale, mentre di normale probabilmente c’era poco. Scandagliando le 336 pagine del libro griffato Arcana Edizioni ci si accorge che dietro riviste dai nomi altisonanti e sgargianti copertine con la rockstar di turno in bella mostra non c‘erano redazioni con segretarie ultra sexy e ultra efficienti a sfilare nei corridoi stretti fra uffici con poltrone in pelle umana alloggiati dentro moderni palazzi a vetri, ma magari un paio di veri e propri dannati carichi all’inverosimile di passione che lavoravano ventiquattr’ore al giorno in un sottoscala per garantire le scadenze, correggere le bozze, strigliare i collaboratori al telefono e impaginare con forbice, colla e fotocopiatrice. Cronaca, giornalismo ma anche costume, fra i capitoli di Musica di Carta. Impossibile non citare il seguente esilarante passaggio, a proposito delle connessioni fra stampa musicale e hard (non rock…):

…nel tavolo vicino c’era un giornalista che era pagato dall’editore per fare il direttore responsabile di quei giornali porno, rischiando qualche giorno di galera a ogni sequestro. Questo poveretto era già anzianotto, un po’ depresso e quasi cieco, con due lenti che sembravano due binocoli: si chinava sul tavolo luminoso e metteva il “visto si stampi” su pagine piene di primi piani di organi sessuali

Interessante riscoprire il ruolo delle riviste nella storia erotica dell’Italia tramite rubriche quali le lettere allo psicologo e similari. Bella, fra le varie presenti dedicate agli addetti ai lavori, l’intervista a Jacopo Tomatis, redattore del Giornale della Musica, che affronta la fenomenologia della cricca di giornalisti professionisti in pensione, godenti di tutte le tutele anche economiche dell’Ordine che continuano a lavorare togliendo possibilità ai giovani colleghi. Questo nel mondo vero, dove girano, anche se pochi, gli sghèi, sul web uno si sbatte per passione e piacere personale. Punto.

Il lungo viaggio intrapreso da Inchingoli prende inizio negli anni Sessanta, quando la musica leggera e il Beat spadroneggiavano, per poi cedere pian piano sempre più spazio al rock. E’ il momento nel quale si affermano i vari Ciao 2001, Gong e Muzak, poi vi è l’esplosione delle fanzine ma sono gli anni Ottanta e Novanta a decretare il successo di Rockerilla, Il Mucchio Selvaggio, Rockstar, Buscadero, Rumore, Dynamo! Blow Up e Blast! In ambito heavy metal si è già disquisito sopra, basti solamente ricordare che dopo Inferno Rock nacque HM e prima di loro esistevano solamente le poche pagine dedicate al genere su Rockerilla. Lo scavallamento del secolo provoca un vero e proprio terremoto, fra globalizzazione applicata, free press diffusa e Internet che detta legge ovunque, in modo veloce e soprattutto gratis, alla faccia di chi si aspetta contenuti di spessore. Una vera e propria rivoluzione, che va di pari passo con il disinteresse delle giovani generazioni per qualsiasi forma scritta cartacea. Tutti argomenti che vengono abilmente e con cognizione di causa sviscerati dall’autore nei vari capitoli di Musica di Carta suscitando anche numerose riflessioni come, ad esempio, quale sia il significato delle recensioni, oggi, nel 2022.

Maurizio Inchingoli  narra con trasporto e competenza una storia che andava assolutamente raccontata, un vero peccato registrare un paio di evitabili scivoloni: i Judas Priest NON sono una band Nwobhm e Klaus Byron di vero nome faceva Claudio Alberti, NON Alberto Parente!

Per il resto, thumbs up!

 

Stefano “Steven Rich” Ricetti