Vario

Speciale Paul Chain: Opera Decima, Dies Irae ed Emisphere

Di Stefano Ricetti - 8 Giugno 2021 - 8:55
Speciale Paul Chain: Opera Decima, Dies Irae ed Emisphere

Le recentissime ristampe in Cd di Opera Decima (1990), Dies Irae (1994) ed Emisphere (1997) da parte di Minotauro Records offrono lo spunto di allestire uno special sulla parabola di Paul Chain legata all’improvvisazione oculata e all’elettronica, solo apparentemente in contrasto con l’heavy doom al quale viene più frequentemente associato, come abbondantemente ed esaurientemente illustrato da Fulvio Zagato, all’interno del suo excursus qui di seguito.

Avanguardia, l’avrebbe definita Franco Battiato, questa fase sperimentativa messa in atto dal polistrumentista pesarese, uno dal quale, per davvero, non si sa mai cosa aspettarsi…

 

Buona lettura,

Steven Rich

 

 

OPERA DECIMA, DIES IRAE, EMISPHERE. MA NON SOLO…

 

Se “Life & Death” aveva appena dimostrato in modo inequivocabile la maturità compositiva ed esecutiva di Paul Chain, Opera Decima (1990) ripropone l’artista pesarese in apparente contraddizione con se stesso e con le aspettative del pubblico. Apparente, perché in realtà questa imponente ed elegante pubblicazione (tre LP in box cartonato a tiratura limitata) rappresenta l’ideale evoluzione della seconda parte di “Violet Art of Improvisation” e del primo lato di “Opera 4th”: la celebrazione cioè dell’improvvisazione musicale e della spontaneità espressiva, elevate ad assoluto traguardo autarchico.

Anche questi brani sono stati registrati da Paul tra il 1981 e il 1986 in completa solitudine e ufficializzano in modo definitivo la sua personalità musicale più intima ed autentica, ovvero quella elettronica. Paul propone infatti all’ascoltatore lunghe composizioni di elettronica analogica lo-fi, spesso fissate su nastro in diretta, senza alcuna sovraincisione. È un concept sulla psiche umana, che si esprime essenzialmente in un contesto sonoro minimale estremamente “cerebrale” e claustrofobico, a volte ossessivamente ripetitivo e penetrante.

In “Jungle City” riappare momentaneamente la chitarra elettrica ma è distorta, “malata”, assoggettata alla base inaspettatamente ritmata e incalzante.

Si colgono a tratti, nel corso dell’opera, riverberi delle grandi avanguardie elettroniche tedesche, ma sono inflessioni fugaci, già metabolizzate, che vengono filtrate e poste ai margini della visione personale di Paul. Questa ristampa su doppio CD, così come la precedente del lontano 1996, ci permette di apprezzare la versione integrale di “Dogma” (44 minuti), che nella pubblicazione originale in vinile era stata, per ovvi motivi, necessariamente e drasticamente dimezzata.

È inoltre corredata (così come la ristampa di “Emisphere”, descritta più avanti) di un interessante booklet di otto pagine, che riproduce le indicazioni grafiche e le annotazioni che Paul era solito inviare alla Minotauro parallelamente ai nastri dei nuovi lavori. Un’occasione assolutamente inedita, che dimostra la cura meticolosa e il controllo maniacale che dedicava alla progettazione delle sue opere.

Anche Dies Irae arriva dopo un disco decisamente “rock” come “Whited Sepulchres”, e viene ristampato oggi per la prima volta da quel 1994. Il titolo (così come il corrispettivo brano) è ispirato all’omonima suite del compositore polacco Kzrysztof Penderecki (1933-2020), ed è l’ideale proseguimento concettuale e musicale di “Opera Decima”. Ci troviamo infatti nuovamente al cospetto di una “raccolta” di brani registrati in diverse fasi temporali, questa volta a partire dal 1986. L’affinità stilistica con “Opera Decima” è però soltanto parziale, dato che le nuove composizioni sono complessivamente meno soffocanti e più variegate.

 

 

A contesti prettamente elettronici si alternano così intervalli “idilliaci” come “The Hope”, dove la chitarra acustica ricorda i Pink Floyd di “Animals”, oppure “Red Lander” in cui l’incedere martellante delle percussioni e delle chitarre elettriche rimanda a più contemporanee (per l’epoca) contaminazioni industrial. Paul si occupa di tutte le parti strumentali, lasciando le uniche due tracce vocali alla sua nuova compagna/live-performer Sandra Silver.

Questo CD (l’unico formato che venne dato alle stampe) fu in quel momento l’ultimo disco targato Minotauro, a fronte della sottoscrizione da parte di Paul del famoso contratto triennale con la Flying che porterà alla realizzazione di “Alkahest”. Ultimo dettaglio rilevante: “Dies Irae” rappresenta anche e soprattutto il primo lavoro esteso completamente prodotto dalla Day Records, nuova denominazione dello studio personale che Paul aveva portato nel 1992 a un livello tecnologico superiore.

Con “Emisphere” facciamo un ulteriore salto temporale e arriviamo al 1997, di nuovo sotto il marchio rassicurante della Minotauro. Questo doppio CD era in origine destinato alla Godhead, ma l’improvvisa chiusura della stessa e il successivo fallimento della Flying ne mutarono le sorti. Con l’illustre predecessore “Alkahest”, “Emisphere” condivide soltanto il concetto filosofico di base, poggiato su simbolismi esoterico/alchemici di elevazione e rinascita spirituale.

Musicalmente si pone in linea di continuità con il materiale di “Opera Decima” e soprattutto di “Dies Irae”, riproponendo la voce di Sandra Silver in quattro tracce. Per il resto Paul si riconferma unico artefice di cupi e inquietanti paesaggi sonori, maggiormente opprimenti sul secondo disco, ad eccezione di due episodi realizzati assieme ad altrettanti amici/collaboratori di lunga data.

Il primo, “Transformation”, è un inaspettato e stralunato “dialogo” tra l’organo Elka di Mario Mariani e il sinth di Paul, che si evolve poi in un sempre più angosciante vortice sonoro sottolineato da una sofferente Sandra Silver. Il secondo, “Easter Day”, è una lunga, magniloquente suite dalle tinte epicamente liturgiche, eseguita in coppia con il compianto Aldo Polverari. Paul torna infine a imbracciare la chitarra in “Disease”, dove imbastisce un lungo e desolato monologo che accompagna verso la chiusura di quello che resterà l’ultimo progetto elettronico pubblicato a nome Paul Chain.

Possiamo quindi affermare che queste ristampe rappresentano le tre maggiori testimonianze della sua essenza artistica più profonda, spirituale prima ancora che musicale. Essenza che non è mai stata, al contrario delle apparenze, “nascosta” o in qualche modo tardiva in quanto Paul componeva e registrava musica elettronica già agli albori degli anni ’80. Esiste infatti un sottile filo (viola) che collega “War” (da “In the Darkness”, 1986), “Our Solitude…” (da “Opera 4th”, 1987), “Abyss” (da “Ash”, 1988), “Hypnosis” (da “Violet Art of Improvisation”, 1989) e “Oblivious” (da “Life and Death”, 1989) al “trittico” in esame (per una prospettiva più ampia e completa, rimando inoltre alle preziose “Relative Tapes”).

Paul decideva sempre personalmente le modalità di pubblicazione di questo materiale, in base all’istinto del momento, all’urgenza espressiva o a più ragionati criteri di opportunità, potendo contare sull’appoggio incondizionato della Minotauro.

Dopo la pubblicazione di “Emisphere”, Paul inaugura due ulteriori emanazioni del suo “brand” con le nuove sigle “Paul Chain Experimental Information” e “Paul Chain the Improvisor”: la prima a contraddistinguere le sperimentazioni particolarmente avanguardistiche e le collaborazioni con altri artisti, la seconda a identificare i momenti di assoluta spontaneità e di totale improvvisazione. La sigla classica continuerà invece ad accompagnare il materiale più spiccatamente psychedelic-doom, ma non sarà più associata allo storico logo, retaggio di un ingombrante passato da cui Paul vuole definitivamente emanciparsi, abolendone al contempo qualsiasi simbolismo.

Parallelamente, ogni denominazione verrà associata a un numero di “container”, evoluzione del sistema Violet Theatre, corrispondente a una determinata formazione o progetto. Ripercorrendo sinteticamente (per quanto possibile) le pubblicazioni ufficiali più significative, nel 1999 Paul Chain the Improvisor debutta su Minotauro con il doppio CD dal vivo “Official Live Bootleg”, una registrazione dichiaratamente lo-fi voluta soprattutto per documentare quella specifica formazione (completata da Alexander Scardavian, Danilo Savanas e Sandra Silver) molto attiva concertisticamente tra il 1997 e il 2000. La scaletta alterna lunghe improvvisazioni a vecchi e inaspettati classici come “Voyage to Hell”, “Evil Metal” e “Meat”.

 

 

Il 2001 è invece particolarmente intenso, con tre uscite destinate ad altrettante etichette discografiche. Inizia così la Beard of Stars che rilascia il corposo “Sign from Space”, ancora a firma Paul Chain the Improvisor: una lunga suite registrata in presa diretta dove lo space rock degli Hawkwind e alcune suggestioni degli Amon Düül II sono la base di partenza per divagazioni e improvvisazioni a briglia sciolta. Paul, come ai tempi di “Whited Sepulchres”, rinuncia alla chitarra per dedicarsi a voce, basso, tastiere ed effetti vari.

A poca distanza esce invece per la Andromeda RelicsMaster of all Times”, sempre a nome Paul Chain the Improvisor; questa però è l’unica analogia con il disco precedente perché il contesto musicale è totalmente diverso, con l’Hammond e la voce di Paul che padroneggiano una base prog vecchia scuola contaminata dal jazz e dalla psichedelia, il tutto ammantato da un velo di opaca decadenza. È infine la New LM a patrocinare il Paul Chain Experimental Information con un CD intitolato semplicemente “Container 47”, come la band di noise sperimentale con la quale Paul condivide il disco.

Il suo contributo consiste in sette composizioni strumentali per spinetta e pianoforte che non mancano di stupire per la loro singolarità, ma che concorrono a un risultato complessivo non molto riuscito. Il 2002 ci ripresenta invece la sigla storica Paul Chain, che pubblica per la Beyond Production il notevole “Park of Reason”: un ritorno alla migliore essenza psycho/stoner/doom dell’autore, aggiornata però al nuovo millennio, dove la sperimentazione non è solo musicale ma investe anche e soprattutto la produzione e la registrazione, targate ovviamente Day Records. Purtroppo questo CD rimarrà ai posteri anche come triste epitaffio di uno pseudonimo nato ben venticinque anni prima ed evolutosi in mille forme, attraverso una discografia imponente e variegata.

Il 5 aprile 2003 viene infatti diramato un laconico comunicato stampa: “Paul Chain is dead 1977-2003”, che inscena così la definitiva morte “fisica” e artistica del suo alter ego; il personaggio, tutta l’iconografia ad esso collegata (e il suo immaginario collettivo, ostinatamente rivolto alla parte più oscura) sono diventati un peso insopportabile, opprimente e persecutorio. Quelle che seguono nei mesi successivi sono perciò, a tutti gli effetti, album “postumi”.

Dalla Beard of Stars arriva così “Cosmic Wind” (Paul Chain the Improvisor), prosecuzione e completamento del precedente “Sign from Space” in quanto registrato durante le stesse sessioni. La New LM rilancia invece il nome Paul Chain con “Unreleased vol. 1”, una raccolta di registrazioni risalenti a vari periodi, eterogenee sia per contenuti che per qualità sonora (una sorta di “Relative Tapes” parte 2). Il “testamento” musicale definitivo viene però affidato alla Minotauro con “Unreleased vol. 2”, anche questo siglato Paul Chain: un connubio ideale tra “Whited Sepulchres” e “Alkahest”, con la partecipazione esclusiva di Scott “Wino” Weinrich (Obsessed, Saint Vitus e altri) in due brani.

Intanto Paul, stufo della società e del mercato discografico, si ritira in un parziale eremitaggio umano e artistico avviando una proficua fase di transizione e sperimentazione musicale “intorno” e “dentro” al rock, che sfocerà in vari e interessanti CDr autoprodotti e sporadiche esibizioni live, coadiuvato occasionalmente da nuovi collaboratori e dalla sua nuova compagna Lola Sprint. La Day Records diventa così Tra Bla Records, mentre le nuove evoluzioni artistiche prendono il nome di “P.C. Translate” (2005-2009) e “Paul Cat for Ambientalism” (2009-2010).

Ed è proprio con la prima denominazione che Paul rilascia nel 2007, a dieci anni da “Emisphere”, un nuovo lavoro di musica elettronica: “Electronic Music”, questo il titolo, si presenta come curioso progetto di videoarte interattivo in cui al CD audio, di impronta marcatamente ambient, viene abbinato un DVD per la visione simultanea di alcuni filmati amatoriali, girati dallo stesso Paul e rielaborati graficamente e cromaticamente in stile “vintage”. “Electronic Music”, proprio per questa sua trasversalità sonora e visuale, si pone in un certo senso come indicativo preludio alla definitiva rinascita artistica e spirituale che Paul intraprenderà di lì a poco.

Prima ci sarà ancora il tempo per un ultimo e inatteso ritorno al doom “positivo” con il valido “Metropolis” (Paul Cat for Ambientalism, 2009, dichiarato suggello alla lunga carriera rock dell’artista) e la partecipazione al mini CD “Mon Voyage”, primo lavoro solista della sua compagna Lola (Lola Sprint & the Cat, 2010). A partire dal 2010 Paul si riapproprierà infatti del suo nome di battesimo Paolo Catena inaugurando il progetto “Quadrimusicali”, un’originale compenetrazione di pittura astratta e musica elettronica ambient.

 

 

Le innumerevoli composizioni che ne deriveranno, realizzate a compendio delle opere pittoriche correlate, inizieranno ad essere raccolte e pubblicate sistematicamente con la stessa denominazione “Quadrimusicali” a partire dal 2012 dalla nuova label personale New Light Records, sempre e rigorosamente in formato Cdr (tranne “Quadrimusicali 1”).

Nel corso dei vari volumi (ad oggi ne sono usciti ben ventotto) la matrice sonora iniziale diventa sempre più cangiante, attraversando randomicamente sfumature “cosmiche”, industrial, noise, psichedeliche, oppure contaminandosi con chitarra, basso e percussioni (non necessariamente in compresenza). La sfrenata prolificità di Paolo (una media di tre CD l’anno, quasi un record) fatica a volte a conciliare quantità e qualità, ma contraddistingue comunque un percorso musicale apparentemente inarrestabile che vale la pena di conoscere, e che necessiterebbe di una (corposa) trattazione a parte.

Fulvio Zagato

 

Stefano “Steven Rich” Ricetti