Intervista Threshold (Karl Groom)
Quattro chiacchiere con il chitarrista cofondatore dei Threshold, a due settimane dall’uscita del decimo album in studio “For The Journey”. Karl Groom non risparmia la sua ironia inglese e svela i segreti del mestiere della sua band.
Intervista a cura di Roberto Gelmi.
Ciao Karl, benvenuto sulle pagine di Truemetal. È per me un onore farti alcune domande circa il nuovo album “For The Journey”, il vostro decimo album in studio. Fuor di retorica, i Threshold sono una delle mie band preferite dai tempi di “Hypothetical” (il primo platter che ho ascoltato della discografia) e penso che la vostra musica sia unica. Anzitutto, puoi dirci qualcosa riguardo la genesi dell’album (sessioni in studio, processo creativo)?
Il nuovo album nasce da un intento ben diverso da quello di “March of Progress“. Quest’ultimo è stato accolto positivamente, con ottime recensioni, e ho pensato che era inutile tentare di migliorarne la formula vincente. “For the Journey” mostra un lato più oscuro dei Threshold, oltre che testi più intimisti, e l’intero cambiamento è avvenuto in modo naturale in linea con quello che è capitato nella mia vita e in quella degli altri membri della band.
Perché avete scelto “For The Journey” come titolo?
A livello di testi, “For the Journey” è un album di esperienze personali e storie riguardanti il “viaggio” della vita. In passato abbiamo affrontato temi quali politica, filosofia e questioni ambientali, ma questa volta trattiamo di moralità, perdono e perseveranza. In realtà si tratta di un’esperienza introspettiva. Abbiamo avuto subito un titolo appropriato, anche se abbiamo vagliato altre possibilità, per poi realizzare che “For The Journey” era quello giusto.
I vostri artwork sono sempre significativi e ben fatti. In questo caso la copertina mostra un binario interrotto e una donna con uno zaino in lontananza. Recentemente ho letto Anatomia dell’irrequietezza di Bruce Chatwin: il viaggio è davvero l’eterna metafora della vita?
È stata, se mi permetti, più una riflessione sull’ispirazione che sta dietro al processo di scrittura, sia musicalmente parlando, sia a livello di testi. I temi oscuri di brani come “Unforgiven”, “The Box” e “The Mystery Show” sono stati scritti in un momento di lucidità sulla scia di alcuni eventi importanti e mi sono serviti come giusta via per ricordare persone che non sono più tra noi. L’artwork è opera del polacco Leszek Bujnowski. È curioso il modo in cui sono entrato in contatto con lui: ho trovato il suo nome per serendipità, cercando frasi chiave tratte dalle nostre canzoni sul web. Io e Rich volevamo usare una cover art fotografica e non affidarci ai soliti artisti specializzati in copertine di CD come in passato.
È il vostro terzo album per Nuclear Blast, siete soddisfatti del lavoro della label tedesca? Continuo a pensarvi una band ancora con contratto per Inside Out…
Ricordo che quando stavamo cercando di sganciarci dal contratto con l’Inside Out un mio amico, della band austriaca Edenbridge, mi disse che la Nucler Blast si stava informando circa i Threhsold. Dopo poche email abbiamo avuto l’offerta di contratto e abbiamo trovato fin da subito i ragazzi della Nuclear Blast gente a portata di mano con cui lavorar bene. C’è onestà e supporto per la band, più di quanto pensassi.
“For the Journey” è l’album più corto nella storia del gruppo. Di solito un platter dei Threshold dura circa un’ora. Avete altre canzoni che saranno pubblicate come bonus track?
Penso tu abbia ragione circa la lunghezza del disco, ma è la libertà della musica progressive. Penso che “March of Progress” sia il più lungo [e non sbaglia! n.d.c.], mentre “For The Journey” il più corto, ma si parla solo di pochi minuti e non mi concentro esclusivamente su questi dettagli. Canzoni e album devono trovare il loro naturale cammino creativo nei limiti del ragionevole. Ci sono già due bonus track, una scritta da Johanne James [“I Wish I Could” n.d.c.] e la versone acustica di “Lost In Your Memory”. Quest’ultima compare solo su vinile e digital download.
Sebbene sia un disco dal minutaggio breve, necessita di più ascolti per essere apprezzato come merita. Come spiegate questo fatto?
Penso che ogni nostro album abbia bisogno di più ascolti, questo è il nostro tipo di musica, più complesso del rock e del metal tout court per sua struttura e contenuti. L’ascoltatore avrà sempre una ricompensa nel riascoltare la nostra musica.
“For The Journey” è più coeso di March of Progress, suona più diretto e heavy. Una canzone come “Coda” qui sarebbe fuori luogo; di più, non c’è una grande ballad come le classiche “Keep it with mine” o “Keep my head”. Volevate creare un album tutto d’un pezzo?
“March of Progress” è un disco più eclettico e con più parolieri. Questo può essere un aspetto positivo o negativo, a seconda dei punti di vista, ma con For The Journey abbiamo raggiunto quello che volevamo. L’aspetto essenziale è sempre catturare l’emozione del momento e in questo caso non ripetere quanto fatto in passato. Scoprirete che “Watchtower on the Moon” e “Turned To Dust” si avvicinano a quanto presente negli altri album, ma il resto ha un approccio diverso.
Questa volta c’è un’altra lunga composizione, “The Box”, collocata, però, non in fine d’album (come, invece, “Part of the Chaos”, “Narcissus”, “Critical Mass”, “The Rubicon”): di cosa parla e perché l’avete piazzata a metà del platter?
Ho notato anch’io che le canzoni citate appaiono tutte in fine d’album, ma questa non è una ragione sufficiente per farlo di nuovo e non bisogna basarsi solo sulla lunghezza. In questo caso “The Box” serve a identificare nettamente il tono dell’album e i sentimenti dietro ai testi. È un brano che funziona bene anche per le dinamiche potenti dell’album in quanto terza canzone in scaletta, un po’ come “Eat the Unicorn” [in “Extinct Instinct” n.d.c.] o “Ravages of Time” [in “Hypothetical” n.d.c.]. Il tema del testo si riferisce, semplificando, a ciò che succede quando vecchio e nuovo si scontrano. Si può pensare, per esempio, alle tentazioni della vita che sembrano così invitanti, ma alla fine si rivelano nella loro pochezza.
A mio avviso le canzoni migliori del disco sono l’opener “Watchtower on the Moon”, “The Box”, “Autumn Red” e “Siren Sky”: hai delle preferenze circa le nuove tracce composte?
Probabilmente “The Mystery Show” è il pezzo che mi piace di più, sebbene preferisca sentire cosa ne pensano altri, dopo che ho speso tanto tempo lavorando sull’album, e poi troverò i mei preferiti certamente suonandoli più volte in sede live.
Siete i maestri delle armonie accattivanti e unite sempre saggiamente metal e tastiere sorprendenti: penso questa sia la vostra cifra musicale dai tempi di “Wounded Land“, non è così?
Tutte le nostre canzoni sono scritte avendo ben in mente armonie e arrangiamenti prima della bravura tecnica. Le tastiere aggiungono molto alle atmosfere della band e sono un elemento chiave del nostro sound. Abbiamo sempre voluto che la gente fosse in grado di ascoltare la nostra musica e dire che si tratta del sound unico dei Threshold. Non voglio certo affermare che siamo in qualche modo migliori di altri gruppi, ma che stagliamo per originalità.
Ora voglio fare qualche domanda circa la vostra carriera. Più di venticinque anni sul palco e i Threshold suonano ancora freschi e vigorosi. Qual è il vostro segreto durante il processo creativo?
Il mio segreto, risaputo, è di scrivere sempre e comunque nuovo materiale quando s’inizia a registrare un nuovo album. Mai tornare a della musica che non si è concretizzata in un album precedente, semmai mettere semplicemente tutto ciò che hai in mente per un nuovo lavoro. Questo mantiene anche le canzoni ben coese tra loro a livello musicale e mi permette di guardare avanti ogni volta che compongo.
Cosa risponderesti a chi dice che il vostro sound è noioso e ripetitivo?
Nessuno si lamenta dei Pink Floyd [qui Karl osa non poco! n.d.c.], ma molti sono rimasti delusi dal nuovo sound anni Ottanta dei Genesis. Per chi desidera uno stile musicale diverso dal nostro, ci sono centinaia di band in giro; io voglio suonare la musica che meglio si addice ai Threshold. La ragione per cui abbiamo iniziato a comporre più di vent’anni fa è che non trovavamo una band che suonasse la musica che volevamo ascoltare. Penso che in “For The Journey” si senta chiaramente un diverso approccio compositivo, ma al tempo stesso lo spirito dei Threshold.
Avete ottenuto la fama con “Extinct Instinct“, ma avete raggiunto livelli più notevoli con il trittico “Hypothetical“, “Critical Mass” and “Subsurface“, concordi?
Abbiamo fatto una specie di passo in avanti con “Hypothetical” e poi di nuovo con “Dead Reckoning“, ma penso ci sia ancora molto da fare con le compagnie di registrazione. Amo “Subsurface” in particolar modo, ma troverai sempre opinioni diverse da parte dei fan ed è un bene.
Avete anche debuttato con un capolavoro, “Wounded Land“, nello stesso anno del tour globale di “Images and Words” dei Dream Theater. A tal proposito, vi considerate una band progressive metal stricto sensu?
Il nostro intento è stato solo di unire gli stili musicali che amavamo ai tempi in cui abbiamo iniziato a suonare. Unire riff metal con la forza della musica progressive ci ha dato la libertà di superare le restrizioni del metal standard. Il metal suona troppo elementare e carente di melodia per me e il progressive è privo di potenza, così è stata un’evoluzione naturale per noi. Possiamo essere facilmente definiti un gruppo progressive metal, ma i fan hanno in mente un’idea diversa circa quello che siamo realmente.
Siete una band con intenti etici? Intendo dire che i vostri testi parlano di filosofia, società, ecologia…
I testi non indicano un punto di vista unitario che vale per l’intera band, sebbene non siamo persone poi così diverse. Abbiamo sempre trovato un tema base per ogni album e poi l’abbiamo sviluppato. Non vorrei mai essere visto come una persona che tenta di forzare le opinioni altrui, disposizione che denota aggressività e limitatezza intellettuale.
Il vostro sound ha una decadenza suggestiva e aspetti malinconici (non mi riferisco solo al titolo della vostra compilation del 1999, “Decadent“); alternate improvvise accelerazioni a momenti lenti e toccanti. Come nasce la vostra magia?
L’aspetto compositivo guida se stesso quando le canzoni migliori nascono assieme. Tutto quello che posso dire è che serve una giusta alternanza nel registrare un full-length per tener viva l’attenzione dell’ascoltatore. Tutti noi abbiamo ascoltato album dove ogni canzone ha un sound diretto e qualcosa, però, si perde per strada. Di solito bastano due o tre canzoni dure poi, sulle restanti tracce, l’impatto si perde se s’insiste in una direzione monocorde. I momenti più calmi hanno il bello di amplificare le parti più potenti del disco, così come arricchirle della loro bellezza, se accostate in scaletta.
Siete una band inglese: cosa pensi della pronuncia dei cantanti metal di altri Paesi?
Lavoro come produttore con alcuni cantanti di madrelingua diversa da quella inglese, ma non mi ha mai seccato. Finché si riesce a capire cosa dicono, il loro timbro e accento particolare può essere un vantaggio in certi casi.
Qual è il tuo parere sulle nuove direzioni del progressive metal (penso, ma non solo, al djent)? I Maschine, una giovane band inglese, l’anno scorso ha pubblicato un album stellare come “Rubidium“…
Di solito il prog. metal non è il tipo di musica che ascolto troppo spesso, quindi faccio fatica a commentare tale genere. Mi piacciono gli Scar Symmetry nella nostra stessa label, se si può forzare un po’ la mano e definirli prog. [infatti suonano un melodic death a tratti interessante n.d.c.]. Direi, però, che sono più portato per band che trasmettono maggiore atmosfera nella loro musica.
Sai dirci qualcosa circa I progetti paralleili League of Lights e Headspace?
Non sono sicuro siano ancora attivi come progetti, dovrei chiedere agli altri ragazzi della band. Richard [West, tastierista dei Threshold, n.d.c.] ha registrato il debutto dei League of Lights con sua moglie e ci ha impiegato più di dieci anni per finirlo, perciò forse è ancora presto per avere un successore! Gli Headspace nascono dal sodalizio di Damian Wilson con alcuni amici di lunga data e il gruppo è stato in attività, tra alti e bassi, circa un decennio. Penso, tuttavia, che pubblicheranno un nuovo album prima o poi.
Infine, come se la passa il buon Nick Midson (chitarrista dei Threshold dal 1988 al 2007)?
Nick è stato un membro che ha sempre timbrato il cartellino e ha sacrificato gran parte del suo tempo libero per dedicarsi allla band. Si è sposato e d’allora non l’ho visto granché, ma si tiene aggiornato sui nostri nuovi album. Era il membro più tranquillo dei Threshold e ha continuato a suonare la chitarra finché ha potuto, ora però è uscito di scena in modo definitivo.
È tutto, vi vedremo in Italia? Salutate i nostri lettori nel modo che preferite…
Stiamo cercando di tornare in Italia per il prossimo tour e spero che “For the Journey” lasci a ognuno di voi qualcosa di prezioso, ciao a tutti!