TrueMetal.it presenta: ‘From The Depths’ Vol 08
E’ sempre più interessante il sottobosco underground e TrueMetal.It non perde occasione per proporlo ai suoi lettori. Di seguito le recensioni di alcuni di questi album. Buona lettura.
Mat Cable – ‘Everyone Just Going Through Something’
Ad una fondazione avvenuta nel 2014 e dopo una serie di singoli ed EP, segue finalmente il disco d’esordio per i Mat Cable, band alternative rock supportata sin dagli albori da una etichetta parecchio rispettata in ambiti indipendenti come Alka Records.
Una amalgama sonora per lo più spiazzante è pietra angolare alla base della proposta del terzetto lombardo, portatore di doti tecniche e padronanza dei mezzi già piuttosto evidenti e tangibili, uniti ad una ricerca artistica che privilegia il desiderio di uscire da schemi predefiniti e classificazioni troppo cristallizzate. Al costo, come prevedibile, di smarrire talora un po’ in immediatezza e facilità di fruizione.
Dissonanze, ritmi spezzati ed un filo logico ‘emotivo’ che passa da momenti di apparente tranquillità ad attimi di follia scellerata, consegnano alle memorie un album a tratti stravagante come la copertina che lo accompagna, sardonica e fumettosa quanto il delirio di un personaggio uscito da una serie Bonelliana.
Punk, stoner, indie, grunge si rincorrono lungo le otte tracce presentate, attraverso le quali far conoscenza di una band dalle innumerevoli sfaccettature e dai valori più che evidenti che, tuttavia, sembra voler rimanere strenuamente ancorata ad un solido profilo underground destinato ad un novero ristretto di potenziali fruitori.
Difficili, dissonanti, allucinati, per nulla orecchiabili. Al contempo piuttosto impegnati in quanto a temi affrontati: uno sguardo spesso critico nei confronti di una società iperconessa, in cui anche le emozioni rappresentano ormai un bagaglio preconfezionato, reso sterile dall’appiattimento collettivo procurato dai social e dai mezzi di comunicazione di massa.
Un modo di proporsi che non è certo il viatico migliore utile nell’ottenere un successo ad ampio respiro, insomma. Scelte stilistiche quelle compiute dai Mat Cable che possono probabilmente risultare in parte opinabili.
Quanto, nel loro voler essere personali e decisamente autarchiche, rispettabilissime e meritevoli di plauso.
Voto 67/100 (Fabio Vellata)
https://www.facebook.com/HunterNautBand/?rc=p/
Alka Records (2019) (Italia)
Tracklist:
The Rim
June
Hey Doc
Hair
Heart Of Stone
Terror
You Like Me
Your Fire
Lineup:
Samuele Anselmi – Batteria
Andrea Sicurella – Basso
Raffaele Ferri – Voce / chitarra
Mirrorplain – ‘Lost in Paradise’
Secondo capitolo sulla lunga distanza per i tedeschi Mirrorplain, gruppo che aveva destato qualche sensazione interessante con il debutto ‘Path of Salvation’ datato 2017.
Invariata la proposta di base, modellata attorno ad un heavy moderno e dal taglio vagamente alternative, inciso da atmosfere spesso drammatiche, cariche di tensione, rese vibranti dalla buona interpretazione del singer Christian Döring, frontman dotato di una voce non proprio da usignolo ma ugualmente in grado di mettere in evidenza discreta versatilità.
Vicini molto spesso agli Evergrey ed a certi Queesnryche, soprattutto nella costante ricerca del pathos a cavallo tra sventagliate metalliche ed un approccio progressive, ai Mirrorplain sembra mancare anche questa volta la scintilla definitiva necessaria a compiere un definitivo salto in alto. Un avanzamento che è nel potenziale della band teutonica ma appare ancora incatenato da quella che potrebbe essere definita come una concreta mancanza di vera personalità. O forse di esperienza.
Suona tutto bene, la produzione è de-luxe, la strumentazione e chi la amministra non conosce motivi di critica, eppure lungo le undici tracce proposte non è raro imbattersi in qualche sbadiglio di troppo, segno che le emozioni così spasmodicamente ricercate tardano un po’ a manifestarsi, confinando il nuovo album ‘Lost in Paradise’ ed i Mirrorplain in un ambito underground da cui sarà vitale potersi affrancare in futuro con l’aggiunta di qualche idea vincente in termini di songwriting, in grado di incidere con determinazione sul destino di una band altrimenti costretta a dibattersi nelle retrovie della metal-scene all’infinito.
Ripartire e crescere da un discreto brano come ‘Sealed Off’ potrebbe, ad esempio, essere una buona idea per spingersi oltre alla sensazione di inanità troppo spesso percepibile nelle tracce presenti nel repertorio della band germanica.
Come si diceva a scuola: “potrebbe fare bene, ma non si applica abbastanza”.
Voto 59/100 (Fabio Vellata)
Label: Fastball
Tracklist:
Northstar
Speak To The Deaf
No. 1-0-7
Judgement Day
Lost In Paradise
Listen Up
Sealed Off
Drown
World Of Pain
Mr. Hyde
Faceless World
Lineup:
Christian Döring – Voce
Jeremy Vollmert – Chitarre
Jan Ackerschott – Chitarre
Sascha Drendel – Basso
Kevin Ax – Tastiere
Nikolas “Uli” Hoffmann – Batteria / Cori
Crypt Sermon – ‘The Ruins of Fading Light’
Una copertina e un logo forse fuorvianti circa l’indirizzo musicale dei nostri, rischia forse di affossare questa piccola gemma di Epic/Doom proveniente dagli States. ‘The Ruins of Fading Light’ è il secondo lavoro sulla lunga distanza dei Crypt Sermon, uscito sotto l’egida dell’attentissima Dark Descent Records. Il quintetto proveniente da Philadelphia, Pennsylvania, ha assimilato nel proprio DNA la lezione di numi tutelari come Candlemass, Solstice e Solitude Aeturnus, facendo sfoggio, comunque, di una certa personalità, derivante da un riffing work a tratti di scuola US Power. Ottima la produzione di Arthur Rizk, già al lavoro con Power Trip e Eternal Champion. Un suono che valorizza molto il lavoro delle chitarre, appunto, senza castrare quello degli altri strumenti. Una sorta di compromesso tra suoni moderni e retrò.
Particolarmente brillante la prova di Brooks Wilson dietro al microfono. Voce potente e mascolina, tesa a creare atmosfere epiche e rarefatte, alternate a momenti di estrema concretezza e lucidità. Solitamente usata in versione pulita, il nostro tende a volte a sporcarla, per donare maggiore spessore ed enfasi alle strofe. Non da meno il contributo in fase solista delle due asce Steve Jansson (ex-Vektor, tra gli altri) e James Lipczynski, entrambi con alle spalle già un discreto bagaglio di esperienza, come tutti gli altri membri del gruppo, del resto. Tenete gli occhi ben puntati su questo gruppo, se amate queste sonorità, perché i Crypt Sermon si candidano tra i migliori gruppi di questo 2019 in ambito Doom.
VOTO: 75/100 (Orso Comellini)
https://www.facebook.com/CryptSermon/
Label: Dark Descent Records
Tracklist:
The Ninth Templar (Black Candle Flame)
Key of Solomon
Our Reverend’s Grave
Epochal Vestiges
Christ Is Dead
The Snake Handler
Oath of Exile
Enslave the Heathens
Beneath the Torchfire Glare
The Ruins of Fading LightL
Lineup:
Frank Chin – Bass
Brooks Wilson – Vocals
Enrique Sagarnaga – Drums
Steve Jansson – Guitars
James Lipczynski – Guitars
Witch Vomit – ‘Buried Deep in a Bottomless Grave’
I Witch Vomit sono statunitensi. Non svedesi, come potrebbe fare pensare il loro stile che, appunto, pesca a mani basse i suoi principali dettami dallo swedish death metal. Questi dalla nascita ormai così lontana nel tempo da diventare, attualizzato, old school death metal. Ebbene, i Nostri praticano questo genere, comunque lo si voglia chiamare, con uno spunto sufficientemente personale: il terrore degli antenati americani, che permea, come mood perfettamente percepibile, ‘Buried Deep in a Bottomless Grave’, secondo full-length in carriera del quartetto dell’Oregon. Il sound di quest’ultimo è difatti cupo, tetro, tenebroso, i cui riff sono assestati su tonalità basse e horrorifiche. Il drumming, involuto e convulso, è, assieme al riffing putrescente, elemento di fondamentale importanza per uno stile certo non originale ma comunque ben inquadrato entro forme perfettamente leggibili. Il roco, quasi indistinguibile growling delle linee vocali s’impasta come si deve al resto del suono, coagulandosi in un insieme che fa onore ai temi trattati nel disco. Come spesso accade in questi casi, le canzoni sono praticamente indistinguibili le une dalle altre, immerse in un calderone di ribollente carne putrefatta, rimescolata da i laceranti assoli delle sei corde. Certo, esse sono tutte legate a doppio filo allo stile della formazione di Portland ma, di contro, formano un malloppo indistinguibile che, senza aspettare nemmeno troppo, induce alla noia. Una buona personalità, insomma, ma anche un’insufficiente talento in fase di scrittura.
VOTO: 58/100 (Daniele “dani66“ D’Adamo)
https://www.facebook.com/WebsOfHorror/
Label: 20 Buck Spin
Tracklist:
From Rotten Guts
Despoilment
Buried Deep in a Bottomless Grave
Dead Veins
Dripping Tombs
Squirming in Misery (Instrumental)
Fumes of Dying Bodies
Lineup:
Filth – Cranium Crushing Gore Fucker
C.L. – Corpse Whisperer
J.G. – Meathooks Of Doom
Tempter – Evil Spells/Screams From Below
Black Thunder – ‘All My Scars’
Esistono dal 2011, vengono dalla Lombardia e dopo un promo CD del 2014 (‘Dominant Idea’), esordiscono su Club Inferno Entertainment con questo ‘All My Scars’ (in distribuzione digitale), offertoci da mani che grondano sangue e che promettono un heavy roccioso, aggressivo e intriso di grumi di sabbia e incrostazioni emoderivate. Tra Metallica anni ’90, Black Label Society e vaghe reminiscenze anni ’80 alla Accept, il Tuono Nero esprime un sound il cui fragore si staglia nei cieli in modo ancora assai acerbo e spartano, davvero troppo in alcuni frangenti, a mio parere. Personalmente non ho digerito con facilità le linee del cantato, certamente virile ma a tratti poco amalgamato con gli strumenti. I chorus si riducono ad una o più parole ripetute – per l’appunto ‘in coro’, dalla band – tra un riff e l’altro, senza costruzione di un crescendo, climax o un minimo cambio di registro. Il songwriting manca di dinamismo, risulta troppo legato, imbrigliato, affoga nell’acido lattico. Le canzoni si discostano poco l’una dall’altra e, sebbene il tono generale sia indubbiamente coriaceo e stentoreo, ‘All My Scars’ finisce a conti fatti col mancare l’obbiettivo di coinvolgere fattivamente l’ascoltatore, l’eccesso di staticità e rigidità ci dispongono ai piedi di un monolite che non offre sostanzialmente appigli di sorta per essere scalato. Dopo una mezzoretta abbondante trascorsa a contemplare la sabbia del deserto, si avverte pressante l’esigenza di alzare gli occhi al cielo.
VOTO: 50/100 (Marco Tripodi)
https://www.facebook.com/blackthundermetalband/
Label: Club Inferno Entertainment
Tracklist:
Devil In My Bones
Try To Break Me
Angry Man
Stop The Abuse
Disorder And Pain
Days Could Stop To Run
Fly Away
Black Rain
Unrecognized Citizen
Anyway Have To Be Better
Lineup:
Andrea Ravasio – Drum & Lead Vocals
Davide Ferrandi – Guitars & Back Vocals
Ivan Rossi – Bass & Back Vocals
Half Life – ‘I’ve Got To Survive’
Percorso che più classico non si può quello dei laziali Half Life, nati nel 2015 proponendo cover dal vivo di grandi padri del genere come Saxon, Iron Maiden, Judas Priest ed Helloween. Un po’ di assestamenti in line-up prima di giungere all’assetto definitivo, che li vede guerreggiare come four-piece e che soprattutto li battezza attraverso la pubblicazione (per ora esclusivamente digitale) di questo EP per Club Inferno Entertainment. Apre le danze ‘I’ve Got To Survive’, corsa a perdifiato sui binari del metallo alla Riot; il ritmo si spezza solo in occasione dell’apertura dedicata al chorus, secondo un avvicendamento ‘scozzese’ (doccia calda/fredda) che dall’alba dei tempi è un’arma segreta a disposizione dei metalhead. Segue ‘Killing Words’, altrettanto ‘borchiata’ e dal riff portante squillante (secondo i dettami della Vergine di Ferro). Con le successive ‘Only Shadows’ e ‘The Judgement’ si aggiungono livree diverse al sound, che prende una direzione più epic power, con l’aggiunta di corettoni baldanzosi e cavallereschi. Gli Half Life sembrano voler pescare un po’ da tutto il ricettario heavy; dove l’intento trova una battuta d’arresto è nella produzione, ancora non all’altezza della potenza di fuoco che la band intende sprigionare. Certamente non si può parlare di originalità strabiliante nei solchi virtuali di ‘I’ve Got To Survive’, ma del resto i nostri si rivolgono alla tradizione e forse il loro unico vero compito sacrale diviene restituirla con lealtà e dedizione a chi ascolta. Decisamente migliorabile anche la copertina, davvero orrenda (a mio parere) e soprattutto fuorviante in relazione al genere proposto dagli Half Life. Vedremo come sarà un intero full length.
Voto: 60/100 (Marco Tripodi)
https://www.facebook.com/halflifeband/
Label: Club Inferno Entertainment
Tracklist:
I’ve Got To Survive
Killing Words
Only Shadows
The Judgement
Lineup:
Andrea Lippi – vocals
Manolo Cogoni – drums
Gianluca Olraitz – bass
Guerrino Mattioni – guitars
SednA – ‘The Man Behind The Sun’
Gli emiliani SednA sono da sempre una band di tutto rispetto e che ha sempre sfoggiato opere di ottima qualità. Con ‘The Man Behind The Sun’ i ragazzi mettono ulteriormente le cose in chiaro e tirano fuori dal cilindro un disco di livello altissimo e che noi italiani dovremmo applaudire con orgoglio. I cesenati, con una formazione in parte rimaneggiata, fanno il colpaccio ottenendo i servigi di un certo Benjamin Guerry dei The Great Old Ones al microfono e si cimentano nella difficilissima proposta del disco monotraccia. ‘The Man Behind The Sun’ dura quasi trentaquattro minuti ed è un’opera molto bella, che conferma ancora una volta la leggenda della maturità artistica al terzo album. Il genere proposto dai SednA è un black metal ibridato con elementi post, drone, doom e ambient; è una musica siderale, che punta tantissimo (e bene) sugli sbalzi di umore e ne fa il suo modus operandi principale. Si passa di continuo dai più feroci e brutali dei blast beat a parti oniriche e spaziali; dalle bastonate alla psichedelia in un niente. Completa l’opera la prestazione vocale di Benjamin, che è parecchio sopra le righe: il cantante è versatile e spazia con facilità da un registro all’altro mettendosi totalmente al servizio del brano. La sezione ritmica è sempre ben inquadrata e non tende mai a strafare mentre la parte del leone è affidata alle chitarre, che lacerano i timpani e sfoggiano una solida personalità. Si rimane sempre in bilico e la tensione è gestita con grande maestria; la dimensione soffocante e oscura messa in piedi dai SednA regge, cattura e rapisce l’ascoltatore catapultandolo in un magma dal quale difficilmente riuscirà ad uscire. Il disco, registrato a Bologna e masterizzato a Roma, è prodotto piuttosto bene; si sarebbe solo potuto fare meglio nei momenti più caotici e violenti che risultano un po’ confusionari, nulla però di particolarmente inficiante. Promossi quindi e a piene mani! Consigliamo caldamente l’ascolto e il supporto; i SednA meritano e auguriamo loro di riscuotere un gran bel successo, opere come questa non possono passare inosservate.
Voto: 80/100 (Gianluca Fontanesi)
https://www.facebook.com/Sedna.O/
Label: Spikerot Records
Tracklist:
The Man Behind The sun
Line Up:
A. Crisafulli – Chitarra
L. Tebaldi – Batteria
E. Motta – Basso
Lorenzo Stecconi (guest) – Synth, Chitarra
Benjamin Guerry (guest) – Voce
Death Above – ‘Digital Breed’
I Death Above appartengono alla scena Thrash spagnola dal 2010. Il loro primo album, dal titolo ‘The Attack of the Soul Eater’ è del 2012; sono dunque passati ben sette anni, durante i quali hanno registrato solo un EP e partecipato ad uno split con i Sadistic Ritual, gli Spew ed i Thrashtorno, prima che il combo rientri in sala di registrazione per immettere sul mercato discografico ‘Digital Breed’, secondo album autoprodotto direttamente e disponibile da febbraio 2019.
Il loro è un Thrash aggressivo e sfacciato, influenzato perlopiù dai lavori crossover degli anni ’80 di DRI e Nuclear Assault (in particolare il modo di cantare di John Connelly ispira spudoratamente il vocalist Javier Alfonso, discretamente bravo pur non raggiungendo i suoi livelli), ma anche di Exodus ed Anthrax.
Conseguentemente l’album è contraddistinto da un malsano uso della velocità a varie andature (estrema e un po’ meno estrema diciamo …) stoppata da cambi di tempo più cadenzati ma di forte impatto, con una sezione ritmica nervosa e compatta alla quale va ad aggiungersi un lavoro notevole della sezione solista, che è vera protagonista e non semplice riempitivo od un qualcosa che c’è perché deve esserci.
E’ poi apprezzabile l’inserimento di momenti più groove che dimostrano la ricerca, da parte dei nostri, di una propria personalità. Qui di lavoro ne serve ancora un po’, ma va bene così … siamo solo al secondo disco e certe cose possono essere perdonate, l’importante è che passi meno tempo per arrivare al terzo.
La maggior parte dei pezzi raggiungono livelli abbastanza alti come, ad esempio, le massicce ‘Darkness Falls’ e ‘No Vacancy in Hell’, la Title-Track ‘Digital Breed’, affilata come una lama di rasoio, ‘Alcoholic Bastards’, un distruttivo tempo medio che accelera arrogantemente, ‘Pain & Pleasure’, velocissima e massacrante e la dirompente ‘G.R.B.’. Sono invece poche le tracce che generano scarso interesse, tipo ‘Patino and Destroy’ e ‘Two-headed Shark Attack’.
Concludendo ‘Digital Breed’ presenta i Death Above come una band matura e tecnicamente preparata, con le idee sufficientemente chiare ma che deve lavorare ancora un po’ sulla scrittura per fare il definitivo salto di qualità. Attendiamo il prossimo lavoro.
VOTO: 70/100 (Andrea Bacigalupo)
https://www.facebook.com/DeathAboveOfficial/
Label: autoprodotto
Tracklist:
Darkness Falls
No Vacancy in Hell
Digital Breed
Alcoholic Bastards
Void
Pain & Pleasure
The Horror Comes from the Deep
Annihilation Message to Oblivion
Two-headed Shark Attack
G.R.B.
Slaughter on October 31
Lineup:
Javier Alfonso – Guitars, Vocals
Javitoxic – Vocals
Jose “Largo” – Bass
Carlos “Kato” – Drums
Pietro Baldan – Guitars
Deathegeist – ‘666’
I brasiliani Deathgeist sono nati nel 2017 per suonare un Thrash aggressivo e violento, ma anche carico della giusta dose di melodia per renderlo coinvolgente ed interessante. Dopo l’album di debutto, ‘Deathgeist’, pubblicato poco dopo la loro scesa in campo, ora è la volta di ‘666’, disponibile da giugno di quest’anno attraverso la label Thrash or Death Records.
L’album è dimostrazione di buona creatività e capacità tecnico-compositiva ed è stato abilmente registrato, prodotto e mixato per far emergere queste caratteristiche.
Quella che contiene è rabbia selvaggia allo stato puro, preceduta da un’intro (‘Darkness Araund’) composta da un suono cupo e sinistro di pianoforte con, in sottofondo, un vento mefitico e mortale intro che diventa anche chiusura, come per racchiudere l’essenza dei Deathgeist in un loro mondo particolare, da percorrere e scoprire, stando doverosamente attenti ai colpi in faccia ed allo stomaco.
Il combo si rifà, senza nasconderlo, alla vecchia scuola, assimilando le sue influenze in modo tale da non perdere di personalità.
Parlando dei brani, ‘666’ ha un attacco pestato quanto melodico a cui segue una veloce cavalcata. La voce è abrasiva, i cori epici, i refrain duri e determinati. Il brano è una folle corsa, spezzata da un interludio ed un assolo coinvolgenti.
I ritmi di ‘Domain’, ‘Human Slaughter’ e ‘Black Moon Rites’ sono folli quanto precisi e taglienti, con cori e doppie voci che escono un po’ dappertutto ed assoli importanti ed esaltanti e che impreziosiscono il songwrtiting.
‘Creepshow’ ha un tiro indemoniato, un’ aggressione sonora che spiazza e lascia interdetti.
I Deathgeist non si fermano, non hanno e non danno pause: ‘Virtual Murder’ , ‘Returning to Sodom’ e la finale ‘The Man Who Was Death’ sono prepotenti e devastanti quanto una salva di cannoni.
Tirando le somme: una buona padronanza degli strumenti, idee chiare sul songwriting, che unisce sagacemente violenza e melodia, assoli importanti, tanto tecnici quanto carichi d’enfasi, una voce abrasiva che fa restare nel pezzo. Gli elementi ci sono tutti per affermare che ‘666’ è un buon album di Thrash puro e genuino, magari non originalissimo ma comunque emergente ed inossidabile, esprimendo il carattere dei quattro guerrieri brasiliani. Bravi Deathgeist.
VOTO: 72/100 (Andrea Bacigalupo)
https://www.facebook.com/Deathgeist-551849411869537/
Label: Thrash or Death Records
Tracklist:
Darkness Around
666
Domain
Human Slaughter
Black Moon Rites
Creepshow
Virtual Murder
Returning To Sodom
The Man Who Was Death
Lineup:
Maurício Bertoni – Bass
Goro – Drums
Victor Regep – Guitars
Adriano Perfetto – Guitars, Vocals
Youthanasia – ‘I Believe in Nothing’
Ho conosciuto gli Youthanasia ad agosto di quest’anno durante una loro esibizione in un locale di Albisola, in provincia di Savona, più precisamente la birreria ‘Pub N. 7’, punto d’incontro delle band metal locali e di chi ha questa passione nel sangue.
Sono rimasto favorevolmente colpito dall’energia magnetica che hanno sprigionato sul palco, scaturita da un sound che prende il Thrash post 2000 e lo fonde con l’Hardcore e con un granitico Heavy Metal. Il risultato è una detonazione ad ampio raggio, devastante e coinvolgente che ti attanaglia e non ti lascia indenne, facendo si che non ti dimentichi di loro.
Sotto il profilo discografico il combo, nato nel 2001, ha inciso un demo nel 2003 ed un EP, dal titolo ‘I Believe in Nothing’, nel 2007.
L’EP è dimostrazione chiara delle parole sopracitate, trasudando energia e potenza trasgressive, ma evidenziando anche buone tessiture melodiche, con un songwriting che è il risultato di chi, non volendo essere scontato, sa percorrere artisticamente vari sentieri.
I sei pezzi che formano l’Extended Play, difatti, presentano una buona variabilità sonora, passando dalla muscolare ‘Morphine’, scandita, pestata e durissima, alla Title-track, ‘I Believe in Nothing’, già estremamente forte nel titolo (‘non credo in niente’), tiratissima e sprezzante, con un interludio ed un assolo incalzanti ed enfatici. ‘Alone’, incisiva e determinata, è un attacco sonico continuo, con il suo andamento cadenzato interrotto da una sezione velocissima sparata ad ‘alzo zero’. Invece ‘Choose Your Way’ emana un’anima blues, simile a quelle di cui erano intrise le produzioni Hard Rock anni ’70 ma portata al 2007 grazie alla cattiveria della voce ed all’incisività della ritmica. Veramente un gran pezzo.
‘Way of Pain’, lenta e malinconica ma con un interludio Thrash che mozza il fiato, ci dice che a qualcuno del gruppo piacciono i Metallica, ma da sempre esistono le influenze, che sono difficili da nascondere, soprattutto all’inizio.
Chiude la roboante ‘Future Black’, lasciando un segno indelebile in chi ascolta.
‘I Believe in Nothing’ è un buon inizio, non privo di cose da aggiustare o mettere a punto (come il modo di concludere i brani, che in molti casi poteva essere più curato) e in cui, qualche volta, la passione ha prevalso sull’arrangiamento.
Sono comunque passati dodici anni, molti angoli sono stati smussati e l’attività live ha reso gli Youthanasia più maturi e maggiormente padroni di se stessi, per cui, a parere del sottoscritto, sono pronti per esordire con il loro primo album. Attendiamo.
VOTO: 77/100 (Andrea Bacigalupo)
https://www.facebook.com/YOUTHANASIA-86914093486/
Label: autoprodotto
Tracklist:
Morphine
I Believe in Nothing
Alone
Choose Your Way
Way of Pain
Future Black
Lineup:
Igor – Bass/Vocals
Andrea – Drums
Luca – Guitars
Ste – Guitars
Ashen Horde – ‘Fallen Cathedrals’
Uno dei punti di forza del black metal è quello che all’interno del suo oscuro calderone è in grado di far convivere gruppi estremamente fedeli a un sound grezzo, dediti a registrazioni in presa diretta e che cercano in tutti i modi di mantenere stretto il legame con gli albori del genere, ma anche realtà musicali concentrate nello sperimentare senza porsi alcun tipo di limite, senza per questo snaturare la violenza e la malvagità di un sound subito riconoscibile. Gli americani Ashen Horde sono arrivati al terzo disco, ma con ‘Fallen Cathedrals’ mescolano ancora una volta le carte in tavola, gettandosi a capofitto in un vortice davvero difficile da definire con una sterile categorizzazione. Certo è che si tratti di musica estrema, capace di fondere a meraviglia i tradizionali stilemi black con soluzioni progressive e linee vocali mai scontate, addirittura con voce pulita.
Su questo album ci sono tantissime idee, spunti freschi che rinvigoriscono un connubio che tra black metal e death metal finisce spesso per suonare come l’ennesimo clone di qualche altra band arrivata su questi lidi anni or sono. Con ‘Fallen Cathedrals’ è diverso, perché ci si addentra in un viaggio introspettivo, dove ogni singolo elemento sembra esser messo appositamente per farsi scovare dagli ascoltatori più pazienti, gli stessi che ricercano qualcosa in grado di far vibrare le corde giuste e, come in questo caso, farsi largo in mezzo al mucchio grazie ad una qualità compositiva davvero meritevole di nota.
VOTO: 80/100 (Alessandro Marrone)
https://www.facebook.com/AshenHorde
Label: Extreme Metal Music
Tracklist:
Parity Lost
Profound Darkness
Retaliation/Regret
The Vanishing
Atavism
Cages
Final Ascent
Face of the Enmity
Lineup:
Trevor Portz – All instruments
Stevie Boiser – Vocals
Vagrant – ‘The Rise of Norn’
I Vagrant sono una band proveniente dalla Germania e sono autori di un death metal granitico, dall’incedere grave e carico di epicità pagana. La proposta musicale di questo esordio intitolato ‘The Rise of Norn’ è pomposa, a tratti quasi teatrale graze all’uso di tastiere e cori che danno un notevole spessore all’aura del disco. La band è alla costante ricerca di una melodia e lo dimostrano i molteplici tratti espressivi del cantanto in growl e i soli su cui la band havrebbe potuto comunque lavorare un po’ di più sotto il profilo della durata. I suoni sono puliti e di questo ne beneficia parecchio il tratto più epico ed atmosferico del disco. Nel complesso un bel lavoro. Qualche pecca in termini di ricchezza compositiva, ma sono certo che sia più un atto voluto per garantire epicità ed immediatezza al disco. Fortemente consigliato a chi ama il death melodico prego di tratti pagan.
VOTO: 70/100 (Nicola Furlan)
https://www.facebook.com/VagrantMetal/
Label: Black Lion Records
Tracklist:
The Whispering Sea
Blinded by Destiny
Deceptive Similarity
Darkness During the Reign of a Black Sun
Spirit of Valor
Blood on a Crow’s Beak
Lineup:
Dragnier: Vocals, Lyrics
Arnaud Morlier: Bass, Vocals
Stanley Robertson: Guitars
Ghostheart Nebula – ‘Reveries’
‘Reveries’ è il nuovo EP targato Ghostheart Nebula, band lombarda fondata qualche anno fa dal mainman Nick ‘N?’ Magister. Già da un primo ascolto si coglie l’attitudine del terzetto per l’oscuro, per tutto ciò che nel tempo è stato raccolto sotto il termine di ‘doom’. Attenzione però, i Ghostheart Nebula riescono a metterci del loro. Sanno giostrare alla grande dietro gli strumenti ed il risultato è oggettivamente realizzato tramite questi quattro brani. Via ogni orpello compositivo inutile, N? e compagni si concentrano sulla sostanza, puntellano gli istanti con brillante tocco. Ed ecco che arrivano le ondate di attitudine che l’EP riesce a trasmettere coi brani, a parer di chi scrive, ‘Denialist’ con il suo flavour funeral doom su tutti (con l’esoterica interpretazione vocale della norvegese Therese Tofting). Azzeccati pure i suoni, in grado di enfatizzare ogni dettaglio necessario per poter affermare che ‘Reveries’ è un piccolo gioiellino nello sterminato mare di produzioni doom nostrane degli ultimi anni. Peccato sia solo un EP… Non resta che attendere il full-length di esordio.
VOTO: 70/100 (Nicola Furlan)
https://www.facebook.com/ghostheart.nebula/
Label: Autoprodotto
Tracklist:
Dissolved
Elegy of the Fall
A.R.T.E. (Always Remember Those Eyes)
Denialist
Lineup:
Maurizio Caverzan – Vocals
Bolthorn – Bass
N? – Guitars, Keyboards, Drum program