Fabio Vellata
Un album che si rivelerà prezioso per gli amanti di ambientazioni a cavallo tra westcoast e synthwave, alla ricerca di musica meditata e scritta con profondità, più che dell’impatto improvviso ed adrenalinico tipico del rock duro.
Anni ottanta a tutto spiano, nel look, nello stile, nella radice profonda di una proposta che strappa tutto il possibile dall’ideale americano di trentacinque anni fa.
Dodici canzoni che pur mantenendo intatto l’elevato appeal della proposta made in Vega, sembrano per una volta non focalizzare appieno l’obiettivo.
Un disco che si mantiene in stretto contatto con il pianeta dei guitar-hero, offrendo un panorama totalmente strumentale in cui apprezzare per lo più grandi doti tecniche ed una verve compositiva di discreto fascino.
La formula messa in azione possiede fascino ed attrattiva. Il misto tra situazioni lente e passionali mescolate a momenti più crepuscolari, cromaticamente oscuri e quasi cinematografici, funziona.
Bello, sì. Tuttavia l’idea di aver assistito ad un film già visto, assemblato artatamente e con poca anima continua a pervadere i sensi.
Un tipaccio che a vederlo in fotografia pare più un personaggio da fumetto horror al quale non si darebbe particolare fiducia.
Ma che però, una volta ascoltato con attenzione, non ci si può esimere dal ritenere assolutamente credibile oltre che dotato di parecchie carte valide da giocare con successo.
Un interprete fantastico che fa davvero piacere veder finalmente riscoperto e valorizzato in tutta la potenza ed espressività di cui dispone.
Non proprio un disco per rocker "duri e puri". In ugual modo, un cd ben confezionato in cui la musica “alternative rock” nel senso più ampio del termine ottiene pieno compimento e da sfoggio di se stessa.
Discreto talento, buon istinto per la melodia accattivante, aggressività controllata ed il solido contributo di un navigato ed esperto marpione: il risultato che ne deriva è un disco godibile in tutti i sensi, veloce da ascoltare e tutto sommato longevo nel tempo.
In cuor nostro ci augureremmo di ritrovare Atkins quale protagonista di molti altri album. Siano essi dei Pretty Maids o, come in questo caso, griffati da solista.
Se così non fosse, “One Shot” sarà stato comunque un modo significativo, elegante, garbato, piacevole – ancorché agrodolce – di dirsi arrivederci.
Gagliardo, ruvido ma ugualmente elegante. Ben strutturato, solido, suonato in modo impeccabile da musicisti di altissimo livello. Un disco consigliato senza dubbio che, per qualità e valore, va a doppiare gli esiti molto convincenti dell’altrettanto valido album d’esordio datato 2015.
Impressionante. Non ci viene termine migliore e più attagliato nel descrivere quello che il trio di magnifici artisti ha saputo codificare nell’arco di undici tracce.
La bravura di un artista come Palace è indiscutibile mentre le ispirazioni messe in mostra, appaiono dotate di un tale alone di fascino che, già di per se, valgono l’interesse di chi si professa attento spettatore della scena melodica.
Ascoltare un disco dei Magic Dance equivale ad inoltrarsi in un mondo che si è cristallizzato come per magia a trentacinque anni fa. Un mondo che oggi appare nostalgico, romantico, forse pure un po’ malinconico.
Ma sempre tremendamente fascinoso ed accattivante.