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A.C.T. (Herman Saming)

Di Riccardo Angelini - 30 Ottobre 2006 - 1:33
A.C.T. (Herman Saming)

Gli A.C.T. non sono una band famosa. Eppure, gli A.C.T. sono senza dubbio una delle migliori formazioni che siano uscite dalla Svezia nell’ultimo decennio. La stessa definizione di “prog rock” finisce per stare irrimediabilmente stretta a un gruppo che è riuscito a forgiare negli anni un sound del tutto personale e immediatamente riconoscibile. “Silence” è l’ultimo capitolo (ma non per molto, come leggerete) nella storia dei ragazzi scandinavi. Abbiamo avuto l’occasione di parlare con Herman Saming, frontman della band, ragazzo simpatico, alla mano e per nulla montato dal successo che finalmente il nuovo album sembra riuscuotere, almeno in Svezia. A lui la parola.

Ciao Herman, cominciamo sbarazzandoci subito di una domanda inevitabile della sua ovvietà, che immagino tu abbia già sentito un milione di volte. Ma io mi auguro di prenderti per stanchezza. Che cosa significa il moniker A.C.T.?

(risate) Hai ragione, ce l’hanno fatta un milione di volte, ma noi resistiamo! (risate più forti) In realtà, su ciascuno degli album sono nascosti degli indizi, che rivelano il significato di quel nome. Ma di più non posso dire.

Ok, allora almeno puoi dirmi quanti album ci vorranno prima di avere talmente tanti indizi perché anche i meno portati per l’enigmistica possano capirlo? (risate)

(risate) Uhm, penso che ne serva ancora uno. Ma in qualche modo puoi già capirlo dai primi tre. Comunque nel quinto cercheremo di essere più specifici!

Bene, parlando d’altro, lasciami dire che “Silence” è veramente un album fenomenale. Lo aspettavo da molto tempo e non mi ha deluso affatto. Quanto tempo ci avete lavorato?

In realtà eravamo pronti ad andare in studio già un paio di anni fa, la maggior parte delle canzoni era già pronta allora. La parte più lunga è stata la fase di mixing, che è durata circa tre-quattro mesi. Ma la musica era già pronta da due anni. Poi abbiamo avuto dei problemi con la label, riguardo ai tempi di entrata in studio e altre cose. Così il tempo e passato, e intanto abbiamo apportato qualche modifica. Vedi, già la prima volta ne eravamo entusiasti, ma quando hai delle canzoni per così tanto tempo, ti viene spontaneo lavorarci su. Noi poi eravamo pieni di materiale, quindi…

Capisco… e della cover che cosa mi dici? Io la trovo azzeccatissima.

Beh, fondamentalmente alla cover ci hanno pensato Peter (Asp) e Ola (Andersson). L’idea originale è stata di Peter, che si è occupato della questione fotografica, quindi lui potrebbe parlartene meglio di me. Comunque la versione finale, così come tutto quello che puoi trovare nel booklet, è stato elaborato da Peter e Ola insieme.

Riguardo alla suite, “The Long One”, come l’avete chiamata, in “Silence” così come in “Today’s Report” e “Imaginary Friends” avete deciso di frammentarla in una serie di tracce più brevi. Come mai?

Ci piaceva l’idea di concludere l’album con una canzone particolarmente lunga. L’idea l’ha proposta Jerry (Sahlin), e insieme abbiamo lavorato sul pezzo. Volevamo fare una cosa in stile classico, ci piace dividere una canzone in tante piccole storie, come su “Today’s Report” e “Imaginary Friends” e… hai sentito “The Last Epic”?

Certamente!

Ecco, in teoria doveva essere veramente “the last epic”: il nostro ultimo album…

Per fortuna che avete cambiato idea…

(risate) Alla fine non ce l’abbiamo fatta a stare lontani dalla musica. E così ne abbiamo fatto un altro. A me poi piace molto fare delle canzoni lunghe e articolate, pensare ai testi, e concentrarmi solo su questo, e quando hai il prodotto finito… beh, avrai capito che mi piace un casino la nuova suite, Consequences, è quella che preferisco tra tutte.

E sembra che tu non sia il solo: se non vado errato “Silence” è piaciuto a un bel po’ di gente dalle vostre parti. Ve lo aspettavate?

Non così tanto. Sapevamo di avere parecchi fan in Svezia ma… beh, sai come funziona internet, non è difficile scaricare un album, così è successo anche al nostro. Ce ne siamo accorti perché “Silence” è uscito prima in Giappone, e dopo un po’ abbiamo scoperto che era già noto anche dalle nostre parti. Non me l’aspettavo, ma probabilmente è stata una buona cosa per noi: si vede che l’album è piaciuto, ed è per questo che tante persone l’hanno acquistato quando è stato messo in vendita.

Capisco. A tal proposito, la qualità del suono mi sembra uno dei marchi di fabbrica degli A.C.T.. Quanta attenzione dedicate a questi dettagli?

Sicuramente è una cosa molto importante per noi, cerchiamo sempre di ottenere il miglior suono possibile. Però vogliamo anche che il suono sia genuino: oggi con un computer si può manipolare qualsiasi pezzo, qualsiasi canzone… noi volevamo qualcosa che mantenesse la sincerità del nostro suono, non so se mi spiego…

Perfettamente.

Sì, ecco, vogliamo il miglior suono che possiamo ottenere, ma vogliamo anche che si capisca che noi, lì dietro, stiamo suonando davvero. Per noi è davvero una cosa fondamentale. Questa volta poi avevamo anche un nuovo produttore alle spalle, e non ci eravamo abiutati! Negli altri tre album abbiamo avuto un altro produttore, un tipo eccezionale, che ha fatto benissimo il suo lavoro, ma aveva i suoi punti di vista su come le nostre canzoni dovevano suonare… questa volta ci ha assistiti una persona diversa. Non so se conosci la sua band, lui è il tastierista degli Andromeda…

Certo! Chimera, il loro ultimo album, mi ha fatto un’ottima impressione.

Sì, vero… abbiamo anche lo stesso batterista (risate) Ecco, il loro tastierista, Martin Hedin, ha curato il nostro suono ed è venuto esattamente come lo volevamo, ne siamo estremamente soddisfatti.

Parlando del vostro background, c’è da dire che il sound degli A.C.T. viene spesso accostato a quello dei primi Queen e dei Saga…

…davvero? Grazie!

Prego! (risate) Ci sono altre influenze che sono state particolarmente rilevanti per voi?

Di influenze ne abbiamo tante. Probabilmente è per questo che il sound degli A.C.T. suona come suona. È perché ogni individuo porta in scena i suoi gusti personali. Sai, Jerry adora la Electric Light Orchestra e i Saga, Peter preferisce la musica più pesante, a Ola piace… beh, a Ola piace di tutto (risate). Quanto a me, amo i Toto, Sting… sono tutte influenze rilevanti, ma alla fine penso che siamo riusciti a plasmarle in un sound nostro, personale, diverso da quello di tutti gli altri.

Sono completamente d’accordo… Ora se ti va mi piacerebbe sapere qualcosa degli inizi della vostra carriera.

Come puoi immaginare, all’inizio è stata parecchio dura. Avevamo tutti una grande passione per la musica, e nel 1995 abbiamo infine formato una band. È stato allora che sono nati gli A.C.T.. A quei tempi andavamo ovunque ci fosse la possibilità di suonare. Abbiamo viaggiato in posti vicini e lontani, senza prendere un soldo, anzi, a volte rimettendoci pure di tasca nostra. Dovevamo pagarci il trasporto, il vitto e l’alloggio per suonare davanti a non più di venticinque persone. Ma l’abbiamo fatto volentieri e ci siamo divertiti moltissimo. Per certi versi era più divertente allora di quanto non lo sia adesso. In ogni caso, non eravamo una band importante, dovevamo lottare ogni giorno, ed è stata veramente dura. Partecipavamo a tutti i contest, suonavamo dappertutto… ci hai mai visti suonare dal vivo?

Purtroppo no. Anzi, volevo proprio chiedervi se avete in programma un tour che toccasse anche l’Italia.

Lo speriamo davvero. Certamente speriamo di venire in Italia in futuro, ma non so quando. Abbiamo in programma un tour, ma non è ancora deciso quando sarà. Probabilmente in estate, credo che sarà un lungo tour, e sicuramente verremo anche in Italia. È solo una questione di tempo.

È una promessa!

Certamente!

Bene, ora se non ti dispiace vorrei avere un tuo piccolo commento sui precedenti album degli A.C.T.. Sei d’accordo?

Nessun problema.

Benissimo, allora cominciamo con Today’s Report, il primo, e per certi versi anche il mio preferito.

Sono molto legato a quell’album. È stato il primo e… sai… è un po’ come il nostro primogenito! (risate) Per me è un gran bell’album, e ancora oggi ci piace suonare dal vivo molte di quelle canzoni.

Buono a sapersi…

Sì beh, stai tranquillo che non ce ne dimenticheremo!

E di “Imaginary Friends” che cosa mi dici?

Anche quello è un gran bell’album! (risate) La differenza è che col primo avevamo suonato per il puro e semplice piacere di suonare. Siamo entrati in studio e ci siamo scatenati. La seconda volta ci siamo guardati e abbiamo pensato: “Ehi, adesso si fa sul serio. È il momento di fare qualcosa di grosso, con questo album conquisteremo il mondo!”. E ci siamo fatti un mazzo grande come una casa, e ci siamo impegnati tanto… se lo dovessimo rifare oggi, probabilmente toglieremmo parecchie cose, ma in fondo è anche il suo bello. Non è tutto perfetto, ci sono alcun song in cui il mixing non è il massimo, ma ci sono anche delle cose che non smetteranno mai di piacerci.

Manca all’appello solo “The Last Epic”… e pure questo è un gran bell’album! (risate)

(risate) Grazie! Sì, ecco, è il nostro terzo album. Siamo ri-rientrati in studio e di nuovo abbiamo detto: “Con questo conquisteremo il mondo!” (risate). Abbiamo fatto del nostro meglio. Fu più difficile, perché volevamo fare un concept album…

…un concept piuttosto singolare, peraltro.

Infatti. A quei tempi vivevamo tutti in appartamenti, e volevamo fare qualcosa che fosse collegato a questa situazione. Vedi, quando vivi in un grande condominio, di fatto vivi sotto lo stesso tetto di tantissime altre persone che non incontrerai mai… e a separarti da loro c’è soltato un muro. Quello che volevamo fare era raccontare delle storie ispirate a loro… dal punto di vista degli appartamenti!

Parlando di traslochi… negli anni settanta la patria del progressive rock era senza dubbio l’Inghilterra, mentre oggi bisogna prendere atto del fatto che molte delle band più valide nel settore sono di origine scandinava. Che cosa ne pensi?

Sì è vero, abbiamo molte prog band di qualità, ma non saprei dirti perché. Tra l’altro spesso sono gruppi famosi in tutto il mondo, ma non lo sono qui in Svezia. Per esempio abbiamo i Flower Kings, che sono una grande band, ma in genere la gente non li conosce. Però quando fanno dei concerti, li vanno a vedere in molti. La Svezia non è un paese estremamente popoloso, credo ci siano circa nove milioni di persone, ma ci sono molti appassionati di musica, e molti musicisti. Credo che in questo sia importante il fatto che la musica nelle scuole è presente fin dalle prime classi… non so se in Italia e lo stesso.

Per niente. Personalmente ho avuto un assaggio di sommaria educazione musicale soltanto alle medie, e si suonava solo il flauto e la pianola (io ero una frana in entrambi…).

Ecco, principalmente da noi nella scuola media si impara a cantare, mentre alle superiori si cominciano a prendere in mano chitarra, batteria, basso, pianoforte… penso che questo sia importante per la diffusione di una buona cultura musicale in tutto il paese.

Di sicuro lo è! Ti ringrazio Herman, e ti lascio concludere quest’intervista come preferisci.

Ti ringrazio anche io, e a chi apprezza la nostra musica consiglio di restare in ascolto, perché il prossimo il prossimo album non tarderà a vedere la luce: abbiamo già parecchie canzoni pronte, e altre ne stiamo scrivendo. E per quanto riguarda l’Italia… ti dico solo: ci vedremo presto!