Adramelch (tutta la band)
Gli Adramelch rappresentano un vero e proprio patrimonio artistico per la musica heavy tricolore e non solo. Una band che è diventata leggenda, un punto di riferimento per moltissime altre formazioni. Dopo il definitivo addio alle scene annunciato lo scorso aprile durante l’esibizione al Keep It True Festival, il quintetto milanese ha pubblicato “Opus“, nuovo ed ultimo full length che rappresenta una sorta di eredità in musica lasciata dalla band.
Dopo aver curato la recensione di “Opus”, il nostro Marco Donè, con la supervisione della storica penna di Stefano ”Steven Rich” Ricetti, non si è fatto scappare la possibilità di fare due chiacchiere con la band.
Intervista a cura di Marco Donè
Ciao Adramelch, sono Marco, è un piacere avervi ospiti su TrueMetal.it, come va?
Vittorio: ciao Marco, tutto molto bene direi. Il nuovo ed ultimo CD è fuori da qualche mese, direi che sta andando molto bene e… e siamo ben felici che TrueMetal.it sia interessato a noi! Siamo estremamente soddisfatti di quello che non può che esser definito il nostro ultimo lascito. Concedimi una nota di malinconia: da un certo punto di vista peccato che gli Adramelch non esistano più! Peccato che la pubblicazione di questo disco coincida con la fine del gruppo.
Il nuovo “Opus” è uscito da un paio di mesi e sta raccogliendo solo pareri estremamente positivi. Vi aspettavate tutto questo entusiasmo attorno al vostro nuovo album?
Gianluca: davvero un grande riscontro, ne siamo felici. Nel periodo in cui provavamo i pezzi, e successivamente durante le registrazioni, eravamo abbastanza consapevoli stesse uscendo qualcosa di speciale. Il nostro entusiasmo cresceva mano a mano che le song prendevano corpo. Quando pensi di aver fatto un buon lavoro c’è sempre la speranza che venga accolto positivamente dal pubblico ma certo fa impressione constatare tutto questo entusiasmo. Finora la media del punteggio delle recensioni uscite in tutta Europa è del 9! Questo ci onora e ci ripaga di tutto l’impegno che abbiamo messo.
Vittorio: che dire… il lavoro dietro questo CD è stato davvero imponente e gli sforzi profusi da parte di tutti in termini di tempo, energie e anche soldi (che ben sappiamo non rientreranno mai) notevolissimi.
Ne valeva la pena, considerato che con l’uscita del disco si sancisce la fine dell’esperienza Adramelch? Noi crediamo di si. è il nostro modo per dire grazie a quanti ci hanno seguito e sostenuto durante questi anni. Anziché lo scarno comunicato stampa, destinato ai pochi che se ne sarebbero accorti, in questo mondo di comunicazione ipertrofica globale, un grandissimo CD, il nostro migliore, sotto tutti gli aspetti. Come si usa dire… un’uscita in grande stile no?
“Opus” risulta accattivante già dal suo impatto visivo, grazie ad una copertina estremamente affascinante. Vi va di spiegarci il suo significato e da chi è stata ideata?
Gianluca: si tratta di un opera del grande artista Andrea Boyer, disegnatore, pittore e fotografo. La serie recente di foto che ha realizzato con le nicchie ossidate ci ha affascinato immediatamente. Tra queste abbiamo individuato alcune immagini molto forti che vedevamo già perfette per la copertina. Molto suggestive e misteriose. Conoscevo Andrea perché in passato avevo partecipato con lui ad alcune esposizioni collettive, quindi non è stato troppo complicato proporgli la cosa.
In realtà, inizialmente era un po’ restio all’idea di prestarci le immagini, ma una volta riusciti a fargli ascoltare un paio di pezzi è rimasto sbalordito e non ha più avuto riserve. E’ una collaborazione di cui vado molto fiero perché è uno degli artisti italiani che apprezzo di più e che mi ha maggiormente influenzato come pittore.
Fabio: il booklet di “Opus” è impreziosito dalle fotografie artistiche di Giancarlo Pagliara. Sono talmente “strane” da sembrare il risultato di un lavoro di fotoritocco digitale… E invece è tutto frutto di una particolare tecnica di illuminazione combinata con tempi di esposizione lunghissimi.
Queste foto saranno utilizzate anche per il retro-copertina della versione in vinile di Opus.
Vittorio: le foto che ci ritraggono ci sono piaciute così tanto che per la prima volta abbiamo deciso di dedicarvi un grande spazio (una facciata per ognuno di noi). Fino ad oggi infatti non avevamo considerato che le nostre foto dovessero avere un peso all’interno dei libretti, anzi, in più di un’occasione, avevamo considerato di evitarle del tutto. Ma davanti a delle opere d’arte come quelle di Giancarlo, diciamo che il soggetto fotografato è passato in secondo piano!
E com’è nata la scelta di “Opus” come titolo del disco?
Gianluca: tutto è partito dalle immagini di Boyer ed in particolare da quelle col tema dell’uovo, intero o rotto, sospeso all’interno delle nicchie di metallo. L’immagine si legava molto bene all’atmosfera della nostra musica e con l’idea di ‘opera’, di creazione artistica che volevamo esprimere: l’uovo come ‘contenitore’ della nostra creatura artistica. Inizialmente, uno dei titoli possibili era “Long Live The Son”, anch’esso riassumeva abbastanza bene il concept del disco, ma alla fine abbiamo optato per “Opus”. Nella sua semplicità, sintetizza bene tutto il lavoro e in qualche modo si riallaccia al latino/greco di “Irae Melanox” che ha dato inizio a tutto.
Una delle caratteristiche che balzano subito all’orecchio durante l’ascolto del vostro ultimo lavoro, è la qualità del suono. Sicuramente la miglior produzione nella discografia Adramelch. Quanto ha inciso in questo senso l’aver lavorato per la prima volta con un vero produttore come Guido Block?
Gianluca: Guido è un amico ed uno straordinario musicista (cantante e bassista) e fonico con cui abbiamo avuto da subito grande affinità. Lavorare con un professionista come lui è stata una grande lezione, un’esperienza che ci ha fatto crescere come musicisti.
Preparato e rigoroso, ha fatto la differenza in ogni fase della lavorazione. Si è integrato alla perfezione con noi per comprendere come realizzare al meglio quello che avevamo in mente. Unico dispiacere: non avere realizzato con lui anche il precedente “Lights”.
Guido conosce alla perfezione le macchine che utilizza, i microfoni, l’acustica degli strumenti, i metodi di ripresa e il suo approccio è sempre musicale. Il suono che è riuscito ad ottenere è quanto di più naturale si possa immaginare. Il progetto Adramelch si è sempre focalizzato, in particolar modo, nello studio di registrazione; crediamo di dare il meglio in questo contesto dove ci possiamo concentrare sull’aspetto creativo. Questa volta possiamo dire che non ci sia nulla che non ci soddisfi. Ogni dettaglio è messo in luce come volevamo.
Nel complesso il lavoro è stato piuttosto collettivo. Guido non ci ha imposto le sue scelte ma le abbiamo discusse e condivise e cambiato strada dove non c’era una completa convergenza. Il mix è stato fatto a stretto contatto con lui proponendo soluzioni e scelte particolari riguardo la stereofonia o gli ambienti. Dopo le prime settimane non riuscivamo più a vedere la fine del lavoro tante erano le parti da registrare. Lo stesso Guido forse non si aspettava un compito così impegnativo e qualche momento di sconforto c’è stato… ma alla fine abbiamo portato a termine l’opera con la massima soddisfazione da parte di tutti!
Vittorio: Peccato aver capito, o meglio essersi convinti, solo con l’ultimo CD che la presenza di un produttore esterno avrebbe giovato in maniera così decisiva sulla qualità complessiva dell’opera…
Quali sono i temi che affrontate nei testi di “Opus”? C’è un filo conduttore tra le canzoni?
Sigfrido: non credo si possa parlare di filo conduttore nel senso di concept, ma trovo che i testi siano tra loro omogenei come lo sono i pezzi nel loro complesso. Sono testi molto introspettivi, malinconici, a tratti molto cupi. Si tratta di riflessioni o suggestioni sulle difficoltà dell’esistenza, sulle cose che prima o poi finiscono, sulla continua ricerca di un qualcosa che non sappiamo cosa sia; parlano di dolore, di cambiamento, del logorio di una vita che si ripete sempre uguale, delle mille illusioni della realtà che ci troviamo di fronte, del senso di estraneità che spesso proviamo verso gli altri ed il mondo. Si discostano un po’ da queste tematiche i due pezzi più epici e diretti: “As The Shadows Fall” e “Forgotten Words”, che pure suggeriscono spunti di riflessione sull’ineluttabilità del destino e sulla decadenza della società.
Sarmax: Così come già detto da Sig una omogeneità c’è, tra l’altro neanche cercata a tavolino, anche in canzoni che si discostino leggermente da questo “leit-motiv”, se vogliamo chiamarlo così. Un esempio di ciò sono “Pride” e “Long Live The Son”, scritti da me appunto, che vogliono essere un omaggio all’essere “artisti” (nostro, e non solo). Al cosa voglia dire passare ore e ore a costruire qualcosa che non sia solo soddisfacente per l’autore, ma anche per chi poi sarà il destinatario finale. Alla fatica, ma anche alla soddisfazione, all’orgoglio appunto.
Un omaggio, in definitiva, anche a noi stessi.
Qual è, secondo voi, la canzone che rappresenta meglio il disco e perché?
Gianluca: non credo ci sia un brano ‘manifesto’ dell’intero album. Ciascuna delle dodici tracce rappresenta un tassello che fa parte di un’unica e grande composizione. Tra queste, forse, quelle che spiccano e che vengono segnalate spesso tra le preferite dagli ascoltatori sono: “Pride” e “Long Live the Son”. Quest’ultima, in particolare, credo abbia una melodia, una struttura, un incedere e un testo che la rendono unica.
Vittorio: sono d’accordo, non esiste una canzone che definisca l’album che in effetti è abbastanza diversificato. Ciò detto, forse “Pride” è la più rappresentativa: melodia molto coinvolgente, “catchy” ma non eccessivamente epica, composta da momenti emotivamente diversi più veloci e più malinconici, con un bellissimo solo…
Una domanda per Vittorio. In quanto cantante hai il ruolo di interpretare e “vivere” le liriche di ogni singola traccia. Qual è la canzone che senti più tua?
Vittorio: domanda difficilissima. Mi piace molto il risultato ottenuto con “Black Mirror”, mi piacciono moltissimo i pezzi in cui duetto con Guido (come “A Neverending Rise”) la cui voce apprezzo moltissimo da sempre – ci conosciamo dal suo arrivo in Italia, una trentina d’anni fa, 30 anni… – ma forse la più riuscita è quella che chiude il CD, “Where Do I Belong”, con un epilogo lasciato alla bellissima voce di Simona. Un’ottima chiusura per il CD che mi auguro però non venga penalizzata nell’ascolto di chi si ferma prima del sessantunesimo minuto… non era la mia favorita prima delle registrazioni ma il risultato finale è decisamente oltre le mie aspettative.
Qual è il ricordo di tutti questi anni come singer degli Adramelch che porterai sempre con te?
Vittorio: di ricordi incredibili ne ho molti e di diversa natura… può sembrar poca cosa ma leggere le recensioni entusiastiche di quanto noi abbiamo prodotto è per me ancora oggi molto emozionante e motivo, contemporaneamente, di orgoglio e gratitudine.
I concerti fatti in Germania e in Grecia sono stati tutti esperienze molto speciali, quelli del KIT per esempio, festival cui abbiamo avuto l’onore di partecipare 2 volte e che è stato teatro della presentazione in anteprima di Opus e del nostro brevissimo ma molto sentito,discorso di addio (25 Aprile 2015)… quelli del Up the Hammers del 2007, quando mi trovai davanti a un pubblico caldissimo e super preparato che cantava con me gran parte delle nostre canzoni…
Ma forse il ricordo più indelebile è legato al concerto del nostro come back, nel 2004 ad Amburgo. Ad essere onesti, la nostra prestazione in sé non fu granché (tra le altre cose avevamo dovuto reclutare all’ultimo minuto un chitarrista che restò con noi pochi mesi) ma fu il momento in cui ci rendemmo conto del seguito di cui godevamo ancora, grazie a Irae Melanox, a sedici anni dalla sua uscita. L’accoglienza del pubblico fu davvero strepitosa e inaspettata: gente che cantava i brani di Irae Melanox a squarciagola con noi, ragazze che si erano sgroppate oltre 800 km per venire ad assistere al concerto del ritorno degli Adramelch… decisamente indimenticabile.
Ora una domanda che, da fan, mai avrei pensato di farvi. “Opus” è il vostro ultimo disco dopodiché gli Adramelch non esisteranno più. Qual è stato il percorso che ha portato a tal decisione? Quant’è stato doloroso dire basta?
Gianluca: quella di mettere “la parola fine” al percorso Adramelch è stata una decisione presa di comune accordo maturata diverso tempo fa, durante la scrittura e le prove dei brani che avrebbero fatto parte dell’album. In quanto compositore delle musiche ero giunto a percepire che, dal punto di vista dell’ispirazione, qualcosa si stava esaurendo e che non mi sarei sentito a mio agio a proseguire in quel determinato contesto musicale. Ero consapevole che le songs su cui stavamo lavorando rappresentavano quanto di meglio e compiuto avessimo concepito fino a quel momento e che difficilmente avremmo potuto dire qualcosa di più o di meglio. In qualche modo ero conscio che sarebbe stata la conclusione di un ciclo, di una fase importante della mia e della nostra vita. Le ultimissime idee musicali, quelle successive ai brani di “Opus”, stavano andando in una direzione diversa, più intima e acustica, vicina a brani come “Northern Lights” o “A Neverending Rise”, piuttosto lontana dal metal, insomma. Il nome Adramelch resta legato indissolubilmente all’album “Irae Melanox”, ma quel mondo è sempre più distante da quello che abbiamo in mente di fare oggi.
Abbiamo ritenuto rispettoso nei confronti del pubblico, di chi ci ha seguito finora, non continuare a legare il nome Adramelch al nostro futuro musicale. Futuro che, per quattro mi riguarda, al momento è abbastanza indefinito.
Tra i motivi sopravvenuti alla decisione di fermarci, non ci sono quelli relativi a incomprensioni o dissapori tra i componenti del gruppo. Dico ciò perché è normale pensarlo quando accadono cose di questo tipo nelle bands.
Ho proposto al gruppo di continuare il progetto Adramelch senza di me, anche se solo per quanto riguarda l’attività live, ma l’idea non ha riscosso grande entusiasmo.
Un altro dei motivi che ci ha spinto a fermarci è legato ai maggiori impegni di lavoro di ognuno ed alle difficoltà a ritagliarsi tempo ed energie per una attività che richiede uno sforzo immenso. Come sappiamo gli anni passano e non siamo più giovincelli…
Insomma, questa decisione è stata presa con molta consapevolezza.
Sono orgoglioso di quello che abbiamo fatto in questo ultimo capitolo… non ho quasi parole per esprimerlo. Penso sia quanto di più compiuto avremmo potuto realizzare. Non provo tristezza e non ho rimpianti. Continuo a riascoltare “Opus” e, anche dopo centinaia di volte, mi emoziona. Questo per me è un piccolo miracolo. Credo che l’album rappresenti una sintesi del nostro percorso, una importante conclusione della nostra storia.
Vi siete mai fermati a pensare su ciò che gli Adramelch rappresentano all’interno della scena? Una vera e propria cult-band, un nome leggendario che emoziona semplicemente pronunciandolo. Che effetto fa tutto ciò?
Vittorio: Ti ringrazio per quanto ci dici Marco. Credo ci sia una strana miscela di fattori diversi che ci hanno portato a questo “status” e, senza falsa modestia, ritengo che uno di questi fattori sia la fortuna. Non voglio togliere valore/merito a quel disco strano e incredibile che pubblicammo nel lontanissimo 1988, ma considerati gli scarsissimi mezzi con cui registrammo, la distribuzione del vinile che seguì canali a tutt’oggi sconosciuti, il fatto che un gran numero di vinili stampati fu mandato al macero dalla stessa casa discografica, credo che senza il fattore fortuna un disco pur musicalmente interessante e molto avanti rispetto agli anni in cui uscì, non avrebbe raggiunto una tale notorietà.
Certo da quando abbiamo colto con pienezza quanto rispetto ci sia per il nostro nome, beh la nostra gratitudine verso chi ha contribuito in modi diversi a questa notorietà è grande.
Ora che siete arrivati alla fine di un percorso artistico, quali le differenze tra gli Adramelch degli inizi e quelli targati 2015?
Gianluca: come ti dicevo molto è cambiato dai tempi di “Irae Melanox”. Il salto tra quel mondo e quello attuale, e soprattutto quello che andrà a profilarsi nel futuro, è enorme. La scelta di chiudere con il progetto Adramelch nasce proprio da questo. Credo che tra “Irae Melanox” e “Broken History” non si senta una differenza enorme dal punto di vista musicale e degli arrangiamenti. I due capitoli sono abbastanza consecutivi uno all’altro, anche se sono, di fatto, passati molti anni. Maggiore distanza la sento tra “Broken History” e “Lights From Oblivion”. “Opus” è il naturale proseguimento di “Lights…” e anche tra questi due capitoli vedo una certa continuità stilistica.
Vittorio: le differenze sono enormi Marco, sia quelle interne che quelle esterne. Il mondo musicale è davvero una cosa diversa… e buona parte di questa differenza è causata dalla presenza di internet, con tutto quello che esso porta con sé.
Quanto a noi, sai, trent’anni di vita e quindi anche di musica praticata ed ascoltata, per fortuna non passano invano. La maturità artistica raggiunta con questo disco ci inorgoglisce. “Irae Melanox” con tutti i meriti che naturalmente gli riconosciamo, evidenzia molte ingenuità.
“Opus” ritengo che raccolga i progressi compositivi e di arrangiamento fatti con “Lights From Oblivion” ma affondando le radici nel nostro passato remoto! Una sintesi che inequivocabilmente porta il marchio Adramelch.
E adesso? Ci sarà un tour di supporto a “Opus”? Potete darci qualche anticipazione?
Sigfrido: no, nessun tour. Gli Adramelch sono ufficialmente fuori servizio. Magari una reunion fra dieci anni…
Vittorio: l’addio dal palco del KIT, lo scorso Aprile è stata la nostra latest and last comparsa su un palco. Ci rendiamo conto di quanto sia un peccato non coronare il frutto di tanti anni di lavoro con un piccolo tour, magari proprio in Germania, terra che più d’ogni altra ci ha tributato onori e riconoscimenti, ma tant’è. Oggi come oggi questo va oltre le nostre possibilità.
Del futur non v’è certezza: d’altronde, se nel 2002 mi avessi chiesto circa una possibile reunion, mai mi sarei immaginato che nel 2004 avrei calcato il palco del Headbangers Open Air con Gianluca e Franco!
All’interno della recente intervista realizzata da Stefano “Steven Rich” Ricetti nei confronti dei Dark Quarterer, è stato chiesto alla band cosa pensasse degli Adramelch e se non fosse ora di fare finalmente un concerto insieme, nel momento in cui qualche organizzatore ve ne desse la possibilità.
“Ribaltiamo” ora un paio delle stesse domande a voi:
In che rapporti siete con i Dark Quarterer? Cosa pensate della loro proposta musicale?
Fabio: ci è sempre piaciuto il loro stile e li sentiamo artisicamente simili a noi. Penso di poter dire che sono la band italiana che più apprezziamo! Nelle loro composizioni c’è sempre una certa profondità, una forte personalità e un gusto della ricerca. Tutte caratteristiche che, a costo di sembrare presuntuoso, mi sembra abbiano accomunato le nostre carriere. Per questi motivi, più di una volta abbiamo preso in considerazione la possibilità di organizzare alcuni concerti insieme. Ma, nonostante i buoni propositi, siamo riusciti a condividere il palco solo una volta in occasione del festival Legends Never Die, alle porte di Firenze, nel 2007.
Avete interazione con le altre heavy metal band italiane?
Fabio: pochissimi contatti, a dire il vero, forse anche perché la nostra attività si è rivolta soprattutto all’estero. Come avrai capito fanno eccezione i Dark Quarterer, ma anche i sardi Holy Martyr che, trasferitisi in blocco a Milano, hanno suonato nella nostra stessa sala prove per diversi mesi.
Quali secondo voi quelle che sono riuscite a scrivere dei capitoli imprescindibili della musica dura tricolore?
Fabio: personalmente sono legato a quelle band che negli anni 80 hanno fatto da apripista per la scena italiana, da questo punto di vista metterei al primo posto i Vanadium. Poi non si possono dimenticare Strana Officina, Vanexa, Steel Crown, Crying Steel, Synthesis, Hocculta, Bulldozer, Elektradrive, e pochi anni dopo gli Extrema.
Vittorio: oltre ai già citati Dark Quarterer, e molti dei nomi citati da Fabio, metterei i Doomsword e le prime cose di Paul Chain.
Quali invece i progetti futuri di Gianluca Corona, Vittorio Ballerio e degli altri componenti della band?
Gianluca: non so cosa succederà in futuro, al momento non ho certezze né progetti precisi, anche se esiste già parecchio materiale nuovo. Dovessero esserci valide motivazioni per riprendere e condividere insieme un discorso musicale, pur in territori o generi differenti, non esiteremo a rimetterci all’opera. Al momento gli impegni di lavoro non lasciano spazio a molto altro. Staremo a vedere.
Sigfrido: io sono attualmente il nuovo batterista dei Moon of Steel, una situazione che trovo musicalmente ed umanamente molto appagante.
Sarmax: Io ho ricominciato a suonare con un batterista con cui suonavo in precedenza. Per ora in duo, ma nulla è escluso al momento. Siamo ancora a uno stato embrionale, quindi si vedrà
Fabio: Io e Vittorio stiamo dando il via ad un nuovo progetto prog-rock il cui nome potrebbe essere Caravaggio. I pezzi scritti sono già molti!
Vittorio: sono un grandissimo consumatore di musica, di generi molto diversi… oltre al progetto con Fabio che mi sembra molto promettente, non escludo quasi nulla, ospitate comprese: cantare un brano come “ospite” è qualcosa che mi è capitato di fare diverse volte. Trovo molto stimolante cimentarsi in ambiti musicali non strettamente propri, con musicisti diversi.
Forse l’unica certezza è che non mi voglio fermare qui!
Siamo arrivati alla fine, grazie per essere stati ospiti su TrueMetal.it e grazie per gli splendidi album realizzati in questi anni, lascio a voi le ultime parole…
Tutti: grazie a te Marco e a tutti voi della redazione. Avete sempre dato spazio alle nostre uscite con entusiasmo. Speriamo in futuro ci siano nuove occasioni per parlare della nostra musica sulle vostre pagine.