Agalloch (Don Anderson)
Molto poco loquace il chitarrista e leader Don Anderson,
in perfetta linea col malinconico genere dei suoi Agalloch. In poche
parole emerge però bene la personalità dell’artista e quella della sua
creatura, e anche qualche rivelazione niente male.
Don, il vostro ritorno è stato giudicato unanimemente come
splendido dalla critica mondiale: credete di essere una band diversa da quella
di Pale Folklore e The Mantle, in qualche modo?
“Sicuramente, credo che ‘Ashes…’ sia il nostro
disco più maturo. ‘The Mantle’ era più confuso ed eterogeneo, avevamo fatto un
sacco di esperimenti con i generi e con la strumentazione; mentre con ‘Ashes’
forniamo una prova compatta e completa.”
Sembra obbligatorio accostare l’album al filone post rock proveniente perlopiù
dagli USA e dalla Scandinavia, con gente come Isis, Cult Of Luna, ecc… Che
cosa ne pensi?
“Devo dire che non apprezzo il termine ‘post’,
perché è diventato un modo per far sembrare nuovo ciò che in realtà è
vecchio. In ogni caso se fai riferimento a band come quelle sì, abbiamo
adottato alcune di queste influenze. Il nostro obiettivo è semplicemente quello
di espandere il linguaggio dell’Heavy Metal e dare qualcosa di specificamente
nuovo al genere.”
Il mio brano preferito è di sicuro la potente ‘Not
Unlike The Waves’, ma anche la trilogia finale di ‘Our
Fortress Is Burning’ è splendida. Vorresti descrivere le canzoni nei loro
punti salienti, tematici o musicali che siano?
“No
credo di poterlo fare molto facilmente ma direi sicuramente che ‘Not
Unlike the Waves’ è una delle migliori canzoni che abbiamo scritto sinora.
Credo che rappresenti a pieno le nostre influenze originali (Ulver, In The Woods,
ecc…) e le spinga oltre. Abbiamo sempre avuto canzoni su questa linea sin da
‘Pale Folklore’, ma questa volta c’è maggiore freschezza nel songwriting,
penso. Per quanto riguarda la trilogia conclusiva: è sintomatica di quel
momento in cui una persona realizza che la nostra esistenza non ha significato,
e che nemmeno i legami che stringiamo con altre persone possono cambiare questa
situazione.”
Sembra
che stiate lasciando da parte gli screaming, c’è una ragione particolare per
questo?
“In
realtà no, ci piacciono entrambi gli stili vocali e non abbandoneremo lo
screaming con gli Agalloch.”
Provenite
da Portland, Oregon: non esattamente la patria del metal atmosferico e dark…
che cosa vi ha portati verso questo stile, nel corso degli anni?
“Siamo
sempre stati addentro alla scena death/black sin dai primi anni ’90, per cui non
importa la provenienza di una persona, se si fa la ricerca necessaria per
trovare questo tipo di musica. (Sì, ma non era quello che ti avevo
chiesto… Nda)“
Apprezzate altre band, comparabili in qualche modo agli
Agalloch?
“Non avvertiamo una grande affinità con altre
band metal americane, anche perché non suoniamo dal vivo troppo spesso. Siamo
buoni amici di una band di San Francisco chiamata Ludicra, che è grande. Ma ci
sentiamo più vicini a band americane come Red Sparowes e Pelican (consigliatissime
entrambe! Nda)“
Cosa
c’è nel prossimo futuro degli Agalloch? State preparando un video o un DVD,
magari, per espandere anche dal punto di vista ‘visivo’ la vostra arte?
“Abbiamo
un nuovo video per ‘Not Unlike The Waves’, ma non c’è in programma un DVD,
anche perché come ti dicevo suoniamo molto poco dal vivo.”
E quando vi capita di farlo credi sia facile per voi
trasmettere le emozioni presenti sul disco in quella situazione?
“Di solito riscriviamo le canzoni per il palco.
Per cui in quel caso sentiresti una versione degli Agalloch completamente
diversa da quanto proponiamo su CD.”
Siete consapevoli di essere quasi un ‘culto’ in Europa? Non credete di aver
riempito o contribuito a riempire un vuoto creatosi dopo l’affievolirsi
dell’ondata norvegese?
“Non
direi che abbiamo riempito un vuoto simile; voglio dire, la scena norvegese dei
primi anni ’90 è stata assolutamente speciale e costituisce una grande
influenza per noi. A parte il prendere ispirazione da quanto gli Ulver hanno
fatto con Bergtatt, però, non ci siamo mai sforzati di imitare quella
scena.”
Visto che l’inverno si sta lentamente avvicinando, credi
sia il momento migliore per voi di scrivere canzoni? Da cosa siete ispirati, se
riesci a definirlo?
“Mi piacciono sia l’autunno che l’inverno, così
come gli altri membri della band, ma scriviamo pezzi durante tutto l’anno. Siamo
ispirati dalla speranza e dalla mancanza di speranza, dalla malinconia e dalla
casualità del mondo che spesso lascia la gente a corto di amore, sconosciuta e
senza alcun aiuto.”
Lasciaci allora con un motto della band…
“All
of our shadows are ashes against the grain…”
Alberto
‘Hellbound’ Fittarelli