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Agents Of Mercy (Roine Stolt)

Di Angelo D'Acunto - 6 Novembre 2010 - 10:10
Agents Of Mercy (Roine Stolt)

Compositore a dir poco prolifico, esecutore, padre di famiglia, persona schietta, sincera e un nome che ormai tutti conoscono: Roine Stolt. Il musicista svedese, protagonista indiscusso della rinascita del progressive rock, è tornato, a un solo anno di distanza dallo splendido The Fading Ghosts Of Twilight, con Dramarama, secondo album dei suoi Agents Of Mercy che segue anche l’ottimo ritorno sulle scene dei Transatlantic. Abbiamo scambiato con lui qualche parola su questa nuova e strabiliante uscita, senza dimenticare né il passato, né, soprattutto, il prossimo futuro. Buona lettura.

Intervista a cura di Angelo D’Acunto
Foto a cura di Lilian Forsberg

Ciao Roine, “Dramarama” è uscito a quasi un anno di distanza dalla prima release degli Agents Of Mercy. Avevi alcuni pezzi già pronti o, semplicemente, questo è un periodo particolarmente prolifico?

Sono sempre stato prolifico e ho scritto costantemente. Abbiamo capito di avere alcune buone idee per provare a registrare delle nuove canzoni, il tutto nato dalla mia penna e da quella di Nad. Il fatto è che abbiamo anche dei validi songwriter come Lalle e Jonas, ma che, per l’occasione, non hanno contribuito alla realizzazione di “Dramarama”. Abbiamo già in programma il prossimo album – forse inizieremo a scrivere verso la fine di quest’anno. Vedo un grande potenziale per la band, così come penso che crescerà enormemente nei prossimi anni. Vogliamo crescere, naturalmente, come qualsiasi altro gruppo e penso che abbiamo tutte le carte in regola per poterlo fare.
Non credo, inoltre, che lascerò “dormire” i Flower Kings ancora a lungo, anche perché sarà divertente rivederli in azione, ma per il momento gli Agents Of Mercy possono essere considerati come una strada più semplice da percorrere, grazie soprattutto al talento e all’amicizia. Abbiamo ricevuto alcune proposte piuttosto interessanti che ho bisogno di prendere in considerazione, penso che presto saremo pronti per conquistare il mondo!

In effetti, però, i Flower Kings sono inattivi da quasi tre anni. Hai altri aggiornamenti, per caso?

Vorrei saperlo anche io, sinceramente (ride, ndr). Però sono sicuro che cominceremo a lavorare su qualcosa nel 2011.

Che significato si cela dietro ad un titolo come “Dramarama”?

È semplicemente un gioco di parole: immagina un posto a teatro, oppure al circo, o ancora ad un cabaret, dove accadono cose strane, come se ti trovassi in un luogo magico.


Come si sono svolte le fasi di realizzazione per questo nuovo album?

Siamo partiti dalle idee che avevamo in mente per poi provare a perfezionarle, passando decisamente più tempo per trovare e far crescere le melodie più adatte, già rispetto a quello che facciamo normalmente per un album dei Flower Kings. Le canzoni scritte sono state le basi, non quello su cui ruota tutto il processo di produzione. Abbiamo registrato tutte le tracce nel mese di marzo ed è stato un lavoro che potremmo definire come “old-school”, ovvero senza clicktrack o sequencer. Successivamente abbiamo provato ancora un po’ insieme ed ognuno dei musicisti ha messo del suo.
I dodici pezzi sono stati scritti da me e Nad, come ti dicevo prima, impreziositi inoltre dal lavoro dei “nuovi soci” Lalle Larsson (tastiere), Jonas Reingold (basso) e Walle Wahlgren (batteria). Insomma, si tratta di un quintetto-killer.

Ciò che è tipico in “Dramarama” è di nuovo una notevole qualità delle tracce, ma credo che, in molti punti, può essere considerato come un album più eterogeneo rispetto al precedente “The Fading Ghosts Of Twilight”. Le influenze spaziano attraverso diversi generi, con una notevole impronta jazz molto marcata. Quale è stato il punto riferimento principale per questa nuova release?

Non lo so davvero, abbiamo solo cercato di trovare del materiale interessante. Le canzoni vanno molto bene così come sono, inserendosi perfettamente nel tema generale dell’album. Credo che le influenze principali arrivino da gruppi come Beatles, Queen, Keane, Genesis, U2 e Mahavishnu Orchestra.

Credo anche che la teatralità degli Agents Of Mercy possa essere legata ai primi Genesis…

Forse sì. Nad ha recitato in alcuni film, anche se in ruoli minori… ecco quindi da dove deriva la nostra teatralità. Siamo comunque tutti dei grandi fan dei Genesis, questo è certo.

Ci sono pezzi che preferisci di più rispetto ad altri?
Penso che “Peace United”, “Meet Johnnie Walker” e ” We Have Been Freed ” siano solo una piccola parte degli episodi migliori del disco. Credo, inoltre, che sia piuttosto difficile trovare dei veri e propri punti deboli…

Mi piacciono tutti i pezzi, ovviamente, anche se alcuni dei miei preferiti sono tra le canzoni più dolci e sognanti, come ad esempio “Gratitude” o “Time”. Sono legato anche alle atmosfere oscure e misteriose di “The Duke Of Sadness”, oppure alle note semplici ed efficaci di “Cinnamon Tree”, o ancora a “Last Few Grains Of Hope”. Quest’ultimo è, dio ce ne scampi, un’istantanea scattata su di un futuro non troppo lontano, dove una parte del popolo umano cerca di rifugiarsi a seguito di un disastro che colpisce il mondo intero, distruggendo anche tutta la società moderna. Quindi direi che è un brano con un argomento pesante… una profezia prog!

 

Torniamo un po’ indietro nel tempo: da dov’è nata l’idea per il progetto Agents Of Mercy?

È nato tutto nel periodo in cui stavo per prendermi una pausa dai Flower Kings e in quel momento avevo voglia di incidere un disco solista più acustico. Nel frattempo avevo sentito parlare in giro di Nad Sylvan, quindi facendo un giro su internet (precisamente su MySpace) ho avuto modo di ascoltare qualcosa. La sua voce mi è piaciuta subito, anche perché mi ricordava molti dei miei cantanti preferiti come Steve Winwood, Peter Gabriel e Gary Brooker. Così ho cominciato a spedirgli un po’ di materiale e da qui è nato “The Ghosts Fading di Twilight”, disco che si è rivelato essere qualcosa in più rispetto ad un normale disco prog. Non avevo in mente nemmeno di fare qualche concerto, ma una volta che il disco è uscito e viste le reazioni, abbiamo deciso infine di cominciare con un breve tour.

Penso che il progressive rock stia vivendo una seconda giovinezza. Naturalmente, non è paragonabile agli anni ‘70, ma credo che la rinascita del genere sia avvenuta grazie soprattutto ai gruppi svedesi (Flower Kings, Beardfish, Ritual , Kaipa e altri ancora).
Qual è, secondo te, lo stato di salute attuale della scena progressive internazionale? Ci sono band che preferisci di più rispetto ad altre?

Sì, anche io penso che sia in gran forma, e credo inoltre che internet abbia contribuito non poco alla rinascita del progressive. Tra i gruppi contemporanei che preferisco ci sono Ritual, Porcupine Tree e Spiraling, più inoltre altre band che secondo me faranno grandi cose in futuro come gli inglesi Haken e gli americani District 97.

Guardandoti indietro, dopo tutti questi anni carriera, quali sono i migliori momenti che ricordi?

Molti, decisamente… i tour in Giappone e in Sud America sono stati grandissimi, senza parlare di tutte le volte che ho potuto suonare negli USA. Poi proprio il recente tour con i Transatlantic è stato semplicemente fantastico! Mi sono divertito da matti e sono orgoglioso di far parte di una band con la quale ho passato momenti a dir poco magici.

Quindi è andato tutto bene?

Sì, è stato favoloso. Un fantastico tour su tutti i punti di vista: il pubblico è stato sempre grande, ma anche le vendite, e ci siamo divertiti tantissimo… è stato quasi troppo bello per essere vero. Ci siamo esibiti con ben 23 show negli USA e in Europa, ed il concerto di Londra sarà disponibile in DVD a partire dal prossimo 8 novembre (esattamente tra due giorni, ndr).

 

Cambiamo argomento e torniamo ancora sul passato: perché, un po’ di tempo fa, hai deciso di lasciare i Kaipa?

Perché non avevo molti sbocchi in generale, soprattutto musicalmente. I Kaipa cominciavano ad orientarsi verso una sorta di perfezionismo fin troppo maniacale. Ho anche sentito che, di recente, dovrebbero suonare dal vivo. Ai tempi Hans Lundin non voleva, la sua intenzione non era nemmeno quella di lavorare con tutta la band in studio… ma la musica, diciamolo chiaramente, non si costruisce attorno a una sequenza di computer. I membri della band non si sono mai incontrati realmente, e penso che sia una cosa strana. Ecco, vedi, questa non è la mia idea di una band vera e propria.

Anni fa hai collaborato con Andy Tillison per il progetto The Tangent. Cosa ne pensi dei dischi successivi dopo che hai deciso di lasciare la band e, soprattutto, riguardo all’ultimo “Down And Out In Paris And London”?

Purtroppo non ho avuto modo di sentirlo… nessuno mi ha mandato una copia del disco, ma in giro si dice che sia un gran lavoro. Ho ascoltato solo “A Place In The Queue”: è bello, ma ad essere onesti non è di mio gusto, ovvero manca un po’ troppa melodia, a mio avviso. Io e Zoltan siamo stati sostituiti da due ottimi musicisti che però non hanno un grande stile e ai quali manca, soprattutto, la giusta attitudine per suonare progressive.

Ok… cambiando nuovamente argomento, ti considero come un musicista molto prolifico, visti tutti i progetti in cui ti ritrovi coinvolto. Ma ora dimmi una cosa: dove trovi il tempo da dedicare a tutte queste collaborazioni?

Ah ah (ride, ndr) e pensare che il tempo non riesco mai a trovarlo! Mi piacerebbe averne di più, anche perché ho un paio di progetti che vorrei poter realizzare. Adoro il mio lavoro e amo la libertà di creare.

Questa invece è una domanda che faccio spesso: che ne dici di darmi la tua definizione di progressive rock?

Il progressive è la musica rock che cerca di andare al di fuori del normale, e che quindi prova ad essere qualcosa di diverso. È uno stile musicale che fonde diversi generi e che deve essere unico.

Quali sono i tuoi progetti per il futuro?

Sicuramente mettermi a scrivere nuova musica e, ovviamente, portare a termine alcuni vecchi progetti.

OK, Roine, questa la mia ultima domanda. Lascio a te le ultime parole per concludere questa intervista.

Difendete i vostri ideali e restate sempre voi stessi!

Angelo ‘KK’ D’Acunto