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An Handful of Dust (Di Lenardo/Gobbi)

Di Nicola Furlan - 18 Gennaio 2008 - 12:25
An Handful of Dust (Di Lenardo/Gobbi)

Il 2007 ha costituito per il sottoscritto una annata interessante in campo progressive. A parte qualche big che ha dimostrato poca ispirazione, sono state anche le realtà underground o semisconosciute a cacciar fuori dal cilindro l’insapettato album capace di meravigliare e (probabilmente) di segnare nuovi percorsi nel genere stesso. Percorsi ancora poco definiti e che non si sa dove porteranno, ma che per certo forniscono nuovi spunti in un genere che nel corso degli ultimi anni ha detto praticamente tutto. Mi riferisco a Thought Chamber, Symphony X, Pain of Salvation, Three, Porcupine Tree, Oceans of Sandness e chi più ne ha più ne metta, ma non solo. Anche la nostra penisola ha visto produzioni (sopratutto a livello di demo) di un certo interesse. Che si parli di “mainstream” o che si faccia riferimento all’underground, il risultato è una gamma di progressive mescolati all’heavy, al folk, a ritmiche acustiche, allo speed metal e così via. Uno di questi casi è rappresentato dagli An Handful of Dust, band capace di miscelare progressive ed heavy in maniera interessante ed addizionando il tutto con dei comparti vocali dal sapor di crossover. Recensito il demo di debutto li abbiamo anche intervistati. Davanti ad una birretta parlo con Christian “Dile” Di Lenardo e Gianluca Gobbi, rispettivamente batterista e bassista del combo udinese.

Ciao ragazzi. Volete presentarvi agli utenti di TrueMetal.it?

Gi: Io sono Gianluca al basso.

Ch: Ciao a tutti. Io sono Christian alla batteria. La line-up è completata da Fabio Tomasino e Luca Lazzarotto alle chitarre e da Mauro Forgiarini alla voce. Mi sembra ci siamo tutti (risate, ndr). Suoniamo insieme dal 2001. I primi anni ci hanno visti proporre prevalentemente cover di Testament, Megadeth e Metallica. Quando nasci ascoltando certi album come “Kill’em All” la prima cosa che vuoi fare e prendere in mano lo strumento e cercare di riprodurre l’adrenalina e la bellezza di certi brani. Eravamo molto legati ai classici ed è da là che siamo partiti.

Sbaglio o a quei tempi dietro al microfono c’era un altro singer?

Ch: Non sbagli. Nel 2004 abbiamo trovato con fatica e fortuna Mauro andato così a sostituire l’ex Simone Paoloni che aveva avuto dei problemi alla gola poi risolti, ma che hanno lasciato in lui una certa diffidenza al riporre quella espressività tagliente che lo aveva accompagnato fino a quel momento. Non ultimo ha preferito comunque proseguire la sua carriera di fumettista, passione che cominciava a ritagliarli troppo tempo a scapito degli impegni con la band.

Questo cambiamento ha indotto cambiamenti di stile in merito ai processi compositivi dei brani?

Ch: Certo. Simone si rifaceva molto a Ville Laihiala (Sentenced, ndr) e lo split ha condizionato in maniera significativa gli orientamenti delle composizioni. Con lui era più facile interpretare certe sonorità, ora invece decisamente cambiate.

Gi: Per integrare il nuovo cantante, entrato all’epoca quando i nuovi brani erano già composti, abbiamo partecipato a dei live in cui eseguivamo setlist prevalentemente composte da cover i cui soli brani finali costituivano le novità. Il nuovo entrato ha rappresentato per certi versi il punto di passaggio dal “periodo gavetta” a quello di una band che provava ad emergere con la propria personalità. In questo Mauro gioca anche un altro ruolo fondamentale: avendo qualche anno più di noi spesso è mediatore tra le discussioni più accese che, anche grazie a lui, portano ad un qualcosa di oggettivo all’interno di un brano.

A parte questo split quindi la line-up mi sembra sia rimasta sempre abbastanza solida…

Gi: Ed è stata questa la nostra più grande fortuna! Non aver mai perso per strada parte della nostra storia. In fondo siamo legati tutti da una amicizia profonda ed abbiamo vissuto questa nostra evoluzione tra difficoltà e fatiche, ma siamo qui e questo “I Will Show You My Fear” è il frutto di questi anni di convivenza artistica.

Ch: E ribadisco che Mauro ha reso ancora più coeso e solido il rapporto tra noi grazie alla sua capacità carismatica di interagire con il resto della band. Qui non ci sono prime donne, ognuno ha il suo modo di intendere e di vivere la musica: io sono il più pazzo, Luca ha tutto un suo modo di interpretare un brano, Fabio è quello più open-mind e dalla visione maggiormente progressiva e via dicendo. Mauro ha la grande dote di dire una parola che riesce a cavarti fuori il meglio da te stesso. E’ un elemento davvero importante perchè cerca di far coesistere le diverse “anime”.

Raccontateci qualcosa dei testi del vostro ultimo full-length…

Gi: Il disco non è un concept anche se la filosia di fondo dalla quale i testi han preso forma ha un filo conduttore. “I Will Show You My Fear” come frase rappresenta al meglio quello che viene raccontato nelle lyrics. Ogni testo ha un suo tema ricondotto sempre a sensazioni di paura, solitudine e paranoia che ogni persona può provare nella sua vita ed attraverso le quali cerca di fornire una immagine concreta.

Ch: Unbroken, Empty piuttosto che altre rappresentano l’immagine della rabbia e della frustazione. I brani parlano della paura di non riuscire ad emergere professionalmente, un altro ancora parla della paralisi che si prova quando si vorrebbe dire ad una ragazza ciò che si sente dentro per lei e non se ne ha la forza. I testi cercano d’essere un punto di contatto tra la musica e le vere sensazioni. Personalmente ritengo gli Anathema una band a cui tendere. Nei nostri pezzi lenti andiamo alla ricerca di una espressività legata a disperazione e frustrazione mediante l’uso delle nostre capacità. I testi di “I Will Show You My Fear” non sono testi allegri, ma hanno l’obiettivo vivido di esprimere e trasformare in musica le nostre paure.

Avete in cantiere altro materiale?

Gi: Sì, stiamo già lavorando su nuovo materiale e nel contempo cerchiamo di portare avanti la nostra attività live, di promuovere questo nostro debutto a webzine e riviste.

Ch: Abbiamo pronti otto brani che saranno più corti in termini di durata. Dal punto di vista compositivo invece avranno maggior accento sperimentale dato che abbiamo cercato di affinare il songwriting in una direzione più groovy. Le nostre ispirazioni artistiche maggiori al momento sono Pain of Salvation, Anathema e Tool per darti una idea. Specifico che non c’è nessuna pretesa di imitare questi mostri sacri e nemmeno lo vogliamo fare perchè abbiamo sempre cercato di mantenere inalterata la nostra identità e così proseguiremo nel nostro cammino musicale.

Gi: Dato che parlavamo di testi ti anticipo che questi non saranno così introspettivi come su “I Will Show You My Fear” che vedeva il mondo dal punto di vista della singola persona. I contenuti avranno occhio critico verso la società e le urleranno il proprio credo. In studio sono stati provati pezzi in cui si canta in growl ed il risultato al momento suona convincente, nel complesso sembra che i brani siano piu scorrevoli.

Devo dire che il seguito di questo vostro debutto già mi incuriosice. A questo punto della discussione arrivati vorrei sapere da voi quali sono le principali speranze che covate…

Ch: Purtroppo quando intraprendi la carriera musicale sai che rischi di finire nel dimenticatoio. La realtà italiana è difficile ed ostica, lo sai meglio di me. Ogni volta che suoni in giro trovi locali pieni se ad esibirsi è una cover band, vuoti se sul palco ci suona una band che propone una propia e personale idea musicale. Manca un pò la cultura del cercar di comprendere quanto possa essere importante per una giovane band avere un minimo di feedback e di seguito da parte del pubblico. Un pubblico magari composto da una decina di persone di cui nove di dicano che fai schifo, ma che perlomeno ti hanno ascoltato.

Gi: Ed io sono dell’idea che di realtà interessanti in giro ce ne siano parecchie; basterebbe soltanto un minimo di supporto per dare linfa vitale ad un sistema che già tende a soffocarsi con le proprie mani. Per rispondere alla tua domanda in mertito alle speranze, ti dico che la nostra più grande speranza è di siglare un giorno un contratto che ci permetta di produrre meglio il prossimo studio album -il nostro sogno sarebbe che ce lo producesse Devon Graves dei Deadsoul Tribe-, di avere un distribuzione decente e quindi di poter lavorare con meno pensieri e più fiducia.

Bene ragazzi, lascio a voi i saluti agli utenti di TrueMetal.it e vi ringrazio per la piacevole chiaccherata…

Ch: Salutiamo tutti gli utenti del portale TrueMetal.it che ringraziamo moltissimo per l’occhio di riguardo che ha avuto verso di noi. Ringrazio molto anche te per la professionalità e la dedizione all’underground e spero di vederti, assieme a molti di voi, a qualche nostro prossimo concerto.

Gi: Ringrazio molto te, TrueMetal.it e chi ci leggerà. Grazie per l’attenzione. Stay Metal!

Nicola “nik76” Furlan