Modern Metal

Are You Experienced? Rideout

Di Roberto Castellucci - 10 Ottobre 2023 - 11:00
Are You Experienced? Rideout

Le fertili lande dell’Underground musicale tricolore, fortunatamente, sono sempre in fermento. In questo nuovo appuntamento con la rubrica Are You Experienced? faremo una piacevole sosta nel comune piemontese di Sandigliano, in provincia di Biella, per fare due chiacchiere con Valeria Aina, cantante dei Rideout. Il gruppo ha recentemente pubblicato l’interessante albumDriven to Insanity“, la cui recensione può essere letta cliccando qui. Abbiamo approfittato dell’occasione per approfondire i contenuti del disco e per conoscere la storia della band. Buona lettura!

Ciao ragazzi, benvenuti tra le pagine di TrueMetal.it! Raccontateci la storia della Vostra band: quando, come, dove e perché sono nati i Rideout?

Saluti a tutti voi di TM! Innanzitutto mi presento: sono Valeria, cantante dei Rideout e quella che ha più tempo libero per rispondere alle interviste! Grazie per l’opportunità che ci state dando, vi racconterò qualcosa del nostro disco e della nostra band!

Noi Rideout abbiamo anche una data di nascita, a dir la verità: 16 giugno 2008, il mio compleanno! Fabio (Fabio Attacco, bassista) aveva organizzato una jam session tra amici nella sua vecchia sala prove in garage a Sandigliano, vicino Biella. La cosa sembrava funzionare e così si è pensato di metter su una band e pensare di fare le cose per bene. Da allora abbiamo cambiato diversi componenti e continuato l’attività live fino a oggi, prima con le cover, poi con gli inediti. Praticamente la storia di migliaia di altre band!

Nel 2008 stavamo insieme da poco e io non avevo moltissima esperienza come cantante in una band. Fabio invece suonava il basso e cantava da diversi anni. Siamo di fatto cresciuti insieme, musicalmente parlando, anche frequentando scuole di musica e mettendo in piedi altri progetti. E’ una formula vincente questa di avere una ‘band a conduzione familiare’, dato che dopo quindici anni riusciamo ancora a suonare insieme!

Il verbo inglese to ride out, se non erro, indica il superamento di una situazione difficile. Il nome del gruppo ha un’origine autobiografica o è più da intendersi come un incoraggiamento ad andare avanti nonostante le avversità?

Posso dirti che inizialmente è stato scelto perché, banalmente, suonava bene. Siamo fan dei Saxon e una delle prime cover era “Devil Rides Out”, quindi l’ispirazione deriva da quello. Ma anche dal verso di “Neon Knights” dei Black Sabbath (‘Ride out, protectors of the realm’), band che amiamo da sempre.

Nel corso degli anni abbiamo dovuto affrontare situazioni personali difficili nelle quali spesso è stata messa in discussione la possibilità di continuare a fare musica insieme, tuttavia siamo riusciti a resistere a queste difficoltà e a proseguire con il nostro percorso, spesso reinventandoci o cambiando formazione: Nomen Omen, insomma.

Se ho capito bene con il nuovo album “Driven to Insanity” siete arrivati al quarto capitolo della Vostra carriera discografica. Potete regalarci una rapida descrizione dei Vostri dischi precedenti?

Come ogni band che decide di fare inediti, abbiamo nel cassetto molto più di quattro lavori, alcuni non proprio eccelsi! Alcuni restano comunque ben nascosti. Erano tutti esperimenti per capire se le nostre idee stessero funzionando al punto di buttare fuori un disco vero.

Dal punto di vista della produzione, abbiamo sempre fatto tutto da soli e senza etichetta, a partire dal primo LP “Ride The Demon Out” del 2014, registrato presso Real Sound Studio a Milano. Per essere il primo lavoro, ci siamo messi sotto cercando di essere più professionali possibile. Già da allora avevamo deciso di non etichettare il nostro stile in maniera definita, ma di assecondare le influenze di ciascuno, legandole insieme con un buon muro di suono e un impasto potente. Il risultato non è stato male e anche dal vivo è stato molto apprezzato. Sono rimaste pochissime copie e attualmente non è disponibile in streaming, ma perché negli anni siamo molto cambiati e forse “Ride…” si discosta un po’ da quello che facciamo ora. Inoltre anche il mio modo di cantare è molto cambiato negli anni. Magari il prossimo anno valuteremo se distribuirlo in digitale a distanza di dieci anni.

Abbiamo iniziato ad avere un’identità più solida nel 2017 con il primo EP, “Bullet”, strizzando l’occhio a suoni più vicini allo Stoner Doom, con anche Andrea Tricarico alla batteria e la sua vena decisamente più metal.

Con Alberto Tuveri subentrato alla chitarra nel 2019, abbiamo poi riarrangiato e reinciso dei brani ‘abbandonati’ che erano destinati a un nuovo LP e così abbiamo autoprodotto “Wounded”, registrato da Davide Penna nel suo Audiorizon Studio, altro EP di 3 brani.

Alberto è una macchina da guerra a scrivere ed è anche un chitarrista molto tecnico. E’ stato un po’ complicato imparare a parlare la stessa lingua, ma nel corso di questi anni insieme siamo riusciti a mettere in piedi “Driven To Insanity”, dieci tracce in cui abbiamo mantenuto fede alla nostra prerogativa di non etichettarci e di assecondare le influenze di ciascuno. Il risultato è un lavoro in cui tutti ci rispecchiamo e di cui siamo soddisfatti personalmente.

Anche quest’ultimo lavoro è autoprodotto, ci appoggiamo a Ausr.Ltd per la distribuzione digitale, ormai da quasi sette anni.

Scendiamo più nel particolare e dedichiamo un paio di paragrafi a “Driven to Insanity”: ci raccontate qualcosa riguardo alla genesi dell’album? Il periodo della pandemia ha in qualche modo influito sul completamento dell’opera?

Nel 2019 eravamo ripartiti con entusiasmo con la nuova formazione e avevamo iniziato a fare qualche live, oltre a scrivere come dei forsennati.

Siamo tutti della ‘vecchia scuola’: andiamo in sala prove, suoniamo e componiamo. Registriamo con quel che capita e ci lavoriamo su.

Con l’avvento della pandemia abbiamo sospeso tutto e questa cosa ci ha destabilizzato molto perché per noi la sala prove è una seconda casa. Siamo però riusciti a organizzarci per lavorare a distanza e investire in materiale per comporre senza vederci di persona. Alla fine ci sono voluti quasi due anni per organizzare le registrazioni in studio e completare tutto (le grafiche, la promozione, la distribuzione digitale…)

Questa è un po’ la genesi ‘logistica’ del disco.

Dal punto di vista dei contenuti devo dire che la paura e l’incertezza di quei mesi hanno molto influito sulle tematiche dei brani. A pensarci ora che è tutto finito, sembra passato un secolo, ma personalmente mi sono trovata nella situazione di tanti altri che non potevano nemmeno lavorare tranquillamente. Di fatto ero sola, preoccupata e affamata di normalità e questo si legge nei testi delle canzoni. C’è rabbia e ci sono anche molti viaggi introspettivi. Un’altra particolarità dello scrivere in quel periodo di stop forzato è stato anche il trovare argomenti insoliti. Avevamo tempo per leggere, fare ricerca o imbatterci in leggende antiche da cui abbiamo preso spunto per alcuni brani. Diciamo che non è propriamente un concept, ma in ogni brano c’è un filo conduttore fatto soprattutto dalle riflessioni che sono venute fuori in un periodo così particolare, che ha messo molto in discussione alcuni aspetti delle nostre vite.

Mi incuriosisce molto la ‘divisione in capitoli’ visibile nelle pagine del booklet d’accompagnamento al disco. Le tematiche trattate nei testi seguono un concept comune a tutti i brani?

Una volta completati tutti i brani, serviva l’idea per le grafiche e volevamo che tutto avesse un senso, non solo esteticamente parlando.

La divisione in capitoli aiuta l’ascoltatore in questo viaggio verso la follia partendo dalla paura più infantile della nostra vita: il buio, la notte. “Bedtime Story” è un velato omaggio al signore degli incubi Freddy Krueger, protagonista delle nostre maratone di binge watching in lockdown. “Hunger” invece parla proprio dell’ansia e della fame di normalità ed era una sensazione che mi prendeva spesso di notte. “Savior” inizia proprio a raccontare la ricerca di salvezza nel buio della notte, quando i sogni diventano incubi.

Il secondo capitolo “New and Ancient Fears” invece è incentrato su tutto ciò che è ignoto e oscuro all’umanità, a partire proprio dalla questione della pandemia, soprattutto sulla paura provata dalla popolazione.

Gli altri due brani, invece parlano di antiche paure.

Akhenaton”, che probabilmente è la nostra preferita, è una preghiera egizia che abbiamo riadattato. È l’inno al dio Sole del faraone Akhenaton, l’eretico che ha imposto il culto di un solo dio in Egitto e che alla sua morte ha subito la damnatio memoriae. Si parla quindi del timore reverenziale verso un essere superiore che crea la vita e al tempo stesso ha il potere di toglierla.

Anche “Lord Of Silence” parla di leggende antiche e della ricerca del senso della vita e di come l’uomo non sia in grado di comprenderlo.

Gli ultimi due capitoli, “What’s Wrong Inside?” e “Inside the Box” ci portano al presente: il primo racconta di vite perfette che nascondono rabbia repressa o esistenze malate. È l’eterno paradosso dei social di oggi, con foto bellissime, filtri e bugie a nascondere persone fragili che anelano alla perfezione. Ma parliamo anche dell’essere schiavi di una tecnologia che ormai ci conosce meglio di noi stessi e che inevitabilmente pilota le nostre esistenze per consumare di più.

Tutti coloro che escono da questo meccanismo o che semplicemente non lo comprendono e vivono nella loro ‘diversità’, vengono additati come strani, emarginati.

In questi ultimi capitoli si sente un po’ il conflitto generazionale di chi non comprende del tutto come stia andando il mondo di oggi: del resto Fabio ed io, che scriviamo i testi, siamo figli degli anni ‘80 e fanatici di quella cultura pop con cui siamo cresciuti. Abbiamo vissuto in diretta tutti questi cambiamenti, spesso geniali e spesso inquietanti e crescendo a pane e film, fumetti, videogames e libri presi in biblioteca, ne abbiamo tratto ispirazione.

La copertina dell’album sembra essere il risultato di una domenica di esplorazione urbana (urbex, volendo usare la lingua d’Albione). Siete forse voi i coraggiosi esploratori? A parte gli scherzi, come si sposano le immagini di luoghi abbandonati presenti nel disco con i contenuti di “Driven to Insanity”?

Ho una totale adorazione per chi ha il coraggio di fare urbex! In realtà non siamo noi i coraggiosi, ma i ragazzi di Tesori Abbandonati che ci hanno concesso di utilizzare alcuni dei loro scatti. E’ affascinante trovarsi all’interno di un edificio abbandonato e cercare di capirne la storia e i segreti che ha in sé. Chi ci ha vissuto, cosa ha lasciato e perché…

Sembro sempre catastrofica, ma temo di non essere l’unica ad aver provato angoscia a vedere le città vuote in TV a marzo 2020 e ad aver pensato ‘e se rimanesse tutto così?’. Per questo abbiamo pensato all’urbex, perché ha dentro quella sensazione che magari anche noi un giorno abbandoneremo le nostre case, le nostre vite e qualcuno dovrà cercare di rimettere insieme i cocci che abbiamo lasciato.

E’ per questo che facciamo musica, nella speranza di lasciare qualcosa di noi a chi verrà dopo.

…probabilmente se avessi scritto questo disco oggi, sarebbe molto meno angosciante!

A cosa dobbiamo la scelta dell’Inglese per la stesura dei Vostri testi?

Scrivere in italiano per me è complicatissimo perché le parole sono lunghe, gli accenti tanti e poi ho una marcata parlata metà piemontese e lombarda! Le mie vocali così aperte e sguaiate sono terribili!

Scherzi a parte…riteniamo che l’inglese apra molte più porte in un genere che in Italia non è proprio mainstream, sebbene amato e seguito. Sogniamo di uscire dal paese e di girare un po’ fuori Italia con questo disco e ci piace l’idea che tutti possano cantare con noi. Frequentando da spettatrice alcuni festival internazionali, o per dirla semplice, facendo le vacanze a Wacken, ci rendiamo conto che l’inglese è fondamentale per capire e farsi capire. Forse in questi ultimi anni si guarda con interesse anche il Rock cantato in lingua italiana, ma non credo che possa rendere sul nostro genere.

L’inglese è la lingua del Rock e mette tutti d’accordo, a mio parere.

L’ascolto di “Driven to Insanity” permette all’appassionato di spaziare fra molti stili musicali. Percepisco una solida base di ‘classico’ Heavy Metal su cui avete innestato elementi Progressive, una buona dose di groove, sonorità che talvolta strizzano più di un occhio al Thrash Metal. Quali musicisti e/o band pensate abbiano maggiormente influenzato la definizione del vostro originale blend artistico? Per dirla in altro modo, che dischi potremmo ammirare sugli scaffali dei quattro membri del gruppo?

A casa Attacco c’è la collezione mia e di Fabio che contiene intere discografie di Judas Priest, Venom, Black Sabbath, Siamo metallari abbastanza classici e vintage. Lui si ispira molto anche a sonorità più Thrash metal tipo Testament il cui suono del basso in “Driven…” si avvicina molto allo stile di DiGiorgio.

Io invece ho degli ascolti più variegati ma soprattutto Rock anni 70, tipo Led Zeppelin, Deep Purple…i classiconi, insomma. Poi per lavoro devo ascoltare generi diversi, anche vergognosi a volte (sono un’insegnante di canto). Negli anni però ho imparato a cercare le buone idee anche in generi che cozzano un po’ con quel che facciamo in studio.

Alberto è super tecnico, ha anche una tribute band dei Death. Nel suo stile ci sono i Megadeth, Nevermore, Mastodon ed è anche un appassionato di tutte le novità del genere, spesso ci fa scoprire ascolti nuovi che non pensavamo.

Alla batteria, Andrea è una macchina da guerra cresciuto a pane e Pantera. Si sentono anche le influenze del Metal più moderno nel suo modo di suonare, tipo Jinjer o Lamb Of God.

Ho già incrociato alcuni di voi sul palco, non nelle vesti moderne e contemporanee dei Rideout ma negli abiti di scena del gruppo Heavy torinese Evilizers. Ci sono altre collaborazioni degne di nota nel curriculum del Vostro quartetto?

Fabio è anche il frontman degli Evilizers, che adesso stanno scrivendo i brani per il terzo album e ho la fortuna di ascoltare in anteprima. Siamo una grande famiglia di band e ci supportiamo spesso nella ricerca di date o addirittura sul palco se manca qualche componente.

Collaborazioni ce ne sono in termine di scambio date con altre band, dato che è difficile uscire e proporre roba originale di questi tempi. Siamo felici di vedere che spesso e volentieri alcune band ‘amiche’ riescono a fare il salto di qualità. Si spera un giorno di poterlo fare anche noi!

Abbiamo però avuto la fortuna di partecipare a festival e fare l’apertura a diverse band di livello come Exilia, Ancillotti o Drakkar e Messa nell’ultimo Rock Inn Somma.

Parliamo di progetti per il prossimo futuro. La promozione di “Driven to Insanity” prevede la diffusione di qualche videoclip? Potremo vedervi presto dal vivo?

Stiamo organizzando alcuni live per l’autunno, approfittando dello scambio date sopra citato. In occasione di una di queste presenteremo il videoclip di “Hunger”.

In questo ultimo mese è stato complicato lavorare per la band, tra vacanze e un mio piccolo problema di salute, ma ora siamo pronti a riprendere contatti e a portare in giro il nostro disco.

Siamo comunque presenti su tutte le piattaforme streaming e piano piano stiamo facendo anche pratica coi social come Instagram e Facebook.

Contiamo di ripartire col botto e avere un 2024 bello pieno!

Il nostro bonario ‘interrogatorio’ ai Rideout purtroppo finisce qui. Ringrazio Valeria e i suoi ‘degni compari’ per il tempo che ci hanno dedicato e, come di consueto, lascio alla band un ultimo spazio per rivolgere un saluto ai Nostri Lettori. Buon ascolto a tutti!

Grazie a tutti voi e grazie del vostro supporto. L’Underground è più vivo che mai, ma ha bisogno delle vostre voci per crescere!

Supportate le band, acquistate i loro CD e merchandise perché di quello si campa. Lo streaming è figo, ma non aiuta granché!

Alzate il volume e fatevi sentire!

Rock Hard…. Ride Out!

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