Arthemis (Andrea Martongelli)
Un nome non certo nuovo nel panorama metal tricolore, quello degli Arthemis. Arrivati nel 2010 all’invidiabile soglia del sesto disco in studio (di cui potete leggere la recensione), il combo guidato da Andrea Martongelli si ripresenta in maniera del tutto rinnovata con una nuova lineup pronta a raccogliere consensi. Di ritorno da quel di Londra per i Pure Rawk Awards, è proprio il chitarrista veronese risponde alle nostre domande per entrare nel merito di un’uscita di grande spessore e per parlarci dei progetti futuri relativi anche alle altre sue band.
Ciao Andrea! Allora, com’è andata la trasferta inglese?
Molto bene! Negli anni abbiamo fatto parecchie date in Gran Bretagna per cui ci siamo costruiti un nostro pubblico “fedele” e ci divertiamo sempre un sacco ad andare da quelle parti.
Avete avvertito anche voi il fermento per le imminenti nozze reali?
(risate generali, nda) No, mica tanto, eheh!
Scherzi a parte, che cosa vi ha portato ad essere invitati a questo evento?
Si tratta di un festival più orientato verso l’hard rock che non verso l’heavy metal, ma siamo stati chiamati fondamentalmente perché chi lo organizza è un nostro fan e voleva che ci fossimo noi. Sai, in Inghilterra abbiamo suonato a diversi festival ultimamente, ad esempio Bloodstock Open Air, Hammerfest e Hard Rock Hell ed è quindi da un po’ di tempo che battiamo la zona. A questo proposito ci saranno presto altre notizie in merito, ma è ancora presto per dirle perché non sono state ancora confermate ufficialmente.
Sei l’unico superstite, oltre che della primissima lineup del gruppo, anche di quella che registrò Black Society. Che cosa ha portato all’allontanamento degli altri membri del gruppo?
Tieni presente che io faccio il chitarrista da quando avevo 19 anni, è proprio il mio lavoro. In pratica è successo che ci siamo trovati di fronte a delle scelte di vita che avrebbero potuto portare più in là il gruppo, quindi più date e relativi periodi fuori casa più lunghi. Rispetto a questo c’è chi, ovviamente, è più portato e chi meno, ma questo non vuole affatto dire che lo split sia avvenuto con discussioni o litigate, anzi, con i ragazzi della vecchia lineup ci vediamo spesso ed usciamo la sera senza alcun problema. Il punto è che, per me, la band è la cosa più importante e, di conseguenza, agisco per il bene di essa.
Immagino che il cambio di logo e quell’etichetta “Arthemis Issue #1” siano dirette conseguenze del disgregamento della lineup o sbaglio?
Esatto. Bisogna dire che, all’interno della band, ho sempre scritto io quasi tutti i pezzi e per arrangiarli è capitato che fossimo in sala prove oppure che fossi io da solo a fare tutto quanto. I ragazzi della lineup precedente mi hanno quindi detto che non avrebbe avuto senso cambiare il nome del gruppo, visto che la musica è sempre stata creata da me.
Ci vuoi presentare, a questo punto, i nuovi componenti della band?
Anzitutto devo dire che questo fatto di avere attorno a me persone nuove e così motivate mi ha dato una spinta veramente notevole, oltre ad avermi fatto un enorme piacere. Incominciamo con le presentazioni: alla voce abbiamo Fabio Dessi, il quale cantava in una cover band chiamata Bullet con un repertorio tra Mr. Big, Metallica, Skid Row e così via. L’ho incontrato ad un concerto degli Arthemis in cui suonavano anche loro e non ho esitato a chiamarlo. A dire la verità, tra Alessio e Fabio c’è stato un altro cantante, ma poi ha abbandonato in quanto avevamo dei concerti in Inghilterra e lui non se l’è sentita di seguirci. A quel punto è arrivato Fabio che in 4 giorni ha imparato tutti i testi per poi andare direttamente all’Hellfire Festival a Birmingham e si è dimostrato sin da subito un signor cantante avendo anche un ottimo riscontro da parte del pubblico.
Al basso c’è Damiano Perazzini, Damian il suo nome d’arte, ed è un bassista che ho conosciuto a Gardaland (risate generali, nda)! Cazzate a parte, si trattava di un incontro organizzato anche con altri musicisti ed alla fine ci siamo trovati con lui. Devo dire che è un bassista eccezionale, sullo stile di Billy Sheehan, ma possiede anche un grandissimo senso del groove ed è talmente bravo che ho potuto fare a meno di un altro chitarrista, anche dal vivo. Questo la dice lunga sulla sua bravura ed a noi non serve altro, sebbene mi rendo conto che nell’heavy metal la formazione “classica” è quella a due chitarre, basso, batteria e voce.
Infine c’è Conrad, cioè Corrado Rontani, batterista che fa parte anche dei Mr. Pig (cover band in cui milita anche Michele Luppi, nda). Si tratta di un musicista di grande esperienza e ci conoscevamo già da diversi anni, tant’è che ho subito pensato a lui, visto che ha uno stile molto moderno e sa creare delle ritmiche particolari che si allontanano un po’ dalle classiche fughe di doppia cassa ad elicottero.
Dagli esordi power fino ad un presente fatto di heavy/thrash. Com’è avvenuta questa evoluzione del vostro sound e perché, secondo te?
Heroes è stato scritto praticamente nel bel mezzo di tutti i cambiamenti di lineup ed in circa due mesi e mezzo di tempo ed ero molto motivato a dimostrare che so lavorare bene, cosa che credo e spero di essere riuscito a fare. Il discorso è che sono sempre stato un chitarrista influenzato da Megadeth, Metallica e Testament e per questo disco mi sono proprio chiesto che cosa mi ha fatto prendere in mano la chitarra per la prima volta, quali artisti mi hanno veramente formato. Da questa domanda è nato un disco che ho scritto con il cuore, senza pensarci più di tanto, e non mi interessa se le recensioni siano belle o meno belle, quello che conta è che l’album mi piace
Hai detto che i pezzi di Heroes li hai scritti tutti tu. Per quanto riguarda il lavoro di arrangiamento?
Anche in questo caso ho fatto tutto io. Tieni conto che io lavoro anche incidendo cover pop in versione heavy metal da utilizzare come suonerie soprattutto per il mercato giapponese, quindi la fase di arrangiamento riesco a prendermela in carico senza problemi. Una volta fatte delle pre-produzioni ed ascoltati i demo ci siamo trovati con gli altri ragazzi direttamente in studio per registrare ed essendo tutti professionisti non ci sono stati particolari difficoltà.
Ora entriamo un attimo nel dettaglio di alcuni brani: Toglimi una curiosità: l’assolo di 7Days è un tributo a Tom Morello?
Si, in effetti lo è, così come mi piacciono moltissimo i Rage Against The Machine. Ritengo Tom Morello uno dei più grandi innovatori nell’uso del whammy (particolare tipo di pedale, nda) insieme a Dimebag Darrell. Questi due musicisti hanno saputo usare questo effetto in maniera veramente intelligente, non solo per fare casino, ed in più sono riconoscibili sin da subito, avendo un suono estremamente personale.
Invece Crossfire invece mi ha ricordato parecchio i Racer X. Ti sei per caso ispirato a loro nello scriverla?
Paul Gilbert, oltre ad essere mio amico, è anche un chitarrista eccezionale, ma credo di non far torto a nessuno dicendo che, a mio giudizio, il miglior chitarrista rimane Yngwie Malmsteen. Detto questo, Crossfire potrebbe essere ricondotto ai Racer X visto che comunque si tratta di una grandissima band di cui possiedo tutti i dischi, anche se non la reputo propriamente un’influenza nel mio modo di scrivere. Non che mi faccia schifo essere paragonato a loro, sia chiaro (ride, nda)! È un onore non da poco, eheh!
Riguardo invece ai testi, di che cosa parlano?
Partiamo un secondo da un discorso più ampio, cioè dalla titletrack, la quale rappresenta anche il concept di tutto l’album e dall’artwork. Perché la copertina ci vede in primo piano? Noi siamo persone normali senza tutine tipo Spiderman o Batman, quindi ho pensato a come una persona possa essere considerata un eroe anche nella vita di tutti i giorni: il fatto è che un’azione banale compiuta da qualcuno come parte di una routine, può essere vista da qualcun altro come un gesto eroico. Insomma, il concetto chiave è che non bisogna essere per forza dei supereroi per essere degli eroi, anche se questo eroismo può essere letto sia in maniera positiva che negativa. Un esempio sono i politici: per alcune persone sono degli eroi, mentre per altre sono solo dei tiranni. Questo dualismo nel considerare determinate azioni porta ad una considerazione differente del concetto di eroe.
Questo è il concept alla base del disco e se tu prendi per esempio Resurrection, il testo parla di un Gesù che si cala nei tempi moderni e che vede quanto di peggio possa succedere nella società. Quello che voglio dire è che tengo particolarmente ai testi, anche se questi vengono sempre apprezzati di più all’estero in quanto qui in Italia la gente li legge poco.
Come siete passati da Scarlet a Crash ‘N’ Burn Records? C’è lo zampino di Nick Savio?
Con Nick Savio ho sempre avuto un ottimo rapporto, lo considero un grandissimo musicista, oltre che un produttore ed un tecnico del suono di gran talento. Con Scarlet le cose sono partite molto bene per poi finire in tutt’altra maniera, quindi avevo l’esigenza di trovare persone di fiducia e Nick mi ha fatto la proposta di unire le forze e mettere sotto contratto con la sua nuova etichetta gli Arthemis. Il semplice fatto che lui sia una persona che prende a cuore le cose che fa mi ha fatto accettare subito l’accordo e quindi ecco spiegato il cambio.
L’hai anticipato già prima, ma ora che sei l’unico chitarrista com’è cambiata la resa live dei vecchi brani, studiati invece per due chitarre? C’è l’intenzione di cercare un chitarrista che provveda ad aiutarti?
No, mi ritengo in grado di provvedere a far tutto da solo e poi tantissime grandi band, soprattutto nell’hard rock, hanno un solo chitarrista che svolge tutto il lavoro, aiutato da un gran bassista alle sue spalle. In questo caso, come ti dicevo, sono stato molto fortunato perché Damiano riesce a fare col basso le stesse cose che faccio io con la chitarra e dal vivo l’unica cosa che fa è aggiungere una distorsione al suo basso per coprire meglio il tutto. Inoltre da Black Society in avanti ho sempre cercato di scrivere per due chitarre, ma nell’ottica di fare poi tutto da solo, mentre nei lavori precedenti c’era più un lavoro di armonizzazione.
L’unico accorgimento che abbiamo preso è stato quello di scegliere, nella compilazione delle scalette da suonare dal vivo, i brani che meglio si adattano ad essere riproposti con una sola chitarra.
Il gruppo si è formato nel 1994 e da allora sono passati ben 17 anni. Che ne diresti di fare un bilancio della carriera degli Arthemis? Quali sono i migliori ed i peggiori momenti che avete passato?
Quando abbiamo formato la band eravamo dei ragazzini di prima superiore che si divertivano a suonare 7 giorni su 7 dalle 2 alle 5 del pomeriggio in sala prove. Questo ci ha effettivamente permesso di crescere moltissimo come musicisti ed ha dato una grossa mano alla band anche a livello di affiatamento. Il passaggio dal primo disco autoprodotto, Church Of Holy Ghosts, fino al contratto con un’etichetta è stato rapido e subito dopo abbiamo pubblicato The Damned Ship, stavolta anche per il mercato giapponese, cosa che ci ha aperto moltissime porte.
Per quanto riguarda momenti top e momenti down, devo dire che ce ne sono stati parecchi da entrambe le parti, ma sono comunque molto soddisfatto di quello che abbiamo passato in questi anni di carriera. Con l’arrivo di Heroes, poi, abbiamo avuto molta più visibilità anche all’estero rispetto al passato e ci è stata data la possibilità di suonare spesso a festival estremamente importanti e quindi non posso che essere felice di questo.
Se non vado errato anche la stampa inglese, notoriamente poco esterofila, vi ha accolto bene…
Hai detto una cosa sacrosanta. La stampa inglese è quella, se vogliamo, più “cattiva” e tieni conto che ultimamente da quelle parti ha preso piede la componente moderna del metal, il famigerato metalcore e quindi per i suoni classici non c’è più molto spazio. A noi era capitato in occasione di Black Society che il nostro lavoro fosse piaciuto ai fan dell’heavy metal classico, ma che riviste tipo Kerrang! avessero un po’ storto il naso, mentre con Heroes non mi pare di ricordare nessuna recensione brutta proveniente dall’Inghilterra.
Sei ancora orgoglioso dei dischi che hai registrato in passato? Come li giudichi adesso, a distanza di anni?
Rifarei tutto quello che ho fatto finora. Qualche giorno fa lessi una vecchia intervista a Kai Hansen (Gamma Ray, ex-Helloween) in cui esplicitava quello che è anche il mio pensiero: il disco rispecchia quello che ero nel periodo in cui è stato scritto e registrato, quindi perché dovrei cambiarlo? È vero, tutti compiamo un’evoluzione, soprattutto i musicisti: c’è chi sceglie di riproporre lo stesso album mille volte, scelta che si è liberi di fare, per carità, poi c’è chi cerca delle cose in più. Mi viene in mente l’esempio di Van Halen, un artista che è cambiato moltissimo nel corso della sua carriera, ma la cui matrice di fondo è sempre perfettamente riconoscibile. Per rispondere alla tua domanda, quindi, i miei dischi sono figli del loro tempo e non il cambierei per nulla in quanto sono esattamente come li avevo concepiti all’epoca.
Parliamo un attimo di te, ora: qualche tempo fa mollasti i Power Quest. Che cosa ti fece prendere questa decisione?
Con i Power Quest mi sono sempre trovato benissimo ed anche Alessio, che era anche il cantante degli Arthemis, la pensa allo stesso modo. Con loro ho condiviso tantissime esperienze tra tour europei con Angra, Firewind, Helloween, Dream Evil e tantissimi altri grandi artisti, combinandone veramente di tutti i colori. Il fatto di dover lasciare il gruppo è stato sofferto e la decisione, seppur a malincuore, è stata presa in quanto Power Quest ed Arthemis si stavano sovrapponendo troppo creando anche non poca confusione, cosa che non volevo assolutamente.
Avendo tu fatto parte di un gruppo inglese, che differenze hai notato tra la scena britannica ed internazionale e quella italiana?
Da un punto di vista professionale, essendo quella la patria dell’heavy metal, certe cose sono sicuramente organizzate meglio. Questo mi ha aiutato molto perché mi sono confrontato con realtà tipo il Bloodstock dove mi son ritrovato con una marea di amplificatori a disposizione tra cui scegliere, cosa che in Italia non succede molto spesso. Tra l’altro con gli Arthemis suoneremo di nuovo al Bloodstock quest’anno, insieme ad un bill veramente da paura tra Motorhead, W.A.S.P., Rhapsody Of Fire, Immortal e così via.
Per quanto riguarda i fan, adoro sia quelli italiani che quelli inglesi, ma questi ultimi sono strani perché spesso vedi di fronte a te un pubblico molto variegato a livello di età con anche intere famiglie che vengono a vederti: papà, mamma e figlioletto con le magliette del gruppo. Sono persone che ti seguono in maniera fedele anche tramite e-mail e Facebook e questo fornisce anche grande motivazione per noi.
Ho apprezzato moltissimo il debutto dei tuoi Killer Klown, veramente un lavoro con un tiro micidiale. Come hai deciso di mettere in piedi questa formazione?
Allora, attualmente con la band siamo fermi in quanto il batterista ed il bassista vivono a Londra con Alessio ed hanno fondato una band che si chiama A New Tomorrow (www.myspace.com/anewtomorrowband), di conseguenza per il momento l’abbiamo messa un po’ da parte, ma questo non significa, però, che non esistano più. Si tratta di una mia valvola di sfogo in quanto sono un grande appassionato di Slash e della parte più cruda dei Guns ‘N’ Roses, quindi abbiamo deciso di scrivere questo disco per divertimento e nient’altro. Ricordo addirittura che in una sera di prove scrivemmo quattro pezzi che poi sono andati a finire sul disco senza alcuna modifica. In quel caso il procedimento era molto semplice: si provava in saletta, arrivati a casa si arrangiava tutto, si spedivano i file delle pre-produzioni agli altri e poi direttamente in studio a registrare. Pensa che in quel periodo ero solito usare una marea di amplificatori differenti ed attrezzature varie, mentre per il progetto Killer Klown mi portai in studio solo un amplificatore ed una chitarra e registrai tutto alla vecchia maniera, molto istintivamente.
C’è qualche speranza di sentir ancora parlare dei Fear Of Fours, altra band di cui hai fatto parte e di cui uscì un disco nel 2007, Never Dream? Se non sbaglio venne accolto in maniera piuttosto positiva…
Dal canto mio no, nel senso che io sono stato chiamato di fatto per registrare gli assoli e non ho scritto nessun brano di quelli che sono andati a finire su disco. Alla fine ne è uscito fuori un bell’album, ma fondamentalmente non è proprio il mio genere.
Cosa mi puoi dire invece dei (F)Arthemis e di Pop Up Your Ass Vol. I? Com’è nata l’idea di un Ep di cover pop?
La cosa è nata per caso all’Hard Rock Hell di Ibiza dell’anno scorso (tra l’altro ti anticipo che torneremo anche alla prossima edizione) dove abbiamo avuto la proposta da parte di Gil di Metal Hammer UK per far uscire questo Ep di cover. In pratica Fabio stava ascoltando sull’iPod le canzoni che registro come suonerie per una compagnia giapponese, così Gil è arrivato e gli ha chiesto cosa stesse sentendo: una volta messe le cuffie è impazzito letteralmente e, appena tornato su a Londra, ci ha chiamato chiedendoci di registrare sei brani a nostra scelta. Il problema è che ci ha dato due settimane di tempo! Puoi immaginare come sia stato complicato, alla fine avevo gli occhi delle dimensioni di quelli di Topolino, ahah! (risate generali, nda) Son quelle occasioni che vanno prese al volo e non puoi tirarti indietro. (Per saperne di più: www.arthemismusic.com/downloads/).
Tornando a parlare invece degli Arthemis, quali sono le prossime date che vi vedranno protagonisti dal vivo? Avete in programma un tour o si tratta di singoli appuntamenti?
Come ti dicevo prima saremo presenti ad alcuni festival tipo Bloodstock in Inghilterra, l’Hard Rock Hell Ibiza e qualche data in Italia. Per il periodo successivo all’estate abbiamo delle cose in ballo, ma non posso ancora parlarne in quanto non c’è ancora nulla di ufficiale. Staremo a vedere!
Ultima domanda: tu sei anche un insegnante di chitarra per l’MMI (Modern Music Institute). Cosa comporta per te questo impegno?
Anzitutto è appena uscito il mio nuovo metodo per chitarra dal titolo The Metal Injection, il quale è diventato testo ufficiale dell’MMI per quanto riguarda la sezione rock/metal, di cui sono responsabile nazionale. Si tratta del mio terzo metodo didattico e si compone anche di un dvd dove viene spiegato ogni esercizio in maniera dettagliata.
Per quanto riguarda l’approccio didattico, va detto che ho avuto come maestro Alex Stornello (chitarrista jazz allievo anche di Frank Gambale, nda), il quale mi ha dato una direzione ed una grossa mano a perfezionare quello che avevo imparato da autodidatta. Personalmente cerco di unire al classico insegnamento sullo strumento anche la mia esperienza in studio di registrazione, ma esponendo anche molti stili: da Marty Friedman e Yngwie Malmsteen fino a Eric Johnson ed Andy Timmons. Secondo me è fondamentale dare una panoramica completa dell’apprendimento, non solo esporre qualche fraseggio e basta. Con i miei allievi si crea anche un ottimo rapporto, addirittura molti di loro lavorano già in campo musicale, e questo mi tiene in allenamento, oltre che consentirmi di essere sempre aggiornato sulla musica nuova.
Le domande sono finite, a te lascio la conclusione di questa chiacchierata.
Ed allora chiudo ringraziando te e tutte le persone che frequentano Truemetal, sito che seguo da qualche anno e che mi è sempre piaciuto moltissimo. Invito tutti a comprare Heroes, il nuovo disco degli Arthemis, ma soprattutto a venirci a trovare in occasione dei nostri concerti e visitare il nostro sito ufficiale ed i relativi inidirizzi Facebook e Myspace. Dal canto nostro a Novembre entreremo in studio per registrare il successore di Heroes, perciò stay tuned!