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Azure Agony (tutta la band)

Di Lorenzo Bacega - 19 Giugno 2010 - 10:05
Azure Agony (tutta la band)

E’ passato qualche tempo ormai dall’uscita di Beyond Belief, primo full length ufficiale dei friulani Azure Agony che ha lanciato la band di Udine nel panorama progressive metal italiano. Abbiamo approfittato dell’occasione per raggiungere il gruppo e scambiare quattro chiacchiere per quanto riguarda la lavorazione del disco, l’accoglienza ricevuta da quest’ultimo lavoro e a proposito di eventuali altri progetti in serbo per il futuro. Buona lettura!

 


Ciao ragazzi e benvenuti sulle pagine di Truemetal.it! Cosa ne direste come prima cosa di introdurre il vostro gruppo a beneficio dei lettori che ancora non vi conoscono?

Certamente. Gli Azure Agony nascono nel 2006 per volere di Marco Sgubin, tastierista. In seguito si uniranno Gabriele Pala (ex Karnak) alla chitarra, Marco Firman al basso e infine Carlo Simeoni alla batteria. Si iniziano subito i lavori per la composizione del primo album, che sarà poi mixato e masterizzato ai prestigiosi New Sin Studios di Luigi Stefanini, produttore noto in ambito metal, progressive e rock. L’idea è quella di creare musica libera, varia, complessa ma mai opprimente o manieristica. Dopo qualche mese arriva la firma con la SG Records.

Qual è il significato del vostro monicker Azure Agony? Di chi è stata l’idea?

Azure Agony è il nome dell’ultimo schema di Quake, noto videogame. L’idea è di Marco, il nostro tastierista.

Dove è nata l’idea di comporre un disco esclusivamente strumentale?

Ci sono stati 2 fattori principali. Il primo è che, musicalmente, le cose sono nate così: le composizioni, man mano che venivano fatte, si autoalimentavano senza la necessità di una “guida” o di un riferimento, che poi è uno dei ruoli principali della voce. Il secondo è stato l’impossibilità di trovare un cantante che rispondesse alle nostre esigenze, ossia quelle di conciliare espressività, originalità e buone doti canore. Sai, il pubblico percepisce come prima cosa la voce e la batteria, perchè sono gli strumenti naturalmente più diretti, a prescindere dal genere musicale proposto. Inserire quindi un cantante che non fosse all’altezza della proposta musicale ne avrebbe sminuito il valore.

Il vostro disco di debutto, Beyond Belief, è uscito ormai da qualche tempo. Potete dirci come è stato accolto sia dalla critica che dal pubblico?

In maniera ampiamente positiva, per nostra somma gioia. Tutte le recensioni hanno promosso l’esordio discografico del gruppo, sottolineando la qualità degli arrangiamenti e degli assoli, l’originalità di alcuni passaggi e la varietà delle atmosfere proposte. Non ce l’aspettavamo davvero, anche perchè siamo consci della difficoltà di ascolto che un lavoro come Beyond Belief può portare. Le critiche più ricorrenti sono state l’assenza della voce (vedi quanto detto prima riguardo alla percezione da parte del pubblico) e la somiglianza con alcune cose dei Dream Theater. Tuttavia, sebbene non siamo troppo d’accordo (nel senso che la gente non ha mediamente una grossa cultura musicale e accomuna tutto il prog metal ai DT…), i nuovi lavori terranno comunque conto delle opinioni raccolte e porteranno ulteriori evoluzioni. Il riscontro è comunque molto buono, arrivano complimenti da tutto il mondo e la platea che raduniamo ai live si accresce di volta in volta.

Potete raccontarci come si sono svolte le fasi di composizione del disco? Quando avete cominciato a lavorare su questo Beyond Belief e quanto tempo vi ha preso nel complesso?

A metà del 2006 ci trovammo ad ereditare tre pezzi dalla una precedente formazione (gli ultimi tre della tracklist). Incominciammo quindi a mettere insieme riff di chitarra, idee melodiche di tastiera, ritmiche di basso e batteria e, unite ad un feeling musicale istantaneo tra noi quattro, ne uscì Mystic Interiors, brano di apertura dell’album. Generalmente, anche per i pezzi nuovi, procediamo così: insieme si definisce l’andamento di un brano: quando e come deve crescere o calare, che feeling deve evocare. Poi ognuno, sul suo strumento, traduce un’intenzione verbale e ideologica in note e ritmo. La fase finale è stata poi quella di analizzare tutti i vari passaggi e vedere cosa eventualmente modificare. Nulla è stato lasciato al caso e i brani non sono stati considerati finiti finchè tutti non sono stati pienamente soddisfatti. The Temple Of Vandora ha subito drastiche modifiche poco prima di andare in studio, proprio perchè la precedente versione non convinceva al 100%. Anche la scelta dei suoni, dell’ordine dei pezzi e delle pause tra di essi è pensata. Poi Luigi Stefanini ha fatto davvero un grandissimo lavoro di mixaggio (per i maligni: niente quantizzazioni o trucchi di studio, è tutto “vero”… venite dal vivo a vederci!). Agli inizi del 2009 tutto era bello, pronto e finito!

Da cosa avete tratto ispirazione per quanto riguarda l’artwork di questo disco?

Beh, innanzitutto, chiamandoci AZURE Agony, la copertina del cd non poteva essere di certo rossa…. Inoltre volevamo qualcosa di semplice, simbolico ed evocativo, che, in qualche modo, si potesse distinguere su uno scaffale di un negozio o su un sito internet in mezzo alle altre innumerevoli proposte. La combinazione di statue crea quel contrasto tra qualcosa di mistico e spirituale e la spazialità asettica dello sfondo. Al centro delle statue c’è una sorta di stargate che indica la partenza di un viaggio immaginario. Forse, col senno di poi, ci siamo un po’ pentiti del logo, realizzato col font “Bleeding Cowboys”… attualmente è davvero molto gettonato, addirittura troppo!
 

 

C’è una canzone che preferite rispetto alle altre, all’interno di questo disco? Per quale motivo?

No, in generale no. A suonarle son tutte magnifiche, ritroviamo ogni volta soddisfazione ed  entusiasmo. Come ascoltatori non sapremmo deciderci e poi saremmo di parte. La scelta sta a voi!

Siete soddisfatti dal lavoro svolto dalla vostra etichetta, la SG Records? Come siete entrati in contatto con loro?

Allora, inizialmente non avevamo nemmeno pensato di avere un’etichetta. Avevamo stampato dei promozionali in proprio con l’idea di venderli tra amici e parenti o su qualche sito internet. Poi la SG ci ha contattato e la loro proposta ci ha fatto valutare la possibilità che ci è stata offerta per promuovere la nostra musica. Sicuramente da soli non si può avere tutto quel potere e quei contatti. Grazie al loro lavoro abbiamo ricevuto un sacco di ottime recensioni, distribuzione in tutta Europa grazie anche alla partnership con la 7Hard. Il contatto con loro è poi sempre molto diretto, immediato e friendly: per qualsiasi cosa siamo sempre gli uni a disposizione degli altri, quindi il bilancio non può che essere positivo. Ora siamo in attesa dei primi report di vendita.

Avete intenzione di continuare la vostra carriera come un gruppo esclusivamente strumentale, o pensate di includere un cantante di ruolo all’interno della vostra line up, in futuro?

Certo, abbiamo finalmente trovato la voce che fa per noi. Il suo nome è Simone Vrech e lo vedrete apparire sul prossimo album, attualmente in lavorazione. Simone è anche molto attivo a livello di eventi e spettacoli nella nostra regione, quindi i contatti che può avere saranno una leva positiva per tutti.

Parliamo un attimo del vostro background musicale: chi vi ha ispirato maggiormente come musicisti?

Ognuno proviene da background diversi. Gabriele nasce con il death metal (i nomi classici: Pestilence, Cynic, Atheist, Death, Nocturnus, Morbid Angel, ecc…), avendo militato per 17 anni nelle file dei Karnak, per poi espandersi verso il jazz, la fusion e l’avanguardia elettronica. Marco (tastierista) viene dai classici del prog metal come appunto i Dream Theater o progetti derivati come i Liquid Tension Experiment. Marco (bassista) ascolta davvero di tutto: da Madonna ai Cradle Of Filth, dal funky alla musica classica. Carlo è cresciuto ascoltando i Queen. Quando ha iniziato a suonare la batteria si è messo ad ascoltare un po’ di tutto, dal pop, al rock, al jazz, alla classica, alla musica per big band, al funky, alla fusion sino ad arrivare al prog moderno con Dream Theater, Queensryche e Pain of Salvation. Poi si è espanso in altri generi nell’ambito del rock e del metal. Più che musicisti trae ispirazione da ritmiche e mood tipici dei vari generi musicali.

Che idea vi siete fatti dell’attuale situazione della musica underground italiana?

Ci sono davvero tante band valide, e in generale il motore che guida tutto e che tiene il movimento vivo è l’amicizia tra i musicisti, il giro di conoscenze e fiducie che si viene così a creare. E’ un qualcosa di fertile e non statico. Purtroppo, il fatto di essere in Italia non aiuta chi ha le capacità per emergere e magari vorrebbe fare qualcosa di più con la propria musica.

E, parlando adesso un po’ più in generale, cosa ne pensate della scena progressive internazionale, allo stato attuale?

Forse manca qualcosa di nuovo. Poi dipende cosa si intende per progressive. Il progressive è un movimento musicale e ideologico nato negli anni 70. Era un genere appunto progressista, mirato a fare passi mai fatti prima da altri. Il progressive metal oggi considerato da molti è tradizionalmente figlio dei Dream Theater, anche se non è affatto così. Manca proprio il desiderio di fare un coraggioso passo avanti alla ricerca di nuove soluzioni, cioè è diventato un “genere fisso” e non un territorio aperto da esplorare. La tendenza attuale ci sembra comunque quella di prendere a imitazione uno dei modelli principali e accordarsi al relativo filone, anche se alla fine è davvero difficile inventarsi qualcosa di veramente innovativo (noi compresi chiaramente….).
 

 

Sulla vostra pagina MySpace campeggia in alto la bella scritta “Looking for Gigs” (“in cerca di concerti” per i profani, ndr): quanto è difficile per un gruppo, specialmente come il vostro, trovare degli spazi dove potervi esibire?

Davvero un impresa!! Beh prima di tutto esiste lo scoglio di essere per ora strumentali. Molta gente storce il naso solo per quello. Seconda cosa, o ti accontenti di suonare alla sagra sotto casa o nel locale gestito da qualche amico, o devi rivolgerti a agenzie di promoting. Queste ormai sono diventate un qualcosa di inevitabile per suonare a un certo livello. Tuttavia sentiamo da altri gruppi e conoscenze varie un sacco di considerazioni negative. Si fanno pagare profumatamente in cambio di quasi nessuna garanzia. Alla fine un gruppo si trova a pagare (o quantomeno ad anticipare delle somme) per suonare e questo è un grosso scoglio, specie per iniziare un qualcosa di più serio. Una differenza forse la troviamo nella vicina Slovenia: locali specializzati, bar di quartiere e festival open air sono ovunque per chi vuole proporre la propria musica, anche se l’orientamento sul genere è improntato verso il death-metal ed il grind. Con quella scritta speriamo che qualcuno (gestori di locali, organizzatori di eventi), magari affascinato dalla musica, scavalchi questa sorta di emergente mafia istituzionalizzata e si rivolga direttamente alla band per organizzare delle date.

Avete già trovato qualcosa a questo riguardo?

Nonostante le belle considerazioni filosofiche di cui sopra… no! (ndr, ride) Resta tutto per conoscenze e favori. Ma diverse cose si stanno muovendo. Incrociamo le dita.

Un paio di mesi fa avete girato il vostro primo video promozionale, per la canzone Mystic Interiors, cosa potete raccontarci a proposito di questa esperienza? In base a cosa avete scelto proprio questa canzone?

L’idea, o meglio, la proposta ci è stata fatta dal nostro cantante, Simone Vrech, il quale ha fatto della sua passione, ossia la videoripresa e la fotografia, una professione. Qualche mese fa’ è arrivato in sala prove dicendoci che voleva fare il video di Mystic Interiors, prospettandoci la location ed il “taglio” stilistico derivato dalla musica. Un’esperienza nuova assolutamente positiva ed il risultato è pienamente soddisfacente ed accattivante, nonostante il tutto sia stato realizzato in estrema economia. Su YouTube il numero delle visualizzazioni è andato alle stelle in pochissimo tempo. Abbiamo scelto quel brano in quanto contiene un po’ tutte le atmosfere che si possono poi trovare nell’album. Forse ne faremo un altro, per Across Elysian Fields.

Progetti per il futuro?

Sicuramente finire il secondo album, attualmente in lavorazione, questa volta cantato. Crediamo che con un secondo lavoro reso molto più fruibile grazie all’apporto della voce, potremmo puntare a qualcosa di più, anche in termini di presenza live.

Ok, questa era la mia ultima domanda. A voi un’ultima battuta per chiudere l’intervista come preferite!

Grazie a voi per le domande, scusate la nostra logorroicità, speriamo di non avervi annoiato eccessivamente… tornando al discorso “looking for gigs”, se tra i lettori di TrueMetal.it c’è qualcuno che organizza concerti non esisti a contattarci su MySpace, su Facebook, tramite la SG Records o al nostro indirizzo email.
 

Lorenzo Bacega