Intervista Bathory (1989)
Intervista ai Bathory nella persona di Quorthon da parte di Paolo Piccini, giornalista imprescindibile di quel periodo, apparsa e qui riproposta fedelmente sulla rivista HM numero 59, anno 1989. Il momento storico si riferisce ai mesi successivi all’uscita dell’album Blood Fire Death.
La maggioranza delle foto è stata scattata da Piergiorgio “PG” Brunelli.
Buona lettura.
Steven Rich
NON HANNO BISOGNO DI PRESENTAZIONI: SONO L’IMPERSONIFICAZIONE DELLA VIOLENZA E DELL’ESTREMISMO SONORO PIÙ EFFERATO, COME RIBADITO ALLA GRANDE NEL LORO ULTIMO, CONTROVERSO ALBUM, BLOOD FIRE DEATH. ABBIAMO CATTURATO IL TRUCE QUORTHON E QUESTO E’ IL RISULTATO: DEATH TO THE MASSES!
PAOLO PICCINI
Nella foto: la copertina di HM numero 59, 1989.
Esistono band che sono odiate ed amata in egual misura, in particolar modo nel settore del rock duro. Molti sono stati e continuano a essere i gruppi oggetto di questo tipo di dualismo, che nella maggior parte dei casi è sintomo evidente di trovarsi al cospetto di una band fuori dal comune, nel bene o nel male. I Bathory sono un di queste band, invisa a un settore di pubblico e venerata da un altro; quel che è certo è che il trio svedese non accetta compromessi nel proprio suono, proponendo un durissimo Death/Doom style che nei quattro album finora incisi (Bathory, The Return…, Under The Sign Of The Black Mark e il recente Blood Fire Death) ha sempre perseguito un attacco sonoro radicalissimo e in parecchi casi ha rappresentato una delle vette dell’estremismo in questa particolare diramazione del metal sound. I primo due lavori, scarni ed essenziali, avevano proposto Quorthon e soci come una delle più convincenti reincarnazioni dei Venom di Welcome To Hell e Black Metal, etichetta che sarebbe stata parzialmente corretta alla luce del terzo, che mostrava poderosi segni di evoluzione, pur se all’interno di uno stile personale e vincente: alle consuete esibizioni di velocità folle e violenza parossistica, come The Golden Walls Of Heaven, Holocaust, Dies Irae fanno riscontro esaltanti episodi rallentati e schizoidi; A Fine Day To Die, For All Those Who Died e gli oltre 10 minuti della title track sondano un territorio musicale acidissimo in cui dissonanze, aperture acustiche e inquietanti cori gregoriani si alternano per creare un’atmosfera agghiacciante, che oltrepassa e ridefinisce il concetto di Dark. Blood Fire Death vede inoltre stabilizzarsi la formazione del gruppo, in precedenza mai citata sulla copertina: oltre all’eminenza grigia Quorthon alla chitarra & voce, i Bathory includono altri due elementi dagli improbabili nomi di Vvornth (batteria) e Kothaar (basso). Il colloquio con Quorthon ce lo ha rivelato come persona parecchio motivata e intelligente, priva di atteggiamenti da star e totalmente dedicata all’affermazione dei proprio gruppo. Piccola curiosità: è stato in vacanza in Italia alcuni anni fa, ed è rimasto molto colpito dall’enorme quantità di traffico e soprattutto dalla poca pulizia delle strade. Aveva visitato Torino, Milano e Roma…
HM – Quali sono, secondo te, i fattori che hanno reso Blood Fire Death un album nettamente superiore ai tre precedenti?
Quorthon – E’ stata principalmente una questione di esperienza acquisita. Dopo aver registrato tre dischi abbiamo preso coscienza di quello che volevamo realmente ottenere con il quarto; di conseguenza siamo entrati in studio molto determinati e avevamo già in mente il risultato finale, sia a livello compositivo che a livello di produzione.
HM – Perché hai scelto un titolo così ordinario e, se vogliamo, piuttosto sfruttato, per il disco?
Quorthon – E’ semplice, si tratta della citazione di un brano che gli dà il titolo: SANGUE, per tutte le lacrime versate, FUOCO per tutto l’odio, MORTE per quello che sarà il destino di tutti i falsi. Non si tratta di tre parole messe a caso, ognuna di esse ha un significato ben preciso.
HM – La produzione di Blood Fire Death risulta molto più grezza di quella di Under The Sign Of The Black Mark. Si è trattato di una scelta ponderata o ci sono stati problemi in studio?
Quorthon – Questa risposta si riallaccia alla prima: è stata nostra intenzione ottenere un suono di questo tipo, che evitasse di far sembrare i brani tutti uguali. Inoltre con una produzione molto essenziale le song hanno guadagnato in potenza, e ciò è molto importante per un gruppo come il nostro.
HM – Fra le varie leggende che circondano i Bathory c’è quella seconda la quale i primi album sono stati registrati come una one-man band, con te che suonavi tutti gli strumenti. E’ vero o si tratta solo di una leggenda?
Quorthon – Ovviamente sono voci totalmente mente false, prima di tutto perché per me sarebbe stato tecnicamente impossibile. I Bathory sono sempre stati un gruppo nel senso convenzionale del termine: la prima line-up registrò due brani per una compilation (si trattava di Scandinavian Metal Attack del 1984), e fino ai tempi di Under The Sign Of The Black Mark ho avuto cinque o sei formazioni diverse. Ho cambiato spesso elementi, perché si trattava di strumentisti poco convinti di quello che stavano facendo, e lavorare con persone del genere non dà nessun tipo di soddisfazione dal punto di vista artistico.
HM – Come sei entrato in contatto con i componenti definitivi della band?
Quorthon – Ho incontrato il batterista nei primi mesi del 1986; mi piaceva molto il suo stile ma a quei tempi 1ui aveva una sua formazione con tanto di contratto discografico, e quindi non potevo contattarlo immediatamente. Comunque siamo diventati ottimi amici, e non appena la sua band si è sciolta gli ho offerto il posto nei Bathory. In un club di Stoccolma ho visto suonare invece il bassista, uno strumentista che aveva un’immagine ed un approccio musicale decisamente affine al nostro. Ho parlato brevemente con lui e dopo poco tempo è entrato a far parte stabilmente del gruppo.
HM – Da dove provengono i nomi Quorthon, Kothaar e Vvornth? Non credi che moniker del genere abbiano fatto il loro tempo e sia il caso di usare i vostri veri nomi?
Quorthon – No, non credo. Soprattutto perché se usassimo i nostri nomi di battesimo il grosso pubblico tenderebbe a non ricordarli, poiché siamo svedesi e i nostri nomi sarebbero difficili da pronunciare. Abbiamo perciò deciso di utilizzare questi nomi “spirituali” dal significato particolare. Quorthon significa più o meno “dark demon for a dark princess”, mentre gli altri due non hanno un significato vero e proprio.
HM – Hai scelto un bassista e un batterista che somigliano molto a Mantas e Abaddon. E’ intenzione dei Bathory riempire il vuoto che i Venom hanno lasciato, in termini di musica e immagine, dopo Black Metal?
Quorthon – Non è colpa mia se Vvornth e Kothaar somigliano a ad altra gente; non potevo certo tagliare loro i capelli o tingerli di un colore diverso! Comunque non stiamo cercando di seguire le orme di nessuno, né tanto meno dei Venom. Vedremo fra qualche anno quale delle due band sarà ancora in attività e chi avrà venduto di più…
HM – Vi preoccupa la competizione in campo Death Metal proveniente dagli Stati Uniti e dal resto d’Europa?
Quorthon – Oh no, assolutamente. Noi non cerchiamo la competizione ad oltranza, ma andiamo avanti per la nostra strada, cercando di fare le cose nel miglio modo possibile. Inoltre abbiamo il vantaggio di essere svedesi, ossia di provenire da una nazione inusuale per un certo tipo di metal, e questo contribuisce a farci essere al centro dell’attenzione.
HM – Sei interessato all’Hardcore, e pensi che Bathory siano una band che possa incontrare i favori dei sostenitori dell’Hardcore?
Quorthon – Ognuno può ascoltare quello che vuole. L’Hardcore ha dei punti di contatto con il nostro stile, in quanto è una musica molto violenta e selvaggia suonata da “raw musicians”. Io auguro tutta la fortuna possibile a questo tipo di gruppi, ma i Bathory continueranno a seguire una strada differente.
HM – Agli inizi della carriera i Bathory venivano indicati come un band senza futuro, quasi deleteria per il panorama metal di quel periodo. Oggi sono molti invece i gruppi che vi indicano come influenza principale…
Quorthon – Non voglio lanciarmi in polemiche, dico solo che mi fa piacere quando un gruppo cita i Bathory come influenza: tutto sommato è sempre un compimento.
HM – Vivete ancora in Svezia?
Quorthon – Si.
HM – Com’è la scena heavy dalle vostre parti, escludendo Europe e Yngwie Malmsteen?
Quorthon – Versa in grosse difficoltà, perché in Svezia non esiste una vera e propria cultura rock. Basta dare uno sguardo alle charts svedesi, dove nei primi quindici/venti posti non figura neanche un Lp di hard rock, come invece succede in quasi tutte le altre nazioni europee.
HM – Hai mai pensato di lasciare la Svezia e trasferirti a Londra, dove risiede la casa discografica della tua band (la Under One Flag)?
Quorthon – No, perché io sono svedese e sono piuttosto felice di vivere in Svezia. E poi Londra non mi piace…
HM – Hai intenzione di scrivere altri brani rallentati come Woman Of Dark Desires e A Fine Day To Die in futuro o i Bathory continueranno a insistere sulla velocità totale?
Quorthon – Il primo album era “total speed”, a parte Necromansy e Raise The Dead; anche il secondo era incentrato sulla velocità incondizionata, se si eccettuano Born For Burning e The Rite Of Darkness. Già da Under The Sign Of The Black Mark però abbiamo iniziato ad introdurre brani più elaborati come Woman Of Dark Desires, 13 Candles, “Enter The Eternal Fire” e “Call From The Grave”. Su Blood Fire Death ci sono diverse heavy track di questo tipo, alternate a brani più tipicamente speed. Penso che l’importante sia scrivere buone song, non importa se siano ultraveloci o rallentate. Non so quale sarà la nostra futura direzione, ma la cosa non mi preoccupa assolutamente: chissà, forse il nostro prossimo album potrebbe avere venti brani…
HM – Perché i vostri Lp iniziano tutti con delle intro lunghissime?
Quorthon – E’ molto semplice: io amo le intro molto lunghe, e dedico loro particolare attenzione in fase compositiva. L’intro serve per far entrare l’ascoltatore nel mondo dei Bathory, e quando si ascolta una nostra intro, si dimentica tutto ciò che è intorno, creando la situazione ideale per essere coinvolti in massima misura dalla nostra musica e dai nostri testi. Inoltre, visto che non tutti i nostri fan conoscono l’inglese alla perfezione, l’intro serve a farli entrare immediatamente nel mood dell’album.
HM – Ho letto da qualche parte, diverso tempo fa, che i tuoi gusti musicali sono piuttosto distanti dal metal. So che tra i tuoi gruppi preferiti ci sono i Beatles e i Credence Clearwater Revival…
Quorthon – Ascolto tutti i tipi di musica, da Wagner ai Beatles. Tutte le espressioni musicali mi interessano, dal jazz alla musica elettronica. L’unico genere che non mi attrae è la musica africana. Non ascolto metal perché da diversi anni a questa parte suono metal, compongo metal e registro metal; di conseguenza quando sono a casa preferisco orientarmi su altre forme sonore.
HM – Pensi che tutto questo influenzi lo stile dei Bathory?
Quorthon – Oh, si, senza dubbio! In Blood Fire Death ci sono delle aperture strumentali molto reminiscenti della musica classica e lirica. Sento il bisogno di andare oltre i tipici schemi heavy metal di chitarra/basso/batteria, e cerco di introdurre elementi diversi nel suono della band, per mantenere la forza di espressione a livelli ragguardevoli.
HM – Viste queste tue inclinazioni, hai mai pensato di incidere un album solista e suonare altri tipi di musica oltre al metal?
Quorthon – Io già scrivo altri tipi di musica in privato, ma questo non vuol dire che io debba necessariamente incidere un disco solista.
HM – Dunque quali sono i tre Lp che ritieni più importanti per la tua formazione musicale?
Quorthon – Oh, potremmo andare avanti per ore. Esistono molti dischi che per me hanno significato molto nel rock. Comunque, tre degli album che apprezzo maggiormente sono Ace Of Spades dei Motorhead, Rocks degli Aerosmith e Never Mind The Bollocks dei Sex Pistols.
HM – Ora che hai una line-up stabile, inizierai ad andare in tour? Se non sbaglio i Bathory non hanno mai suonato dal vivo…
Quorthon – Abbiamo fatto alcune date ma mai suonato per un grosso pubblico. Non credo che un tour sia imminente, per una semplice ragione: noi vogliamo che i nostri show siano qualcosa di incredibile dal punto di vista visuale, ed al tempo stesso vogliamo che lo show sia uguale in tutte le date, senza preferenze per particolari nazioni. Lo stage deve essere uguale per l’Inghilterra come per l’Italia, ad esempio, perché tutti i fan sono ugualmente importanti per noi. Per fare ciò servono parecchi soldi, di cui al momento non disponiamo, e perciò preferiamo rimandare. Credo che registreremo però un video con il palco che vorremmo, e con tutti gli effetti immaginabili, che metteremo in circolazione fra non molto.
HM – Ricevi molto supporto dall’Italia?
Quorthon – Si, molto. Mi arrivano tantissime lettere in particolare da Milano e Roma.
HM – Vuoi salutare i tuoi fan italiani?
Quorthon – Ragazzi, voi avete il miglior cibo del mondo; quando capiterò dalle vostre parti portatemi a mangiare una pizza!
Paolo Piccini
Articolo a cura di Stefano “Steven Rich” Ricetti
Quorthon, vero nome Ace Börje Thomas Forsberg, è purtroppo mancato il 7 giugno 2004, a Stoccolma, per problemi cardiaci. R.I.P.