Battleroar (Concoreggi Marco)
I Battleroar sono, indiscutibilmente, tra le migliori band mondiali dedite ad un indiscusso e puro Epic Metal. Sicuramente il loro debut album “Battleroar” (leggi qui la recensione) si è rivelato essere una delle migliori uscite in ambito Epic Metal di questo nuovo millennio, ma andiamo a conoscere meglio la band attraverso il pensiero di Marco Concorreggi, l’italiano cantante del gruppo.
Enzo: Ciao Marco! In primo luogo parlaci un pò dei Battleroar, quando nascono, i primi lavori fino allo stupendo debut album, insomma un breve ma completo excursus sulla storia della band.
Marco: Ciao Enzo! Il nucleo principale della band viene a formarsi ad Atene, nel Settembre 2000, attorno ai due chitarristi Kostas Tzortzis e Manolis Karazeris, al batterista Nick Papadopulos, al bassista Christos Remoundos e al vocalist Vagelis Krouskas. Con questa line-up la band suona alcuni shows di supporto in clubs locali, e nel frattempo lavora ai primi brani originali. La prima registrazione è un promo 5 traccie registrato in presa diretta, al Versus Studio di Atene, che contiene le versioni originali dei brani “Almuric”, “Battleroar”, “Morituri Te Salutant”, “Swordbrothers” e “Dragonship”. Le influenze sono i grandi gruppi dell’U.S.Classic-Epic Metal come Manilla Road, Omen, Cirith Ungol, Brocas Helm, primi Manowar, e gruppi europei quali Heavy Load, i Bathory del periodo epico e i Doomsword dell’esordio. Nel dicembre del 2001 la band corona il suo sogno di aprire in veste di gruppo spalla, uno show dei Brocas Helm, in occasione del quale il promo CD viene per la prima volta distribuito. Successivamente la band visiterà nuovamente il Versus studio per registrare un 7” in vinile autoprodotto (limitato a 1000 copie), che contiene le nuove versioni dei brani “Swordbrothers” e “Dragonship”. A Marzo 2002, i riformati Omen calano ad Atene per due shows all’AN Club, e in ambedue i casi la band ha la possibilità di esibirsi a fianco di questa leggenda dell’heavy metal americano. Durante queste date viene proposta la nuova composizione “Victorious Path”. Viene registrata anche una versione da studio di “Morituri Te Salutant”, destinata a far parte di una compilation di gruppi locali, che però non vedrà mai la luce. Di lì a poco, il bassista Christos e il cantante Vagelis decidono di lasciare il gruppo per motivi personali; entra quindi a far parte della band il bassista Kostas Makrikostas, un musicista di grande esperienza, avendo militato in una delle formazioni degli storici Spitfire, il quale vanta collaborazioni anche con Airged L’amh e Casus Belli. Il posto di vocalist rimane vacante, fino a quando Manolis, dopo aver sentito alcune mie registrazioni demo di brani originali, decide di contattarmi per vagliare l’opportunità di una collaborazione, e da quel momento entro a far parte della line up che, nell’ottobre 2002, suonerà due shows ad Atene e Salonicco assieme ai Manilla Road, al loro primo tour in terra greca. Il brano “Mourning Sword” viene eseguito dal vivo durante questi shows. Il 2003 vede la band in studio per le registrazioni dell’album di debutto, su etichetta Omicron Music di proprietà del nostro amico Makis, etichetta della quale il nostro disco sarà l’unica release. Un aneddoto: originariamente, il brano “Berzerker” doveva ospitare le vocals di Mark Shelton, che aveva già espresso la propria disponibilità a registrare; essendosi presentati dei problemi di carattere tecnico/logistico, l’idea è poi stata abbandonata, ed il brano tenuto da parte. L’ultimo giorno delle registrazioni, senza avere in mente alcuna linea vocale precisa, e con solo due fogli manoscritti con le liriche vergate da Kostas (Tzortzis) siamo entrati in studio, e in un paio di takes improvvisate abbiamo registrato le parti vocali del brano come appaiono sul disco. L’album viene pubblicato in Grecia alla fine di Agosto 2003, e nel successivo settembre la band si aggrega ai Jag Panzer per un mini tour di due date a Milano e Colonia. A inizio Febbraio 2004 ha luogo uno show ad Atene di supporto ai Doomsword, e nel Marzo dello stesso anno, è ancora nostro l’onore di dividere il palco con i Manilla Road nelle due date di Atene e Agrinio della loro seconda visita in Grecia. Sempre nel 2004, la band viene invitata a partecipare al warm up show del Keep It True Festival in Germania, nella sua seconda edizione, e successivamente a far parte del bill dell’Headbangers Open Air, sempre in terra tedesca. L’ultimo nostro concerto è del 24 ottobre 2004, al Club Gagarin di Atene, di supporto agli Edguy.
Devo dirti la verità, sono sempre stato un grandissimo estimatore dell’Epic Metal sound, amando anche le band più sconosciute che appartenevano a questo storico movimento degli anni 80 e devo esser ancor più sincero nel dirti che nutrivo seri dubbi riguardo a questa nuova ondata di Epic Metal negli anni 2000, ma tutti i miei dubbi sono stati clamorosamente sbaragliati grazie a dischi come il vostro omonimo debut. Cosa ne pensi di questa specie di rinascita dell’Epic Metal? Su che basi, secondo te, si fonda questo nuovo interesse nei confronti di questo movimento che ha portato anche alla ristampa di alcuni cult-album (vedi ad inizio 2000 addirittura tornare sul mercato band come Manilla Road!)?
Per cercare le ragioni che hanno riportato in attività alcune delle bands storiche del genere, e favorito la crescita e l’esposizione (speriamo sempre maggiore) dei gruppi più giovani, bisognerebbe prima discriminare cosa la definizione “Epic Metal” rappresenti, visto che le opinioni a riguardo sono piuttosto variegate. Sotto questa etichetta convivono gruppi il cui suono risente pesantemente di influenze della psichedelia e dell’heavy rock settantiano, altri ancora che partendo da una matrice sonora più quadratamente ottantiana – e talora anche maggiormente moderna – incorporano elementi lirici e musicali di drammaticità e barbarismo. Specie molti gruppi americani dei primi anni 80, arrivano al suono epico senza neppure rendersene conto: inizialmente basando il proprio songwriting su coordinate legate alla lezione chitarristica dei titani dell’hard rock (Rainbow/MSG/Scorpions, etc) e al cosiddetto Euro-Metal di inizio 80, essi lo rielaborano secondo le possenti spirali del proprio DNA a stelle e striscie, creando non già un copia senz’anima, ma un vero e proprio genere a sè, che nella sua manifestazione più sognante e battagliera può a ragione venire definito Epic Metal.
Per questa mancanza di radici comuni, non ritengo che sia mai esistito un “movimento” od una “scena” Epic Metal, nè in Europa nè oltre oceano; almeno, non negli anni passati, quando nel calderone dell’epico nel rock cadevano, a ragione, sia i Fifth Angel che i primi Rush. Attualmente, perlomeno, c’è la consapevolezza dell’esistenza di questo genere, e ne abbiamo isolato dei modelli esemplari; la conseguenza più immediata per chi vi si cimenta oggi è che, ispirandosi a questi ultimi, i risultati sono nella maggior parte dei casi piuttosto derivativi. Fortunatamente, vista l’ortodossia e la reazionarietà dei fans, questo è un difetto per lo più marginale. Per quanto concerne i motivi della presunta “rinascita”, stiamo ovviamente parlando di un sottogenere di nicchia, che si colloca all’interno di un mercato discografico comunque di nicchia; tuttavia è innegabile che ultimamente qualcosa si sta muovendo, e non solo in ambito musicale. Si moltiplicano le pellicole ispirate a saghe fantasy (per quanto, molto spesso, il risultato non soddisfi le attese dei puristi), e ad una rivisitazione romanzata di vicende legate ad epoche storiche attinenti all’immaginario epico degli heavy metal fans; lo stesso Conan sembra sarà oggetto di un terzo film, ed almeno negli States hanno riaperto una collana a fumetti a lui dedicata. Ritengo inoltre che, principalmente per ragioni anagrafiche, questo momento sia estremamente propizio per un ritorno in attività delle storiche cult-bands; e indubbiamente questo funge da colpo di volano per ravvivare i sogni e le intenzioni dei fans. Per l’artista credo si tratti della naturale soddisfazione di necessità espressive legate ad una urgenza compositiva mai doma e mai del tutto sopita, contrastata in taluni casi da vicissitudini personali (familiari, lavorative, etc), e senza dubbio frustrata dalla congiuntura estremamente negativa degli anni centrali della decade 1990-2000, dalla quale sono comunque emerse gemme di raro splendore, ma sempre tra stridori di denti e pionieristici sacrifici. L’immediata accessibilità delle risorse internet, consente senza dubbio alle bands di tastare con più facilità il polso dei fans; ed è proprio grazie alla rete che, a mio avviso, è stata acquisita la consapevolezza dell’esistenza di una richiesta sufficiente per rendere conveniente la ristampa dei vecchi albums, con somma sorpresa dei musicisti statunitensi, tradizionalmente disillusi a causa dell’oblìo al quale, in patria, i trends imposti dalle industrie discografiche hanno per tanti anni relegato le loro opere.
I Battleroar si sa, sono greci, tu invece sei il loro cantante e sei italiano. Com’e’ nata questa collaborazione?
Ho incontrato per la prima volta Nick, il nostro batterista, assieme a Vagelis e Christos (cantante e bassista della precedente formazione) nell’estate del 2000 a Balingen, in Germania. Ero appena atterrato all’aeroporto di Stoccarda, e facevano parte di un manipolo di fans greci in attesa dell’arrivo dei Manilla Road, che avrebbero poi suonato al Bang Your Head festival. All’epoca i Battleroar ancora non esistevano. L’anno successivo, alla prima e più incredibile edizione del Classic Metal Festival a Kalamazoo (Michigan, USA), dove tra gli altri si sono esibiti Manilla Road, Cauldron Born ed Omen, ho nuovamente incrociato Nick, e conosciuto per la prima volta Manolis, che prima di partire mi ha parlato della sua band, consegnandomi un appunto con il proprio indirizzo e-mail e l’URL del sito internet. Alcuni mesi più tardi stavo navigando su internet alla ricerca di nuovi gruppi interessanti da ascoltare, e mi sono imbattuto nella pagina dei Battleroar, dalla quale ho scaricato il brano “Almuric”, che mi ha immediatamente galvanizzato. Il destino ha voluto che, pochi giorni più tardi, apprendessi la notizia che il mio gruppo preferito, gli Omen, aveva in procinto tre concerti ad Atene (poi ridotti a due), e gli stessi Battleroar avrebbero suonato di spalla. Ho immediatamente scritto a Manolis, annunciando che avevo intenzione di assistere agli shows e chiedendogli aiuto per trovare una sistemazione in albergo. Egli si è offerto di ospitarmi a casa sua, e per l’occasione avevo portato con me un CD-R con alcune registrazioni artigianali realizzate al PC di brani originali di heavy metal classico anni 80 che avevo scritto sotto il nome Hyrkanian Blades, una one-man band casalinga composta da me alla voce e alla chitarra, drum machine e basso midi). In quell’occasione ho conosciuto anche Kostas (Tzortzis), e ricordo chiaramente che un mattino, prima del secondo show degli Omen, parlammo a lungo di Howard e Moorcock in un Metal-Cafè del centro, mentre alle nostre spalle gli Omen stavano concedendo una intervista per un magazine. Dopo qualche settimana mi giunse la notizia dell’abbandono del bassista e del cantante, e ricordo che Manolis mi scrisse: “Marco, lo so che può sembrare folle, vista la distanza che ci separa, ma avremmo pensato a te”. Non ho avuto esitazioni, e mi sono unito alla band.
Cosa pensi dell’attuale scena Epic Metal italiana? E mi riferisco soprattutto a band come Martiria, Wotan, Battle Ram ed Holy Martyr.
A parte i Martiria, dei quali colpevolmente non ho ancora acquistato il disco, conosco e apprezzo profondamente l’opera delle ultime tre bands che hai elencato. Per quanto riguarda i Wotan, gli ottimi risultati di vendita che sta riscuotendo “Carmina Barbarica”, sull’onda dell’assoluta eccellenza dei brani che lo compongono, e sull’assoluto impegno profuso nella produzione e nella promozione della release, sono i giusti riconoscimenti per una band che, anche e soprattutto in anni non sospetti, ha sempre proceduto fieramente sul proprio sentiero stilistico, incurante del disinteresse pressochè incomprensibile manifestato per la propria arte da parte di tutte le etichette nostrane. La competenza con la quale il cantante Vanni, un artista verace e coraggioso, unico sincero erede di quell’Eric Adams la cui band tanto ci fa soffrire ultimamente, affronta le vicende storiche narrate nelle proprie liriche, è assolutamente lodevole; come lo è l’impronta precisa e caparbia che tutti i membri della bands hanno saputo imprimere nei solchi del loro album, autentico caposaldo dell’Heavy Metal Epico tricolore. Il fatto che il disco sia stato pubblicato da una etichetta greca è specchio fedele della situazione di assoluta mancanza di coraggio che, purtroppo, affligge le labels specializzate del nostro paese; e dall’altro, evidenzia i meriti indiscussi di professionalità, pazienza, sacrificio e amore per il genere dimostrati da coloro che, in Italia e ad Atene, hanno reso possibile la materializzazione di questa uscita.
I Battle Ram sono invece il gruppo che, come proposta musicale, meglio soddisfa il mio gusto personale, più dedito al suono americano non necessariamente epico tout-court; non ho ancora assistito ad alcun concerto con il nuovo vocalist, ma sono convinto che con il nuovo album questa band si imporrà al vertice del panorama italiano, nel loro genere ovviamente. Dopo aver assistito al live show degli Holy Martyr alla seconda edizione del Keep It True Festival in Germania, sono rimasto letteralmente sbalordito da questo gruppo, che già mi aveva molto favorevolmente impressionato, specialmente con la seconda uscita “Hail to Hellas”. Perfetti come tenuta di palco e perizia tecnica, da outsiders si sono imposti come uno degli highlights della manifestazione. Attualmente, tuttavia, credo che parlando di Epic Metal in Italia il trono appartenga ai Doomsword; ricordiamoci che quando uscirono con il demo e, successivamente, il primo album, il ritorno di interesse per questo tipo di suono non era ancora nemmeno nell’aria, se non a livello dell’underground più estremo. Certo i Wotan hanno una storia ben più lunga, ma i Doomsword se ne uscirono con un disco del genere, quando l’interesse generale era focalizzato sul power/speed metal con tastiere e intenzioni progressive. Riguardo la produzione degli artisti italiani attuali, ma l’osservazione si estende anche ai musicisti internazionali, noto che – salvo in pochissime bands – l’enfasi drammatico/melanconica e marziale è dominante, mentre raramente si concede spazio al recupero di quelle sonorità più misticheggianti e aurali, eteree ma al contempo potentemente evocative, che del resto un qualunque decennio che non abbia mai vissuto la Guerra Fredda, l’uscita della trilogia originale di Star Wars, gli home computers e la diffusione su larga scala dei videogames, il Conan a fumetti della Marvel Americana e quello cinematografico del 1982 di John Milius, i morti viventi di Romero, gli incubi di Stephen King e Clive Barker e l’idea di un futuro medieval-tecnologico popolato da urban warriors postatomici vestiti di spandex scintillante, non sarà mai in grado di ispirare. In questo senso, credo fermamente che alcuni suoni ai quali sono legato siano, per ovvi motivi di incompatibilità cronologica, assolutamente irriproducibili fuori dal loro contesto temporale (e quindi socio-culturale) originale.
Penso che, ora come ora, nessuna nazione europea, a parte la Grecia e l’Italia possa vantare un numero di band dedite a queste sonorità e di così grande qualità, sei d’accordo con me con quest’analisi? E comunque, a parte i Battleroar, qual’e’ una Epic Metal band attuale che ammiri più delle altre dal punto di vista prettamente sonoro?
I dati di fatto danno ragione a questa tua tesi, sebbene io non sappia discriminare con precisione il motivo di questa localizzazione geografica. Peraltro, nello stivale (e anche in Grecia, tranne Atene e Salonicco che fanno parzialmente eccezione), a livello di organizzazione e infrastrutture, c’è gran crisi anche per frange dell’heavy metal piu “mainstream”, figurarsi per l’Epic Metal che è prerogativa di pochi appassionati. E’ comunque facile notare che costoro vivono il genere a 360 gradi, e solitamente coltivano anche un profondo amore per la storia antica (in generale, e del proprio paese) e per le opere di arte visiva attinenti come spirito e tematica ai filoni di genere epico. La Germania, da sempre tradizionale ed attrezzato punto di aggregazione per i defenders di tutto il mondo, latita però come fucina di Epic Metal bands, e questo è forse da imputare al ferreo realismo e al potente spirito analitico, che sono proverbiali caratteristiche del moderno tipo teutonico, oramai privo della pulsione romantica che così eccellentemente pervase i figli del Reno; più facilmente il latino, mentalmente predisposto, potrà scorgere in un tramonto purpureo le sagome di dorati minareti e l’esotico senso di aspettativa avventurosa del quale tutto il suo spirito vibra; e come lui, l’americano, erede di una società coloniale che, pur macchiandosi di crimini imperdonabili nei confronti dei nativi, ha saputo forgiare il suo destino rocambolesco in una terra straniera e selvaggia, pregna di suggestioni magiche che ancora oggi egli serba segretamente in petto. La vicinanza del mare, il cui respiro animato fin dalla preistoria risveglia nell’uomo ataviche sensazioni di insondabile mistero e meraviglia, e sogni di terre lontane, è probabilmente un’altro elemento comune a Italia e Grecia ai fini dello sviluppo di una sensibilità epica superiore. Ovviamente queste sono generalizzazioni opinabili, frutto della mia percezione personale, che mi permetto di illustrare solo in quanto interrogato sull’argomento. Dovendo scegliere la Epic Metal band che più di ogni altra, attualmente, soddisfa le mie aspettative riguardo a specifica direzione stilistica, scelta dei suoni in fase di produzione, qualità dei testi e gradimento live, citerò senz’altro i portoghesi Ironsword, autori di un nuovo album le cui composizioni sono palesemente derivative, ma nel loro genere, perfette per chiunque ami i Manilla Road, gli Omen e, in minor misura, i Running Wild d’annata. A mio parere, una “Nemedian Chronicles” non avrebbe sfigurato affatto se inserita in un album come “Crystal Logic”. Avrei voluto poter rispondere “Cauldron Born”, la band più epica e originale che il panorama americano moderno ci abbia offerto da molti anni a questa parte, ma purtroppo Howie Bentley, disilluso dai dati di vendita e dagli scarsi riconoscimenti tributatigli in patria, e afflitto da problemi di line up, ha deciso di sciogliere la band, della quale il superbo “And Rome Shall Fall” rimarrà (speriamo non per sempre) il canto del cigno.
Quali sono i gruppi che hanno ti hanno maggiormente ispirato e qual’e’ il cantante che è stato per te un punto di riferimento da un lato prettamente tecnico?
Il mio apprezzamento generalmente è riservato a quei cantanti che, indipendentemente dal range vocale, “vivono” il testo in modo tale da superare le barriere della formale performance. Uno di questi artisti è Messiah Marcolin dei Candlemass. Un’altro, e forse il più geniale e completo, e sicuramente il mio preferito tra i cantanti ancora in attività, è Harry Conklin dei Jag Panzer, il cui lavoro con i Titan Force, specialmente nell’album “Winner/Loser” (ma è una difficile scelta) ha raggiunto picchi qualitativi tuttora insuperati. Ritengo che Harry Conklin sia il miglior frontman in circolazione, il più bello e carismatico da vedere sul palco, e colui che meglio, negli anni, ha saputo gestire il suo strumento. Chissà come parleremmo degli Iron Maiden ora, se nel 1994 Steve Harris, risvegliatosi solo per un attimo dal suo senile torpore, avesse ardito gettare uno sguardo oltre oceano, e deciso di assicurarsi i servigi di questo cavaliere della laringe, questo nobiluomo dell’ugola che – per chi lo ignorasse – per mantenere in esercizio le sue impareggiabili corde vocali tra un tour dei Panzer e l’altro, negli ultimi anni si esibiva con la cover band Powerslave 2000, proponendo esclusivamente brani dei Maiden fino a Powerslave (con tanto di parrucca e replica – artigianale ma efficace – degli stage outfits del Dickinson più competitivo). Il cantante che però, tra tutti, mi è più caro, è Doug Adams dei Witchkiller. Non saprei trasporre in parole scritte i motivi di questa predilezione, tuttavia, a beneficio e maggiore comprensione dei lettori, devo far presente che chi avesse ascoltato il solo “Day of the Saxons” EP, unica release ufficiale di questo manipolo di eroi canadesi, sebbene ammaliato dalle vocals virili ed arcane impresse sui solchi del vinile, non potrà mai veramente capire la portata dell’arte di Doug Adams se non ascoltando le sue performances gloriosamente cariche dei più misteriosi feelings barbarici e finalmente libere dai freni imposti dalla mano del produttore, così come sono immortalate nei primi demos (gemme perdute come “Cold Steel” e “Shadows of You”) e nei bootleg live del gruppo (dove spessissimo egli indugiava in uno screaming sguaiato ma terribilmente efficace, addirittura annichilendo lo stesso Robert Plant nella cover di “Immigrant Song”). Parlando dei gruppi che personalmente amo più ascoltare, e dai quali traggo maggior ispirazione, a parte quelli fronteggiati dai vocalists appena descritti, senza dubbio gli Omen, Manilla Road e Cirith Ungol, gli Iron Maiden di metà anni 80, i Fifth Angel, gli Emerald americani di “Armed for Battle”, gli HEXX del formidabile “Under the Spell”, gli WASP fino a “The Last Command” i (purtroppo postumi) Axehammer e Steel Assassin, e gli Hammers Rule.
Secondo te, tra tutte le band Epic Metal rigorosamente degli anni 80, a quale senti di legare maggiormente il sound dei Battleroar?
Credo che , in determinati passaggi strumentali, siano riscontrabili influenze degli Omen di albums come “Warning of Danger”, dei Manowar di “Into Glory Ride” o “Hail to England”, degli Iron Maiden del periodo “Piece of Mind”, ma in generale non riterrei veritiero associare strettamente il suono dei Battleroar a quello di un’altro gruppo specifico. Sicuramente, a livello spirituale più che artistico, la nostra influenza fondamentale rimangono i Manilla Road, ispirazione principe che ha portato alla formazione della band; ma ritengo che la nostra proposta musicale difficilmente possa considerarsi affine a quella della band di Mark Shelton. Leggendo le recensioni al nostro album, ho appreso che alcuni vi trovano addirittura reminiscenze dei Cirith Ungol, ma pur con l’amore sconfinato che provo per questo gruppo, non mi sento di confermare questa sensazione; forse a livello di suggestione lirica, o nella costruzione di determinate atmosfere, tuttavia, può darsi che affiorino similarità con il suono peculiare di altre bands che magari, razionalmente, in questo momento non troverei opportuno citare.
Conosco Kenny Powell, e lo ho intervistato qualche tempo fa proprio su queste pagine, ho notato che nel vostro debut album vi è una collaborazione con questo musicista, com’e’ nato tutto ciò?
L’idea originale per il brano “Megaloman” risale all’anno 2001 circa. Il songwriting, almeno nella mia personale visione, era fortemente influenzato dal classico stile Omen, tanto che nel mio cuore il brano aveva assunto il significato di un vero e proprio tributo alla band di Kenny Powell, della quale peraltro si erano perse completamente le traccie, a parte la partecipazione ad una compilation americana di tributo ai Maiden chiamata “Maiden America”, nella quale gli Omen comparivano con una cover di “Murders in the Rue Morgue” cantata da Jason McMaster dei Watchtower, e con un originale dal titolo “Holy War” inciso assieme al vocalist Matt Story. Da quando, nel 2002, gli Omen suonarono due shows ad Atene con i Battleroar come gruppo di spalla, le due bands sono sempre rimaste in contatto, e una volta ultimate le registrazioni del brano per il nostro album, abbiamo preso il coraggio a quattro mani e chiesto a Kenny Powell di contribuire con un assolo di chitarra al brano, in quanto, senza l’opera degli Omen, il brano stesso non sarebbe mai venuto alla luce. Kenny non solo ha accettato, ma addirittura arricchito il brano con molteplici parti soliste, affermando che si era molto divertito a registrarle, e avvisandoci che avremmo potuto tagliare qualunque parte avessimo ritenuto di troppo. Ovviamente ci saremmo recisi tutti entrambe le mani piuttosto che operare qualsivoglia modifica, perciò quello che si sente sul disco è l’integrale, superba performance, che questo leggendario artista dal grande cuore e dai meriti così fondamentali per quanto concerne lo sviluppo del suono U.S.Metal anni 80, ha voluto donarci come segno di amicizia. Mentre il demo “casalingo” originale, peraltro tronco dopo il primo chorus, veniva registrato anni prima in una cameretta con un microfono a stilo da PC posto davanti ad un Marshall da 10W, l’idea che un giorno lo stesso Kenny Powell avesse potuto non dico partecipare al brano, ma anche solo venire a conoscenza della sua esistenza, era un sogno così selvaggiamente bizzarro che nessuno avrebbe osato cavalcare. Se non fosse stato per Kenny Powell, in quel Marzo 2002 non sarei andato ad Atene, e non avrei mai avuto la possibilità di conoscere e in un secondo tempo suonare con i Battleroar; alcuni degli episodi più belli della mia vita, coincidono con i purtroppo brevi momenti nei quali sono stato a contatto con gli Omen e con quest’uomo che, a livello compositivo, è sicuramente la mia primaria ispirazione, e la cui caratura musicale trascende la storia per proiettarsi nella più aurea leggenda.
Cosa ci riservano i Battleroar nell’immediato futuro? Dopo 2 ottimi EP recensiti con voti altissimi su Truemetal.it, e dopo l’eccellente debut album uscito l’anno scorso e che consacra la band immediatamente nel paradiso dei cult heroes dell’Heavy Metal d’intenzione epica, cosa state preparando di nuvo? A quando un nuovo disco? Le coordinate stilistiche rimarranno invariate? (come spero e come sono quasi sicuro che ciò avvenga). Vedrei benissimo una band dalle potenzialità tecniche come i Battleroar cimentarsi in un ipotetico concept sulla mitologia o storia classica!
Dalle registrazioni dell’album ad oggi, come band abbiamo acquisito maggiore coesione ed esperienza; purtroppo, la lontananza mia e del bassista Kostas, che ora vive a Londra, non ci permettono il lusso di prove a schedulazione fissa, e anche in fase compositiva, pur essendoci quasi tutti dotati di PC e software di registrazione per lo scambio di demos e idee tramite internet, per forza di cose i tempi si sono allungati rispetto alle previsioni iniziali. Il 2005 vedrà sicuramente l’uscita di un nuovo album, anche se in questo momento il periodo delle registrazioni non è ancora stato fissato. Abbiamo alcune nuove songs già pronte in veste raw demo, tra le quali “Reforge The Sword”, presentata un paio di mesi fa al primo party del nostro fan club “Swordbrothers”, diretto ad Atene dal nostro amico Michael Nochos (per chi avesse la curiosità di andarne a visitare il sito, ecco il link: www.truemetal.org/battleroar). Il brano è stato ispirato dal film “Il Ritorno del Re”, il terzo episodio della trilogia del Signore degli Anelli, ed è ispirata alla saga della spada Narsil e di come essa venga spezzata in battaglia, e infine riforgiata per Aragorn con il nuovo nome di Anduril. L’altro brano si intitola “Sword of Crom”, e parla della spada che il padre di Conan forgia all’inizio del film “Conan the Barbarian”, la cosiddetta “Father’s Sword”, che dopo il raid di Thulsa Doom e la distruzione del villaggio cimmero, viene sottratta. Si tratta di un tributo al personaggio di Conan, essendo egli stesso la “spada di Crom” e, implicitamente, al genio impareggiabile di R.E.Howard, che per primo e più magistralmente ne narrò le gesta. Una terza canzone, già approntata sempre in versione demo, è ispirata alla mia storia di Conan preferita, “La Torre dell’Elefante”, nella quale il giovane barbaro, giunto ad Arenjun, la città dei ladri zamoriana, scala ed espugna la torre del negromante Yara, per rubare il gioiello chiamato “Il Cuore dell’Elefante”, e scopre il mistico segreto della gemma e di Yag-Kosha, il Dio alato dalla testa di elefante venuto dalle stelle, che lo stregone tiene prigioniero all’interno della sua roccaforte. Lo stile rimarrà invariato, rispetto al primo album, come del resto invariate sono rimaste le nostre influenze, e i nostri ascolti. La nostra intenzione è di produrre un album solido e con un buon suono, e sebbene una progressione nella qualità del songwriting sia auspicabile, non ci saranno elementi sonori estranei come spirito a quello che è stato finora lo stile tradizionale della band. Personalmente non sono un fan dei concept albums, prediligo infatti una certa varietà a livello lirico, pertanto posso al massimo ammettere la presenza di un “filo conduttore” che leghi in modo non invasivo le tematiche dei singoli brani. Il mio sogno personale è invece quello di scrivere uno di quei “long epics” ossia un brano lungo e articolato in varie sezioni legate, sullo stile di quanto fatto dai Maiden con “To Tame a Land” o “Alexander the Great”. Amo l’idea di avere tanti riffs diversi, e buone melodie, che si combinano in un flusso coerente in modo da dare alla struttura una connotazione “progressive”, ma sempre in ambito rigorosamente metal classico, privilegiando il feeling e le atmosfere rispetto alla tecnica.
Un’ultima domanda, cosa pensi di Truemetal.it, visiti spesso le nostre pagine? Ti piace l’impostazione generale?. Siamo diventati il primo portale italiano e, forse, parte massimale del nostro successo è dovuta al grandissimo impegno con il quale supportiamo la scena underground. Dall’occhio dell’artista, com’e’ visto un portale dalle potenzialità e dal regime morale rigoroso come Truemeta.it?
Visito in media cinque o sei volte al giorno questo magnifico sito, che è la mia fonte di approvvigionamento principale per quanto riguarda le heavy metal news e i pareri sulle nuove uscite. In particolare, apprezzo molto le recensioni dei classici, e la possibilità di apporre in coda agli articoli i commenti dei lettori, che spesso danno vita a spassosissimi dibattiti. Siete l’unico portale italiano, e probabilmente europeo (e quindi mondiale, essendo gli States ripiombati nel Neolitico per quanto riguarda la “scena” metal-editoriale, mentre per l’Asia determinate sonorità sono ancor più di nicchia che non da noi) a presentare retrospettive su una serie così nutrita di favolosi cult albums (incredibile sorpresa la recensione di “Midnight Wind” dei Satan’s Host), assieme a news/recensioni nuove uscite/biografie/lezioni di basso/informazioni e reports sui concerti, insomma un autentico punto di riferimento per gli amanti dell’hard’n’heavy nel nostro paese. A volte, per forza di cose, non mi trovo d’accordo con le opinioni espresse in fase di recensione da alcuni dei collaboratori, ma è più che naturale; è come per una rivista cartacea, ogni lettore alla fine ha le sue firme preferite, e sono in definitiva le persone i cui gusti meglio si incontrano con i suoi. Amo molto anche i portali Metalmaniacs e Hammerblow, ma non posso negare che, in generale, Truemetal.it sia il mio preferito. Credo che l’impegno che avete profuso nel vostro lavoro, e che continuate a spendere, vi abbia consentito di consolidare un posto di assoluta eccellenza nel campo editoriale-elettronico italiano, e vi porgo i miei ringraziamenti più accorati come soddisfattissimo fruitore dell’encomiabile servizio che vi compiacete di regalarmi giornalmente.
Qualcosa da dire di personale a tutti i nostri utenti?
Prima di tutto, auguro alla redazione e ai lettori un anno 2005 caratterizzato da ottima salute fisica, e serenità mentale, che sono le adeguate basi di partenza per qualsiasi attività positiva e di successo. In secondo luogo, ringrazio di cuore, a nome della band tutta, te Enzo, per il tuo apprezzamento nei confronti dei nostri sforzi artistici, la tua pazienza e il prezioso spazio concessoci, e tutti coloro che a Truemetal.it hanno creduto in noi e si sono riconosciuti nello spirito che anima la nostra proposta musicale. Grazie anche a tutti gli amici che hanno lasciato dei commenti in coda alla recensione, e a tutti coloro che hanno assistito al concerto di Milano del 2003 assieme a Raising Fear/Wotan/Battle Ram e Jag Panzer. A presto! Marco
Intervista eseguita da Vincenzo Ferrara