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Beardfish (Rikard Sjöblom)

Di Riccardo Angelini - 11 Giugno 2008 - 2:39
Beardfish (Rikard Sjöblom)

Il ritorno in scena dei Beardfish ci consegna una band che non si accontenta del ruolo di outsider, ma che reclama un posto fra i grandi del progressive rock. A testimonianza dell’ottimo stato di forma della scena scandinava, la band di Gavle si propone con l’ottimo “Sleeping In Traffic: part II“: di questo e di molto altro abbiamo parlato con il leader Rikard Sjöblom. A lui la parola!

I Beardfish sono sulla scena dall’anno 2000: posso chiederti di presentare la band ai lettori che ancora non vi conoscono?

Certo, abbiamo iniziato esattamente nel 2001, allora eravamo David (Zackrisson: chitarra) e io (Rikard Sjöblom: voce, chitarra, tastiere), più un batterista di nome Petter Diamant e il bassista Gabriel Olsson. Nel 2002, Peter lasciò la band e al suo posto arrivo Magnus Östgren, che portò con sé il bassista Robert Hansen, il quale cominciò con noi nel 2003 dopo l’addio di Gabriel. All’epoca avevamo anche un tastierista, Stefan Aronsson, che registrò il nostro primo album “Från en plats du ej kan se…”, ma lasciò il gruppo quando il disco fu pubblicato. Questa line-up è rimasta stabile dal 2003. Insieme abbiamo realizzato quattro dischi (compreso SIT2), e ancora non ci basta.

È passato meno di un anno dall’uscita della prima parte di “Sleeping In Traffic”. Avevate stabilito la pubblicazione ravvicinata del nuovo capitolo fin dal principio? Quando avete iniziato a lavorare sui brani di questo album?

Non abbiamo pianificato nulla di preciso, abbiamo semplicemente finito l’album nel dicembre 2007 e la InsideOut ha voluto pubblicarlo il prima possibile, come volevamo noi e come abbiamo fatto. La title track “Sleeping In Traffic” era stata registrata all’inizio del 2007 e più o meno in quel periodo ho iniziato a scrivere nuovo materiale, così quando siamo entrati di nuovo in studio a dicembre (a Natale) le canzoni erano pronte e noi eravamo, come si dice, ready to rock!

“Sleeping In Traffic pt.1” iniziava con un alba (il brano “Sunrise”) e terminava con un tramonto (“Same Old Song – Sunset”). “Sleeping In Traffica pt. 2” cominca al contrario al crepuscolo (“As The Sun Sets”) e si conclude col nuovo sole (“Sunrise Again”). Anche i due artwork richiamano l’opposizione fra giorno e notte. Che ruolo ha avuto questo contrasto nella creazione dei brani? In che modo ha influenzato le liriche?

Si tratta di un vero e proprio concept svolto dai due album, le 24 ore di vita di una persona: la prima parte rappresenta il giorno, la seconda la notte. Dal punto di vista lirico ci sono alcune parti collegate fra loro ma il filo rosso sta nel fatto che la storia riguarda per tutto il tempo le peripezie della stessa persona, le persone che incontra e i posti che visita

Rispetto al precedente album, che mostrava una forte influenza dei gruppi classici e soprattutto dei King Crimson, il nuovo si sforza di suonare più personale e, a mio avviso, riesca a fissare in modo più personali i canoni del Beardfish sound. Sei d’accordo?

Sì, questo album suona più Beardfish rispetto alla prima parte (così come anche il doppio CD “The Sane Day”, 2005), credo che abbia ache fare col fatto che lo abbiamo registrato in uno studio remoto, una piccola baita in mezo alla foresta. Ci siamo portati i nostri strumenti e l’equipaggiamento per registrare e siamo rimasti lì per una settimana, a suonare notte e giorno. Avevamo fatto esattamente la stessa cosa nel 2005 per “The Sane Day” e probabilmente è questa per noi la via migliore per lavorare, visto che sembra che in questo modo otteniamo i risultati migliori, quelli più personali.

L’equilibrio della tracklist è pesantemente spostato sulla title track: probabilmente una delle canzoni più lunghe di tutti i tempi, anche in un genere avvezzo a composizioni di ampio periodo come il prog. Quanto è stato impegnativo lavorare su un brano del genere?

Non era previsto che uscisse così lunga, anche se quando la scrissi (nel 2002) capii che non sarebbe stata esattamente breve. Il punto riguardo a queste canzoni lunghe è che una volta che hai imparato a suonarle non te lo dimentichi più, perché le parti sono collegate l’una all’altra e ti basta seguire semplicemente la musica. All’inizio aveva solo l’intro strumentale e quando inserii la seconda parte (quando entrano le linee vocali) capii che sarebbe uscita mooooooolto lunga, visto che non riuscivo a vedere quanto lontano mi avrebbe portato quel tema, ahahah!

Al di là della title track, tutto l’album si afferma su standard elevati: hai un brano che preferisci sugli altri?

Beh, nel mio caso è cambiato molto da quando li abbiamo registrati, ma credo che “Into The Night” sia la mia preferita: ha tutti gli elementi che mi piacciono, è pomposa e molto melodica, salta da una specie di carnevale messicano direttamente nell’inferno.

Un articolo su una nota rivista ingliese ha definito il progressive rock “la musica che si rifiutò di morire”. In effetti, né il fenomeno punk né il grunge né nulla altro ancora è riuscito a uccidere lo spirito del prog. Che cosa ne pensi?

Le cose stanno così perché tutti noi abbiamo gusti diveri in fatto di musica, anche se apparentemente ne condividiamo molti, visto che molte persone amano il suono di un piano o il ritmo di una batteria. Io stesso amo tutti questi generi e mi piace incorporare un po’ di grunge e di punk dove posso, perché è da lì che io stesso provengo. Ma dal momento che tutti amiamo diversi tipi di musica ci saranno sempre persone che apprezzeranno il progressive rock allo stesso modo in cui ci saranno quelle cui piacciono i Beatles (hey aspetta! Anche i Beatles hanno fatto un po’ di prog, giusto?)

C’è chi dice che il progressive abbia bisogno di tecnica, chi ritiene che il suo cuore stia nella sperimentazione, chi è convinto che sia indissolubilmente legato al sound di una certa epoca. A tuo avviso che cosa significa veramente suonare “progressive”?

È un bell’enigma per me, visto che in tutta onestà il progressive dovrebbe essere un costante tentativo di fare qualcosa di nuovo e di interessante, nuove commistioni di stili e suoni. Molti dicono che i Beardfish sono un gruppo retro, come se imitassimo il sound degli anni ’60 e ’70 e suonassimo né più né meno come alcune di queste band, ma francamente non riesco sempre a sentire nella mia musica quello di cui parlano. Voglio dire che sarebbe bello se riuscissimo a portare le piste ritmiche a suonare esattamente come suonavano alla fine degli anni ’60 per quanto riguarda certi brani, ma non ci siamo mai riusciti quando ci abbiamo provato. Quindi abbiamo preferito concentrarci di più sulla creazione di buona musica con strumenti di nostra scelta, e dal momento che usiamo un sacco di chitarre distorte e suoni di tastiera vintage e che non usiamo il trigger sulla batteria di Magnum, credo che il sound dei nostri album sia lo stesso che otteniamo in sala prove, solo un po’ più leggero e rifinito. Una chiave importante nel nostro sound sta anche nel basso di Robert, quel ragazzo ha un sacco di stile e per noi è fondamentale.

Mike Portnoy dei Dream Theater ha dichiarato che i Beardfish sono la “sua nuova band con un sound vecchio preferita”. Posso chiederti in tutta onesta che cosa ne pensi tu dei Dream Theater e, più in generale, del progressive metal?

Siamo rimasti tutti piuttosto stupiti di leggere questo commento, e naturalmente ci ha fatto molto piacere! In effetti io ho cominciato ad ascoltare i Dream Theater solo di recente visto che non li conoscevo così bene ed ero curioso quando ho sentito quello che Mike ha detto di noi. Al momento sto ascoltando “Awake” e devo dire che… mi piace! Non sono più così appassionato di metal come lo ero una volta, ma sono cresciuto fra Sepultura, Pantera e band come queste, e ultimamente ho passato molto tempo ad ascoltare “Ghost Reveries” degli Opeth. Il prog metal non è mai stato il mio genere, ma posso ascoltarlo senza problemi e trovare cose che mi piacciono. E questo è un perfetto esempio del fatto che i Dream Theater o band come Opeth e Pain Of Salvation hanno portato il progressive a un nuovo livello, mescolandolo con gli elementi del metal, e questo è molto più divertente rispetto a quelle band che imitano semplicemente il passato (cosa che, di nuovo, non credo che noi facciamo, ahah!)

A maggio passerete in Italia con i Tangent e i Ritual. È la prima volta che scendete nello Stivale? Che cosa vi aspettate da questa data? (N.B. l’intervista è stata raccolta all’inizio di maggio)

Non è la mia prima visita qui, ma è il nostro primo concerto! Sarà una gran figata!

Avete valutato la possibilità di registrare un DVD durante questo tour?

No, in realtà non avremo così tanto tempo a disposizione per suonare, quindi non penso sia ancora il momento giusto.

A mio avviso, la Svezia può considerarsi sotto vari aspetti il nuovo Paese del Bengodi per gli appassionati di prog. Band come The Flower Kings, Kaipa, The Tangent, Ritual, A.C.T., Black Bonzo, Carptree (e naturalmente i Beardfish, ahah!) sono manna dal cielo per chi ama questa musica. C’è qualche altra giovane band di tuoi connazionali che ti senti di consigliarci?

Dungen (che hanno già una buona base di fan), Helena Josefsson, Gösta Berlings Saga sono alcuni dei gruppi che mi vengono in mente. Anche gli Hasse Bruniusson’s Flying Food Circus. Inoltre, ho sentito l’altro giorno una buona band chiamata Tremblebee che suona molto fresca e vitale.

Come dicevo, i King Crimson mi sembrano un’influenza importante per i Beardfish. Ci sono altre band che hanno svolto un ruolo simile nella vostra formazione musicale?

Sicuramente i King Crimson sono una delle formazione che noi tutti come band amiamo. Soprattutto il periodo 73-75, con John Wetton alla voce, che a mio avviso li ha portati su un nuovo livello. Ma il primo album è difficile da battere, con “Schizoid Man” come traccia di apertura non ti puoi sbagliare! Altre band e artisti che hanno giocato un ruolo importante nella nostra musica e nella mia formazione di compositore sono Frank Zappa, Gentle Giant, Genesis, Wigwam, Soundgarden, Nirvana, The Band, Charles Mingus, Henry Cow/Slapp Happy, The Cream, Roland Cedermark (un suonatore di accordio svedese) e molte altre…

Molte band oggi sembrano preferire suoni digitali e synth computerizzati agli strumenti di vecchio stampo come Mellotron, Moog e Hammond. Che cosa pensi della relazione fra musica e tecnologia? In che modo le nuove tecnologie possono condizionare uno stile musicale?

Uso spesso cloni digitali di strumenti analogici, fondamentalmente perché sono più facili da reperire: il problema è che il vecchio equipaggiamento analogico come gli organi Hammond non sono più assemblati quasi da nessuna parte e sono molto costosi, si da fare sia, conseguentemente, da acquistare. Credo che ci sia ancora qualcuno che costruisce i Mellotron, anche se noi non li usiamo mai. Abbiamo registrato alcuni sample di Mellotron sui nostri album ma non usiamo mai quei suoni dal vivo. Non c’è sensazione più piacevole di sedere dietro un grande, vecchio organo o a un piano elettrico Fender Rhodes. È questo il rovescio della medaglia dei cloni digitali: anche se imitano bene il suono e le tastiere sono precise, non ti rendono religioso.

Per chiudere con un’ultima domanda sui Beardfish, hai qualche progetto particolare per il futuro?

Ci stiamo preparando per il prossimo tour e allo stesso tempo stiamo lavorando su nuovi pezzi da inserire sul prossimo album. Speriamo di poter tornare in giro presto e suonare ancora!

Grazie mille Rikhard, era l’ultima domanda. In bocca al lupo per il futuro.

Crepi il lupo! Un saluto a tutti voi!

Riccardo Angelini