Blind Horizon (Luca Fois)
Dopo l’ottima riuscita del loro primo album “The Parallax Theory”, è il momento di tirare un po’ le somme, per i romani Blind Horizon. I capitolini, dall’alto di una preparazione tecnica eccellente e di un’altrettanto valida capacità compositiva, fanno del death e del prog i loro territori di caccia; per una proficua raccolta, si spera per loro, di consensi. Del disco e di altro parliamo con il chitarrista Luca Fois.
Il titolo dell’album, “The Parallax Theory”: c’è qualche astronomo tra di voi?
Innanzitutto un saluto a te e a chi leggerà; nessun astronomo, eheheh ! Il titolo, che poi riprende la canzone principale del disco (“Parallax”) va inteso riportando il concetto di distanza delle stelle alle relazioni umane.
Indica un senso di prospettiva distorta che spesso abbiamo nel rapportarci con gli altri, vedendo vicino ciò che in realtà è lontanissimo da noi.
L’artwork parrebbe evidenziare una concezione homo-centrica dell’Universo. È una sensazione corretta, oppure c’è dell’altro, anche di diverso?
Più che una concezione universale, diciamo che l’occhio guarda noi, e descrive le nostre relazioni e i nostri comportamenti con molta ironia e sarcasmo. Spero che non tutti quelli che ascolteranno il CD si rivedano poi nei personaggi di canzoni quali “Sex On The Phone” o “Trip For You”, ma nel loro grottesco modo di essere sono anch’essi reali.
Chiudiamo il trittico delle domande in tema: “The Parallax Theory” è un concept-album?
Non è un concept, anche perché i pezzi non sono così legati tra loro e non nascono per raccontare una storia. Alcuni di essi viaggiano sul filo conduttore che ho descritto prima, ma altri spaziano su argomenti più personali o magari apocalittici.
Testi: chi li scrive, in che modo li concepisce e, soprattutto, come li modella alla musica?
I testi, come le linee vocali, sono opera di Alex (il cantante, N.d.R.) e sono concepiti con suo ironico e sarcastico modo di vedere le cose. Sono a volte un po’ cinici o divertenti, a volte molto sentiti e personali. Modellarli è veramente impegnativo con un gran lavoro ritmico per evitare il solito cantato estremo monocorde o “rappato”.
Musica: chi la scrive? È un processo naturale, oppure dipende dagli argomenti scelti?
Le musiche vengono molto prima dei testi, è un processo compositivo che nasce da una mia idea di partenza, una bozza arrangiata da tutto il gruppo, ognuno con il suo apporto.
Diciamo che la fase di arrangiamento è la più lunga ed è basata su un lavoro d’integrazione tra i riff e la ritmica, una volta completato questo processo, si pensa ad aggiungere i dettagli chitarristici, alcuni aggiunti direttamente in studio sulle tracce ritmiche con il grandissimo aiuto di VFisik, fonico di fiducia.
Come avete iniziato la carriera? Pensavate, nel 2005, di arrivare a incidere il vostro primo full-length?
Abbiamo iniziato io, Marco e Ambra, senza seguire degli obiettivi prefissati solo per far musica e per divertirci nel farla. Il disco è quindi una fotografia del lavoro in questi anni.
E a proposito, come funziona, il tutto, con la Spider Rock Promotion?
Con i ragazzi di Spider Rock abbiamo avuto sempre un attimo rapporto, dovuto alla loro passione per la musica, alla loro disponibilità e al dialogo diretto che c’è sempre stato. Questo è un grande merito in un mondo che sfrutta le band, considerandole solo un pozzo cui attingere.
La vostra musica propone una sorta di dualismo fra death e prog rock. Si tratta di una peculiarità divisa fra i membri del gruppo, o di una peculiarità che invece ha ciascuno di voi?
Io sono il vero fanatico di rock anni 70 del gruppo, per il resto, con molte differenze, siamo tutti appassionati di musica metal citando a caso Death, Dark Tranquillity, Megadeth, Testament, Carcass, Moonspell, ecc.
Quello che puoi ascoltare è nato da sé ed è molto diverso dai primi pezzi composti e suonati. Una piccola evoluzione per riuscire a trovare una nostra identità musicale ben definita, processo che è ancora in atto.
Citate i King Crimson fra le vostre influenze: c’entrano anche i leggendari complessi italiani della prima metà degli anni ’70 (tipo quelli della mitica scena genovese)?
Qui potrei parlare per ore e ore essendo un appassionato di rock progressivo anni ‘70, jazz rock, Canterbury style, ecc. Tutto confluisce nelle nostre composizioni insieme al metal che è la base solida. I King Crimson del secondo periodo sono una guida nel cercare di creare delle composizioni ragionate, pesanti, magari intricate ma con tantissima melodia, così come espressa in dischi come “Larks’ Tongues In Aspic”, “Starless And Bible Black” e “Red”, ma anche nel periodo post “Discipline”. I Rush sono un’altra enorme influenza.
E devo dirti che amo il ’70 prog “nostrano”, che poi è apprezzato in tutto il mondo. Quindi la Premiata Forneria Marconi, gli Area (che vanno molto oltre il progressive) e tanti altri nomi meno conosciuti. Rispondendo alla tua domanda mi piacciono molto i Garybaldi e Picchio Dal Pozzo, meno i New Trolls e i Delirium, ma De Andrè e Tenco valgono? Eheehhh. (testuale, N.d.R.)
La vostra proposta musicale è ardua da digerire. Come vi trovate, per ciò, dal vivo. Riuscite a instaurare un buon feeling con il pubblico?
Non penso sia così ardua da digerire. Le canzoni hanno tantissime parti melodiche e molta cura è data ai ritornelli, come in “I Am Your God”, semplice, diretta. Pure nei pezzi più lunghi come “Parallax” (che è un po’ la sintesi del nostro stile), con momenti pesanti e veloci e parti più orecchiabili.
Per quanto riguarda la nostra attitudine live diciamo che è decisamente goliardica e alcolica, e spesso ci porta a suonare anche cover di pezzi glam se la cosa ci pare divertente, eheheh!
Ora, dopo mesi di stop dovuti a un mio infortunio che ci ha costretto ad annullare delle date, torneremo a suonare dal vivo a dicembre con delle date di supporto agli Impaled Nazarene.
Guitarwork: tu fai il lavoro grezzo e Ambra De Agostini cesella?
Diciamo che la suddivisione delle parti non è netta ma l’hai sintetizzata bene, spesso io porto le ritmiche principali e Ambra suona le chitarre melodiche e le armonizzazioni, mentre poi io faccio i soli veri e propri e gli unisoni col basso.
Non tralascerei il ruolo Federico che è un vero maestro del suo strumento (il basso, N.d.R.) e dona ai pezzi un valore aggiunto fondamentale insieme alla batteria di Marco.
Le contaminazioni che inserite nelle canzoni (il jazz, ad esempio) sono frutto di una strategia a tavolino o sono casuali; diretta conseguenza del vostro background musicale.
Sono assolutamente parte del nostro modo di intendere la musica, vista senza paraocchi, cercando di evitare di uscire dai binari del pezzo, senza pensare: «Qui metto un pezzo jazzato, qui un tempo composto, qui sposto gli accenti, ecc …». Tutto deve essere spontaneo e vero.
Spesso i redattori riescono con difficoltà a inquadrare lo stile di un determinato gruppo: voi, come vi definireste, dovendo – per ipotesi – scrivere la recensione di “The Parallax Theory”?
Ti posso rispondere con una domanda: «Preferisci non riuscire a definire uno stile oppure sapere tutto di un disco dai primi 30 secondi della prima canzone, tanto che potresti evitare di proseguire nell’ascolto?».
E’ il paradosso opposto ma con le migliaia di dischi in circolazione (visto che ormai registrare un disco è alla portata di tutti) che sono spesso tutti uguali, mi piace l’idea di non essere precisamente definito.
Nonostante il vostro impegno del tutto professionale, non credo che facciate i musicisti di mestiere: come coniugate la dedizione totale al vostro progetto con le vostre vite private?
Semplicemente con dedizione, voglia di far musica e divertirsi, cercando di proporre qualcosa di nostro e magari far divertire chi lo ascolta.
Lavoriamo tutti, tranne Federico che studia, ed è davvero difficile a volte poter organizzare qualcosa. Ma vale la pena di fare un po’ di salti mortali, per la musica.
Le canzoni sono lunghe, articolare, poco melodiche: non avete timore che possano risultare sì artisticamente validissime, ma noiose?
Sono consapevole che nel CD ci siano pezzi lunghi e articolati, ma il disco stesso è pieno di melodie e momenti orecchiabili come in “Sex On The Phone”, “I Am Your God”, “Parallax” …. C’è molta varietà, e non posso pensare che qualcosa di vario possa essere noioso.
E, come hai scritto in fase di recensione, spero passi sempre con piacere nel lettore musicale!
Motivate chi dovrebbe acquistare “The Parallax Theory”, ora!
I ricavati del disco serviranno ad acquistare una nuova webcam al protagonista di “Sex On The Phone” che deve soddisfare la donnina arrapata dell’intro!
Daniele “dani66” D’Adamo