Hard Rock

Buckcherry & Adelitas Way, 23 febbraio @ Rock Planet – Pinarella di Cervia (RA)

Di Matteo Orru - 28 Febbraio 2019 - 10:24
Buckcherry & Adelitas Way, 23 febbraio @ Rock Planet – Pinarella di Cervia (RA)

I Buckcherry sono una di quelle band che in Italia,se paragonati ad esempio con gli Hardcore Superstar, hanno riscosso sempre meno consensi nonostante la genuinità della loro proposta che, spesso e volentieri risulta decisamente superiore a quella degli svedesi stessi, standardizzatisi da tre dischi a questa parte su composizioni banali al limite del mediocre (dove spicca in negativo quel pessimo lavoro che prendeva il nome di HCSS).

I californiani pertanto non presenziano nella nostra terra come quanto si vorrebbe (o dovrebbe?) e l’unica data del tour dell’imminente nuovo disco Warpaint, atteso in tutti i negozi per l’otto marzo, diventa un appuntamento imperdibile.

Salito sulla mia Ford Mustang con tettuccio aperto nonostante i 5 gradi scarsi per acclimatarmi in pieno stile California, mi avvio verso il Rock Planet di Pinarella di Cervia (RA), autentica Mecca per gli amanti di sonorità rock/metal/alternative di tutto il centro nord, ma anche per chi durante nei week end vuole fare due salti a ballare.

Vale la pena spendere due parole sul Rock Planet perché, nonostante non sia il locale più moderno e all’avanguardia che ci sia in Italia, riesce a resistere e persistere anno dopo anno, fornendo un servizio di buon livello sia dal punto di vista di programmazione che di organizzazione, erogando servizi semplici ma basilari come un ampio parcheggio, una buona pizzeria ristorante di fianco al locale aperto sino a tardi e un’area all’aperto dove potersi fumare una sigaretta senza perdersi mezzo concerto. L’unica pecca sono gli orari spostati esageratamente in avanti (i Buckcherry hanno attaccato alle 23:45) e come da tradizione italiana i classici prezzi folli del bar dove, tuttavia, non si creano le file chilometriche come in altre situazioni. A coronamento di tutto, sarà l’ambiente non dispersivo della sala concerto (anche se caratterizzata da un caldo infernale) viene a crearsi sempre quel clima familiare e intimo facendo si che il concerto si riesca ad apprezzare sia che si presenzino le prime file oppure che si decida di osservare lo spettacolo da più defilati grazie alla buona visibilità nonostante il palco non sia molto alto.

Il tempo di un boccone e una birra a Cervia che purtroppo al nostro arrivo, gli opener act Klogr avevano finito la loro performance. Un vero peccato perché avevo sentito parlare proprio bene di questa formazione alternative metal ma di sicuro riusciremo a rifarci.

Nel frattempo il palco è pronto per ospitare gli Adelitas Way che ad onor del vero conoscevo solo di nome e di fama per qualche singolo che girava su Youtube non tanto tempo fa. La loro proposta è la classica americana che più americana non si può che ci riporta a band tipo: Creed, Godsmack, Theory Of A Deadman e Three Days Grace.

Adelitas Way

Quattro ragazzi vestiti in maniera casual, soprattutto il bravissimo singer Rick DeJesus (un mix stra Scott Stapp più incazzato e un meno agressivo Sully Erna) che sfoggia una camicia bianca che sarebbe adatta pure a una cerimonia di cresima, irrompono sullo stage e attaccano con la nuova Still Hungry, presente sull’Ep uscito nel 2018 Live Love Life e se c’erano delle perplessità all’inizio sono subito state messa da parte. La proposta dei ragazzi del Nevada sul palco risulta essere meno patinata e bombastica che in studio, grazie alla grinta del singer e le formidabili capacità degli altri ragazzi sia nel tenere il palco che, soprattutto, esecutivamente impeccabili per tutta la durata del concerto anche per quanto riguarda le seconde voci e i cori eseguiti senza basi in maniera eccellente.

La tracklist proposta è stato un concentrato di energia e potenza pescando da quasi tutte le loro uscite discografiche con un costante intrattenimento col pubblico, l’ideale per riscaldare (come se servisse) i presenti che, a dire il vero ancora non erano tantissimi nonostante l’orario tardo dello spettacolo.

Finito lo show è stato bello vedere come con umiltà e professionalità la band ha aiutato allo smontare la strumentazione per poi dedicarsi ai fan giù dal palco ringraziando quasi uno per uno di aver assistito al loro spettacolo, un gesto davvero bello che ha ulteriormente creato la sensazione di locale famigliare tra le mura del Rock Planet.

Parlando col cantante della band si è capito subito che si tratta di professionisti che basano la loro filosofia sull’umiltà e di sicuro da parte mia non posso che consigliare di dare almeno un ascolto a questa band che ha parecchio da dire nel genere da loro proposto.

Tuttavia si sono fatte le 23 passate e l’adrenalina in sala inizia a farsi sentire; noto con stupore che il locale è lontano dall’ essere totalmente pieno anche se comunque ben popolato, altro segno distintivo dell’audience italiana che preferisce andare a vedere i soliti noti anziché ampliare la propria cultura musicale.

Buona parte del pubblico appartiene al gentil sesso tirate a lucido con la speranza di rubare anche un solo sguardo a quel gran personaggio che porta il nome di Josh Todd, oltre che sex symbol grande animale da palco con un carisma che va decisamente oltre la media.

Posizionatomi di fianco all’ingresso del backstage ho avuto la possibilità di strappare qualche selfie con i Buckcherry stessi, sempre disponibili, simpatici e alla mano come ogni volta.

Avendo sempre amato questa band ho avuto la possibilità di vederli tante volte dal vivo pertanto so cosa ci aspetta, un concerto di sicuro non lungo, mai suonano più di un ora e un quarto, ma di sicuro impatto emotivo e fisico.

 

Buckcherry

 

Tutto e pronto, Josh si riscalda sotto il palco carico a mille e si parte subito con Head like a Hole, classico dei Nine Inch Nails coverizzato alla perfezione e presente nell’imminente e attesissimo nuovo album Warpaint, i suoni sono potenti e buoni per quanto possa offrire il Rock Planet da questo punto di vista e la band sta in palla con il solito Josh e Stevie D a fare da mattatori della serata senza compromessi.

Sudore, tatuaggi e rock n’roll e sicuramente se il clima fosse stato più clemente avremmo visto pure tette al cielo, l’atmosfera losangelina tuona dentro la venue di Pinarella tra luci gialle come il sole e verdi come le palme di Venice Beach.

Dietro le pelli diamo il benvenuto al nuovo drummer Francis Ruiz, l’esperto musicista è un vero e proprio metronomo, mentre e al posto del defezionario e storico co-fondatore Keith Nelson, uscito dalla band per divergenze circa l’orientamento che stavano prendendo le nuove composizioni, troviamo il buon Kevin Roentgen che non fa rimpiangere il suo predecessore grazie a una prova impeccabile sia alla sei corde che dietro al microfono per tutte le back vocals.

La scaletta rispetto alle altre date del tour rimane più o meno la stessa con qualche aggiunta e qualche defezione: It’s a partySomebody Fucked With Me, Lit Up (introdotta con un simpatico siparietto da Josh che raccontava le sue prime esperienze con la polvere bianca) sono accolte col boato, così come ogni altro singolo pezzo proposto in scaletta, anche se, un appunto, nonostante siano parte integrante del repertorio Buckcherry, tre cover su dodici brani proposti sono un pò tantine.

C’è spazio per la zuccherosa Sorry e due estratti dall’imminente Warpaint tra cui la già assimilata e bellissima Bent che ha scosso le fondamenta del Rock Planet e la quasi inedita Back Down (proposta solo in un altro paio di occasioni nel tour). Verso la fine dello show la voce di Todd inizia a vacillare pertanto si capisce che è quasi giunto il momento dei saluti e infatti la superclassica e immancabile Crazy Bitch conclude la serata dopo un esibizione durata di poco più di un ora intensa anche se decisamente breve, ma loro sono fatti così, prendere o lasciare (altro punto in comune con gli idolatrati Hardcore Superstar).

Il Rock Planet ha continuato la sua programmazione con un dj set rock per accontentare chi ancora non aveva sonno mentre io mestamente me ne torno in albergo soddisfatto e appagato per una serata all’insegna della libertà mentale, lasciando i pensieri della quotidianità dentro un cassetto e per una serata sentendomi in qualche strada adornata di palme altissime sulla mia Ford Mustang convertibile lontano da qualsiasi problema reale. Ogni tanto anche questo ci vuole e pertanto grazie Buckcherry!

In sostanza una bella serata, doveroso un plauso all’organizzazione che tiene duro e riesce a mandare avanti un’ormai storica location italiana con tutte le difficoltà del caso anche se anticipare i concerti di un ora non sarebbe per nulla una cattiva idea ma tant’è. Con la speranza di tornarci presto, non possiamo fare altro che aspettare l’otto marzo per goderci il nuovissimo Warpaint.

 

 

 

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