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Carmine Appice

Di Marcello Catozzi - 11 Marzo 2008 - 16:33
Carmine Appice

Staten Island (N.Y.), 15 dicembre 1946: luogo e data di nascita di Carmine Appice, ovvero uno dei più grandi personaggi nel mondo della musica Rock e non solo, per la sua influenza esercitata su generazioni di batteristi, grazie alla sua tecnica ma soprattutto alle sue rivoluzionarie innovazioni stilistiche, tali da imprimere quel tipico marchio di fabbrica che solo pochi grandi artisti possono vantare. Il leggendario Carmine, che rappresenta tuttora un’importante fonte di ispirazione sia per studenti di primo pelo sia per affermati drummer, ha suonato con tantissimi musicisti, fra i quali citiamo Vanilla Fudge, King Cobra, Cactus, Beck Bogart & Appice, Rod Stewart, Pink Floyd, Stanley Clarke, Ted Nugent, Ozzy Osbourne, John Entwistle, Tommy Bolin, Paul Shortino, Brad Gillis, Blue Murder, John Sykes, Paul Stanley, Pat Travers…
Grazie a Roberto Cosentino, organizzatore dell’evento, è stato possibile incontrare il mitico batterista al Black Horse di Cermenate, in occasione del suo appetitoso Clinic World Tour 2007; ecco il risultato della nostra chiacchierata.

Cominciamo dal principio: quando hai provato per la prima volta l’attrazione fatale per la musica?
Direi più o meno all’età di 10 anni, quando ho cominciato a suonare picchiando con le bacchette su lattine, bicchieri e pentole.

Ricordi, per caso, qual è il primo concerto al quale hai assistito?
Mmhhh… Ricordo le trasmissioni di Alan Freed, uno dei primi a presentare show di R’n’R alla radio, verso la fine degli anni 50, dandomi così la possibilità di conoscere i grandi nomi del R’n’R quali Bo Diddley, che appunto ha influenzato tutto il movimento. E poi ricordo, sempre in quegli anni, il significativo contributo di Motown Records, l’etichetta che negli anni 60 si mise a produrre dischi della cosiddetta “black music”.

E quando è nato, in particolare, il tuo amore per la batteria? A quale età hai cominciato a studiare?
Come ti dicevo, molto presto, intorno ai 10 anni, nella cucina di mia mamma. Poi ho cominciato a studiare più seriamente all’età di 14 anni.

Quando hai iniziato a suonare in una band? Come si chiamava il tuo primo gruppo?
La mia prima band si chiamava si chiamava Vidells: suonavamo dovunque, ma soprattutto in occasioni tipo matrimoni e party.

Quindi sono cominciati in quell’occasione anche i tuoi primi guadagni…
Sì, certo: abbiamo iniziato a fare un po’ di soldi. Eravamo giovani e ci facevano comodo, e inoltre ci si divertiva un sacco!

La tua famiglia ha supportato la tua scelta di darti alla musica?
Oh sì, totalmente. Non ci sono mai stati problemi od ostacoli da parte della mia famiglia.

Tuo fratello Vinnie è stato in qualche modo influenzato da te nell’intraprendere la sua carriera?
Certamente: quando abitavamo a New York, Vinnie mi vedeva suonare, talvolta in tv, e ciò indubbiamente ha rappresentato per lui uno stimolo notevole. Fra l’altro, sono stato io il suo primo maestro: lui aveva 8 anni e io 13.

Beh, direi che ha avuto un buon maestro, no?
Carmine a questo punto imita il modo di suonare di Vinnie: alza le spalle mimando una rullata e facendo quella smorfia tipica di Vinnie che sbuffa mentre è sotto sforzo. Divertentissimo!

Ah ah! Lo dirò a Vinnie, quando lo vedrò a novembre, al concerto di Londra!
Ah, sì? Bene, allora digli pure che hai incontrato “the original”.

Lo farò certamente. Quali drummer ti hanno ispirato, a quel tempo?
Buddy Rich in particolare, ma non solo. Direi che il R’n’R esercitava per me un’influenza molto forte in quegli anni. Artisti quali James Brown mi hanno dato la carica, ma restando nel campo della batteria, coloro ai quali mi sono ispirato, oltre a Buddy Rich, sono stati Gene Krupa e Joe Morello.

E attualmente, potresti farmi qualche nome di batterista che ti piace particolarmente?
Mmhhh… Steve Smith, lo stesso Vinnie, Terry Bozzio…

Confidenza per confidenza: vuoi conoscere il nome del mio numero uno sulla scena?
Dimmi…

Mike Terrana. Che ne pensi? Io lo trovo semplicemente devastante…
Hai ragione. L’ho incontrato proprio una settimana fa, con quella sua cresta! Sì, in effetti è molto veloce, e pure molto tecnico: ok, aggiungi anche Mike Terrana alla mia classifica (con un sorriso).

Una domanda che faccio spesso è questa: poiché in Italia siamo tutti allenatori (calcisticamente parlando), ci si diverte a fare le formazioni delle squadre. Ora, qual è per te la più grande band di tutti i tempi? Dai, fammi una formazione a 5: voce, chitarra, basso, tastiere e batteria.
Non devo neanche pensarci troppo. Rod Stewart alla voce, Jeff Back alla chitarra, Ron Wood al basso, Don Airey alle tastiere.

Uhm, interessante! E alla batteria?
Me, naturalmente!

Attualmente, quali sono le band che stimolano il tuo interesse? Insomma, le migliori secondo te?
Heaven and Hell.

La tua risposta non fa una piega. La penso proprio come te. Prima di entrare nel backstage per la nostra intervista, stavo ammirando per l’ennesima volta il video di Heaven & Hell al concerto del Radio City Music Hall del marzo scorso. Mi piace troppo quel dvd…
Eh sì, è davvero fantastico, un grandissimo show: pensa che io ero presente e me lo sono visto dal vivo!

Che invidia! Potresti indicarmi quali sono gli album più significativi della storia, secondo te?
Oh, no, stavolta non ce la faccio a risponderti: sono decisamente troppi. Mi vengono in mente i Led Zeppelin, Jimi Hendrix, i Police…

I Police?
Certo, i Police. Sono sempre stati i miei preferiti.

Entrando in una dimensione “live”, quale show ti è rimasto impresso, come semplice spettatore?
Carmine diventa un po’ pensieroso, si gratta la folta chioma riccioluta, di un iintenso nero corvino con riflessi rosso fuoco, e si rivolge alla sua bionda compagna per un consulto.

Hey Carmine, non vorrei averti messo in crisi…
No no, stavo solo pensando. Ecco la risposta: direi che lo show che mi ha letteralmente impressionato è stato quello degli Aerosmith, a Los Angeles, nel 2000. Veramente straordinario!

C’è un concerto che ricordi con particolare emozione, in qualità di protagonista?
Moltissimi, in verità. Ma soprattutto quello di Tokyo con Jeff Beck e Tim Bogart. Anno 1973.

Ti conosco come un musicista molto versatile, che ama cimentarsi in diversi generi musicali. Confessami quale genere ti diverti di più a suonare tra: Jazz, Swing, Fusion, AOR, Hard Rock e Heavy Metal.
Senza dubbio l’Heavy Rock.

E posso chiederti qual è il più grande chitarrista con cui hai collaborato?
Chitarrista? Un nome su tutti: Jeff Beck, il quale ha doti straordinarie e uniche, è creativo e differente rispetto a ogni altro chitarrista. Lui è per me “the original”. Ma ora che ci penso, anche John Sykes meriterebbe di essere menzionato.

Ora un’immancabile domanda, per me. Qual è il più grande cantante della scena mondiale?
Intendi forse suggerirmi la risposta, visto che mi mostri la tua maglietta? Sicuramente Ronnie James Dio è un grande cantante, ma io citerei Rod Stewart. E’ il frontman più straordinario con il quale abbia mai suonato: dotato di voce, look, movenze: un vero animale da palcoscenico capace di riempire la scena.

A proposito di Ronnie James Dio: so che tu hai collaborato al famoso Hear ‘n’ Aid. Com’è avvenuto?
All’epoca stavo con i King Cobra, erano i tempi di “Ready to strike” (1985). Sono stato chiamato a far parte della brigata, e ho preso subito l’aereo. Eravamo davvero in tanti in quel gruppo ed è stato bellissimo trovarmi a cantare con tutti gli altri musicisti nel coro.

Dimmi cosa pensi delle sempre più frequenti reunion che si verificano in questi tempi? Una questione di puro business o altro?
Beh, penso innanzitutto che questa sia una grande cosa. Sinceramente credo che una reunion sia da accettare così, senza chiedersi se si tratti di business o altro. Come fan, mi piace pensare solo al fatto che mi ritroverò sul palco i miei idoli, e ciò mi rende felice. Penso ai Police, ai Genesis, ai Led Zeppelin stessi, se mai si potrà concretizzare questo progetto…

Permettimi ora di rivolgerti qualche domanda di natura essenzialmente tecnica. Quanto tempo della tua giornata dedichi allo studio, o all’allenamento?
Neanche un minuto.

E non fai alcun tipo di esercizio?
No. Suono e basta.

Qual è il consiglio che daresti a un giovane drummer che voglia intraprendere la carriera?
Scegliersi un buon maestro e studiare tanto, cercando sempre di migliorarsi, ma soprattutto dedicarsi alla propria attività con il cuore, componente fondamentale per andare avanti e superare le difficoltà.

Pensi che la tecnologia abbia cambiato drasticamente il mondo della musica?
Abbastanza. Direi piuttosto che ciò dipende dal genere di musica di cui si tratta. Il discorso può valere nel campo dello speed metal o del thrash, ma se parliamo di hard rock ad esempio, la componente fondamentale resta la tecnica, il tocco, ma soprattutto il groove.

Già, il groove. Nelle tue clinic questo è un elemento essenziale, a parte la tecnica.
Infatti. Senza il groove non ci può essere nulla, e tutta la ritmica risulterebbe piatta e anonima.

Mi piace molto il modo in cui è impostata la tua drum clinic. Molto interessante, e capace di emozionare.
Ti ringrazio. Infatti questo è il mio obiettivo. Sono stato il primo batterista a fare clinic, fin dal 1971, su input della Ludwig, che me l’aveva chiesto già due anni prima.

John Bonham, che tu hai conosciuto alla fine degli anni 60, quando i Led Zeppelin aprivano per i tuoi Vanilla Fudge, si distingueva appunto per il suo tocco e per il suo stile particolare, in grado d’imprimere un’impronta inconfondibile al prodotto finale. Io ritengo che attualmente ci siano tanti batteristi eccezionali dal punto di vista tecnico, ma questo livellamento verso l’alto abbia comportato una sorta di appiattimento nel tipo di drumming. Che ne pensi?
Che hai ragione. Quello che conta, principalmente, è il groove, e il tocco. Ciò si ottiene con tanto studio, ovviamente: bisogna suonare, suonare e ancora suonare, ma soprattutto occorre avere talento. Ci vuole un misto di doti naturali ed esperienza, praticamente un giusto equilibrio tra attitudine e pratica. Io comunque amo il nuovo modo di suonare: esistono drummer davvero notevoli sotto il profilo tecnico e anche creativo.

Cosa ammiri di più in un batterista?
Ciò che mi intriga di più è senza dubbio il suo coraggio di provare, di presentare qualcosa di nuovo, tipo Keith Moon ad esempio, un vero innovatore, un grande nel suo genere.

Veniamo ai “solo”. Credo che Cozy Powell per citare un esempio tra i più significativi, con il suo famoso “1812”, abbia fatto scuola, abbinando musica classica a rocciose ritmiche di stampo rock. A suo tempo tu ti sei ispirato a qualche drummer per la creazione dei tuoi “solo”?
No, assolutamente. Non mi sono ispirato ad alcun musicista, in quanto un assolo, per me, dev’essere frutto dell’ispirazione del momento. Pertanto, ogni assolo dev’essere pura espressione di quel particolare momento, senza essere standardizzato o rinchiuso in canoni ben determinati; per questo motivo, ogni assolo dovrebbe essere sempre differente dall’altro, un po’ come facevano Buddy Rich o Gene Krupa, per intenderci.

Quando vado a un concerto, ti confesso che aspetto sempre con enorme curiosità il momento del drum solo. Rivelami cosa vorresti esprimere in quei minuti.
Semplicemente, proiettare me stesso nell’audience. La parola giusta è coinvolgere tutti quelli che mi ascoltano.

Come vedi la scena attuale dell’Heavy Metal nel mondo? Ci sono novità di rilievo, oppure pensi che i migliori siano quelli di sempre?
La nuova scena è completamente differente rispetto a quanto avveniva anni fa. A volte pare che arrivino degli influssi di novità, tipo “nu metal” o altro. Ma fondamentalmente resto ancorato a dei modelli classici dell’Heavy Rock, tipo Blue Murder, Poison, Dio, Slaughter, tanto per fare dei nomi.

Giusto. Secondo me la vecchia scuola è sempre quella che prevale, anche nell’Hard Rock.
Sì, infatti è vero. Anche per l’Hard Rock vale lo stesso discorso.

E adesso, l’immancabile domanda sui tuoi progetti futuri.
Il mio progetto si chiama Slamm e consiste in un gruppo formato da 5 drummers più un chitarrista. Esiste dallo scorso mese di giugno e ha visto la luce negli States, con concerti a New York, Providence, ecc. In questo contesto viene presentato uno show molto originale e un po’ inconsueto in verità, nel corso del quale vengono suonati strumenti di uso comune, tipo lattine, bidoni ecc., all’insegna del puro ritmo.

E sul prosieguo del tuo tour, cosa mi dici?
Dopo un paio di date in Italia, partirò per la Polonia, poi sarà la volta di USA e Giappone.

Puoi darci qualche ragguaglio sulle tue radici italiche?
Le mie origini sono calabresi. I miei nonni si sono stabiliti negli States esattamente nel 1808, dalle parti di Brooklyn, mentre i miei genitori sono nati e cresciuti in America.

Pare proprio che tutti i migliori drummer siano italiani, vero?
Eh sì: basti pensare a Terry Bozzio, Vinnie Colaiuta, John Macaluso, Virgil Donati, Joe Morello…

Per concludere: vuoi dire qualcosa ai tuoi fans italiani e, in particolare, ai lettori di Truemetal?
Con molto piacere. Ringrazio tutti coloro che mi seguono con tanta passione da così tanti anni. Grazie di cuore per il loro appoggio, che spero continui con lo stesso entusiasmo, componente fondamentale affinché si possa mantenere la linea di contatto ideale tra me che suono e i miei spettatori.

Grazie a te, Carmine. L’importante è che continui tu! Quindi, mi raccomando: non smettere!
Tranquillo: non smetterò.

Le mie domande sono finite e non mi resta che ringraziare questa leggenda umana per la sua cortesia, con l’augurio che possa ancora deliziarci per tanti anni, trasmettendoci le stesse forti emozioni di stasera.

Marcello Catozzi