Carmine Appice
Introduzione di Riccardo Angelini.
Non capita tutti i giorni di parlare con una leggenda del rock come Carmine Appice. Soprattutto per chi, come il sottoscritto, è nato troppo tardi per poter assistere in diretta agli anni caldi del rock, confrontarsi con un personaggio come Carmine – uno che quegli anni li ha vissuti da protagonista, imprimendovi la propria indelebile impronta – è al di là di ogni retorica un’esperienza davvero unica. Ma ora basta chiacchiere: la parola al vero protagonista.
Intervista a cura di Alessio “AlexTheProgMan” Battaglia e Riccardo Angelini.
Tanto per cominciare, ci piacerebbe che tu ci parlassi delle tue influenze musicali. Che cosa ci puoi dire delle tue radici? Quali sono i generi di musica e gli artisti che hai avuto come riferimento agli inizi della tua carriera?
Le mie principali influenze nel suonare la batteria sono state Buddy Rich, Gene Krupa, Max Roach. E molti batteristi jazz. Poi ho iniziato ad ascoltare dei batteristi rock, come Sandy Nelson dei The Ventures. Successivamente ho cominciato a seguire anche James Brown: aveva un paio di batteristi impressionanti. Ho pure avuto un insegnante di batteria che suonava di tutto: anche lui mi ha influenzato.
Gli anni settanta ti hanno visto collaborare con Rod Stewart, insieme al quale hai composto brani come Young Turks e Do Ya Think I’m Sexy. Ce ne vuoi parlare?
Questo è stato un gran bel periodo della mia carriera. Ai quei tempi Rod era veramente un grande, tutto quello che facevamo era grande. Grandi concerti, grandi record di vendite, grandi sacchi di soldi… era fantastico sapere che ogni volta che registravamo un pezzo nuovo, quel pezzo sarebbe finito nelle top ten di tutto il mondo. Siamo da Londra a Tokyo, e in Australia, in Florida, in Canada, e ogni volta suonavamo di fronte a più di 50.000 persone in ogni grande città. Prendavamo dischi d’oro e di platino in ogni paese ogni volta che usciva un nuovo album. Era incredibile. E aver scritto due dei maggiori successi di Rod ha aperto le porte per una nuova strada alla mia carriera! Che bei tempi che erano.
Eri dietro le pelli anche nell’album A Momentary Lapse of Reason dei Pink Floyd. Che cosa ricordi di quell’esperienza?
Ricevetti un messaggio sulla segreteria telefonica del manager Bob Ezrin. Disse che stava producendo un album per una certa band e che c’era una traccia che reclamava a gran voce la batteria di Carmine, e di richiamarlo. Così feci. La band in questione erano i Pink Floyd, e per me fu fantastico lavorare con loro, anche perché avevo sempre apprezzato il loro stile. Sapevo che sarebbero stati in molti ad ascoltare quella canzone. Così andai agli A&M Studios per registrare con i Pink Floyd. Erano tutti lì. Chiesi a Nick Mason come mai non suonava lui su quella traccia: mi rispose che gli duolevano i calli. Bob disse che volevano nuovo sangue su quella canzone. E’ stato davvero divertente suonare con loro, e vedere Nick che suonava le mie ritmiche (o almeno ci provava, eheh). Suonavano davvero diverse!
Nel corso della tua carriera hai suonato con molte band e musicisti diversi: da Ozzy Osbourne e Ted Nugent a Stanley Clarck e, ovviamente, i Vanilla Fudge. Come mai ti sei avventurato in territori musicali tanto diversi tra loro? Qual è quello in cui ti sei sentito più a tuo agio?
Come ti dicevo, sono cresciuto con molte influenze diverse. Così io stesso ho finito per affrontare molti stili diversi. Ho fatto concerti rock nei balli di scuole e chiese, ho fatto concerti jazz nei club, ho fatto concerti anche per matrimoni eee anniversari. Ho dovuto suonare latin, rock e jazz in tutti questi concerti. E’ per questo che ho cambiato così tanto. E mi sono divertito un po’ in tutte le band: ciascuno aveva qualcosa di nuovo da offrirmi.
Ora parliamo un po’ dell’album se non ti dispiace: Ultimate Gutar Zeus. Brian May, Slash, Ted Nugent, Yngwie Malmsteen… come sei riuscito a riunire tanti grandi chitarristi di caratura mondiale?
Prima di tutto abbiamo dovuto comporre dei brani su cui questi ragazzi avrebbero suonato volentieri. Di questo ci siamo occupati io e Kelly. Ho chiesto a Brian May e a Nugent se avrebbero suonato sull’album ancora prima di avere un contratto. Sono amici, e accettarono subito. Per il resto conoscevo la maggior parte dei musicisti, per esempio i King’s X: così ho chiesto a Ty e Doug e loro hanno detto di sì. Poi altri chitarristi si sono interessati perché stava uscendo un bel lavoro e perché ci suonavano persone che rispettavano. E a mia volta ero rispettato e amico di ciascuno di loro. A Steve Morse e a Brian ho inviato i nastri. Per quanto riguarda Ted, Neal Schon, Ty, Doug e Yngwie, sono andato a registrare nelle loro città. Con tutti gli altri ho registrato a LA. Il lavoro complessivamente è durato quattro mesi, di cui tre settimane spese per registrare tutte le tracce e le linee vocali. Il resto del tempo l’ho passato ad aspettare l’uscita…
In mezzo a tanti talentuosi musicisti, compaiono anche un talentuoso giocatore di tennis – John “The Genius” McEnroe – e un talentuoso attore – Steven Seagal, uno dei pochi interpreti di film di arti marziali americani a essere veramente un esperto di arti marziali. Come mai li hai voluti al tuo fianco? Che ruolo hanno avuto nelle canzoni?
Ho incontrato Steven Seagal a un concerto di beneficenza che ho suonato insieme a Ritchie Sambora e ad altri musicisti di fama. Alle prove, gli chiesi se voleva suonare sul mio album. Pensavo che fosse una cosa interessante… e infatti ora mi trovo a rispondere alla tua domanda. Sapevo che non era una grande chitarrista, ma ha suonato bene. Gli ho fatto fare un pezzo blues. Lui ama il blues. E’ stato felice di essere sull’album. L’idea di avere John McEnroe sull’album invece è stata di un mio agente. Lavorava nello stesso tempo per me e per lui, e pensò che potesse funzionare. Così è stato: John è davvero bravo. Ho dovuto trovare un pezzo su cui metterlo: La sua parte era semplice, ma ha suonato esattamente come doveva. L’ho incontrato di recente ed era molto eccitato dal fatto che il cd stava finalmente per uscire, soprattutto in America.
Personalmente, ritengo che ogni brano sull’album abbia qualcosa da dire, e non è facile dire se uno è meglio di un altro. Comunque, se dovessi scegliere i pezzi che mi sembrano più riusciti, citerei Nobody Knew (perché adoro Brian May), Doing Fine (che ha un gran feeling) e Under the Moon & Sun (per l’eccellente prova di Edgar Winter). Tu che ne dici? C’è qualche pezzo che preferisce rispetto agli altri?
Il mio pezzo preferito è Stash. Mi piace soprattutto il suono della batteria su quel brano. Adoro anche le linee vocali, la parte di basso di Tony, l’assolo di chitarra con tutte le sue ritmiche insolite e perfino il finale. Mi piace anche CODE19, con l’assolo di Zack. Anche qui mi piace la melodie della canzone, le ritmiche bizzarre, e quel suono patinato molto anni ’60. Una delizia per le mie orecchie. Ma mi piacciono anche Doing Fine e Nobody Knew… ci sono un sacco di pezzi classici su questo disco, mi piacciono tutti. Ma alcuni sono più divertenti di altri da suonare.
La serie dei tuoi Guitar Zeus ha anche un capitolo coreano e una giapponese. Che cosa ti ha spinto a realizzarli? Tra i musicisti con cui hai collaborato, ne hai conosciuto qualcuno che a tuo giudizio meriterebbe una maggior fama anche tra il pubblico occidentale?
Per quei cd tutto ha avuto inizio quando ero in Giappone a suonare con una band chiamata Pearl with Tony Franklin. Un mio amico, un chitarrista giapponese che suonava in una grande band locale, mi disse che avrei dovuto realizzare un Guitar Zeus Japan. Dopo aver fatto una trasmissione televisiva con un chitarrista di nome Char, ho iniziato a pensarci. Char è conosciuto come il Jeff Beck giapponese, ed è veramente bravo. Così il mio manager mi ha procurato un contratto in Giappone e io ho avuto la possibilità di suonare con tutti questi grandi chitarristi giapponesi. L’album ha venduto bene. Allora una compagnia coreana mi ha contattato per fare la stessa cosa in Corea. L’abbiamo fatta e anche lì ha venduto bene.
Ci sono veramente parecchi chiarristi che meriterebbero di essere ascoltati anche dalle nostre parti. Uno in particolare è Char. E’ l’idolo di tutti i chitarristi giapponesi al giorno d’oggi. Io, lui e Tim Bogert abbiamo fatto un tour assieme in Giappone. La band si chiamava proprio Char Bogert and Appice. Lui è semplicemente un chitarrista fuori dal comune, e sa pure cantare bene.
Poco fa abbiamo parlato di Do Ya Think I’m Sexy. Anche sull’album Guitar Zeus c’è una versione di questa canzone, sulla quale compaiono Pat Travers alla chitarra e… Carmine Appice al microfono. Per quanto mi riguarda, per certi versi preferisco questa cover pure all’originale. Tu ne sei soddisfatto? Come ti sei sentito dietro al microfono?
Ho suonato con Pat nel 2004 e nel 2005, abbiamo fatti insieme due cd e un dvd alla House of Blues. Abbiamo suonato Sexy in quel tour, e abbiamo fatto tre pezzi storici del passato: Sexy era uno dei miei. In realtà ho iniziato a lavorare a una versione più pesante di Sexy con Pat e Tim in Giappone. Poi ne ho fatta una versione anche sul cd del ritorno dei Vanilla Fudge, ma questa è la mia preferita. Pat ha cominciato a far casino con un riff pesante, e io gli sono andato dietro cantando. L’abbiamo registrata più o meno nello stesso periodo in cui abbiamo registrato il nostro secondo cd, Bazooka (il primo si chiamava It Takes a Lot of Balls). L’avevamo suonata dal vivo in più di trentacinque concerti, quindi ci sentivamo a nostro agio. Io volevo Pat sul Guitar Zeus, così ho scelto Sexy. Ho provato un approccio alle linee vocali diverso da quello che avevo scelto in precedenza. E diverso anche da quello di Rod! Forse dovrei mandarla a Rod, per ride… giusto per fargli vedere come tirarci fuori un po’ di rock.
C’è qualche speranza di vedere i brani del Guitar Zeus suonata dal vivo?
Penso che la compagnia voglia vedere come vanno le vendite del cd prima di decidere se farci fare un tour o no. D’altra parte è un nuovo progetto e ha bisogno di un po’ di assestamenti. Ma a me piacerebbe molto andare e suonare questi pezzi.
Parlando di esibizioni dal vivo, di sicuro nella tua carriera ne avrai viste di tutti i colori. Ti va di raccontarci qualche aneddoto?
Beh una volta è successa una cosa divertente con i Cactus… Suonavamo in un festival all’aperto negli Stati Uniti, e lo stage stava sulla piattaforma di un autocarro. La mia batteria stava sul rimorchio. A un certo punto durante il mio solo di batteria i miei compagni hanno messo in moto l’autocarro e hanno cominciato a buttarmi giù dal rimorchio. Fortunatamente la batteria era inchiodata al supporto, altrimenti sarebbe stata scaraventata via completamente. Loro hanno pensato che fosse molto divertente. IO NO.
Nella tua carriera hai eseguito anche svariati clinic. Ti va di parlarci di questa attività?
Mi piace farli, e poi mi aiuta a vendere i libri sulla batteria, che non è male. Non ne faccio tanti come ne facevo una ventina di anni fa, ma mi diverto ancora. E poi mi piace l’idea di poter tramandare il mio modo di suonare la batteria alle nuove generazioni.
Qual è la tua considerazione delle capacità tecniche nella musica in generale, e nel rock in particolare?
Nel rock non c’è bisogno di particolari capacità tecniche. Devi avere solo abbastanza conoscenza per riuscire a suonare quel che vuoi suonare. E’ un po’ quel che ho cercato di fare sul Guitar Zeus: le conoscenze mi servivano per suonare tutte le ritmiche e gli arrangiamenti come volevo. Ma la chiave è usare le abilità tecniche senza perdere il feeling. Il rock è attitudine, il rock è feeling. Se lo perdi, se hai un suono clinicamente sterile allora perdi il rock, e ti resta una cosa senza attitudine, senza energia, senza feeling. Certo, ti serve abbastanza tecnica per suonare quello che vuoi. Ma non devi esagerare.
Parlando delle nuove generazioni, c’è qualche giovane batterista per il quale prevedi un futuro particolarmente roseo?
Mi piacciono i batteristi degli Advanged Sevenfold, dei Thrice, dei CKY. Sono ragazzi che ho visto a un concerto con mio figlio. Mi piace soprattutto il ragazzo dei CKY… sanno davvero che cosa significa suonare rock. Gli altri due sono decisamente veloci con i piedi, e sono anche piuttosto tecnici. Sono al confine di quel che dicevamo prima: se la tecnica avesse ancora più spazio inizierebbero a perdere il feeling. Il drummer degli Advanged Sevenfold comunque è anche un grande showman: una cosa di cui si sente un po’ la mancanza in questi giorni.
E tra i nuovi album che hai ascoltato nel 2006, ce n’è qualcuno che ti sia piaciuto particolarmente?
L’ultimo dei CKY, l’ultimo degli Advanged Sevenfold, il nuovo Tool, l’ultimo Living Color e anche l’ultimo Foo Fighters e l’ultimo Motorhead. Anche il live dei Cream.
Che cosa pensi del rock di oggi? Pensi che sia un genere in agonia (se non è già morto) o trovi che sia vivo e vegeto?
A mio avviso la maggior parte dei gruppi si assomigliano tutti. E si marcia troppo sul fatto che una band debba avere un singolo di successo. Penso anche che ci siano parecchie band oggi che non hanno molta esperienza di quel che significa suonare. Le compagnie non le costruiscono come facevano una volta. Solo le label indie lo fanno. Sì probabilmente il Rock sta morendo, ma penso che possa esserci un ritorno di fiamma adesso. Ci sono molte band che si stanno affermando che raccolgono l’eredità degli anni ’70. Il problema è che le radio, che sono il canale attraverso il quale il rock ottiene il successo, continuano a ignorarle. Sulle radio di Classic Rock non fanno passano mai nuovi pezzi delle band classiche. Il rap e il pop sono ancora i sovrani della scena musicale… a eccezione dei gruppi veramente famosi come gli Stones, gli Who, i Led Zeppelin, gli Aerosmith, Ozzy e i Black Sabbath, i Metallica… quindi chissà se il rock è ancora vivo e vegeto. Per chi va in tour lo è.
Era l’ultima domanda. Grazie mille Carmine per la tua attenzione e per le risposte, a te l’ultima parola!
Desidero solo ringraziare tutti i miei fan nel mondo e tutti i miei amici e fan italiani per supportare me e la band ogni volta che facciamo un cd. E’ grazie a voi se possiamo continuare a suonare!