Cathedral (Lee Dorrian)
Il ritorno sul mercato con The Guessing Game ha smentito certamente quelle voci che davano i Cathedral per finiti, mettendoci per l’ennesima volta di fronte ad un gruppo che, anche dopo vent’anni di onorata carriera, non smette di stupire per qualità e innovazione, seppur proponendo una miscela di generi anacronistici. Per l’occasione abbiamo raggiunto il leader della band inglese, Lee Dorrian, per entrare nei dettagli di questa nuova uscita. Buona lettura.
Ciao Lee, siete tornati dopo ben cinque anni dall’ultima release. Cosa è successo in questo lasso di tempo? Alcune voci facevano capire che i Cathedral erano arrivati addirittura alla fine della carriera…
Sì, in effetti sono passati un bel po’ di anni da “Garden Of Unearthly Delights”… non c’era nulla di cui preoccuparsi, in ogni caso. Ci siamo presi semplicemente tutto il tempo necessario per comporre un disco che piacesse innanzitutto a noi. Voglio dire, inutile far uscire un album ogni uno o due anni se poi la qualità dei pezzi è scadente… non credi? Poi teniamo conto del fatto che non siamo certo spariti nel nulla. Ci siamo dedicati soprattutto ai live show, partecipando a molti festival estivi, e facendo qualche altra data di supporto ad altri gruppi e concerti da headliner in giro per l’Europa.
Non posso fare altro che darti ragione, anche perché “The Guessing Game” è tutt’altro che un disco di basso livello, oltre ad essere il primo doppio album dei Cathedral.
Sì, è il primo doppio CD che pubblichiamo. Avevamo così tanti pezzi validi a disposizione che è stato impossibile sceglierne qualcuno da tenere fuori per eventuali singoli o addirittura per il disco successivo.
E l’idea del doppio CD non è nemmeno casuale, vero? La prima parte è dedicata ad un sound più sperimentale, dove a mettersi in primo piano sono soprattutto le influenze settantiane, mentre il secondo disco ci mette di fronte ai “soliti” Cathedral.
Beh, come sanno ormai tutti i Cathedral non hanno mai mantenuto una meta fissa per la direzione del loro sound, a partire dal doom più cupo ed ossessivo degli esordi, proseguendo sempre su di una strada che lascia ampio spazio a sperimentazioni di varia natura. “The Guessing Game” è semplicemente un resoconto di tutti i nostri anni di carriera: la prima parte è dedicata ad un sound più settantiano e progressivo, dove abbiamo cercato anche di mettere in risalto alcuni strumenti che potremmo definire “inusuali” per un genere come il doom, come la presenza costante del mellotron, ad esempio.
Hai appena citato il progressive settantiano, a questo punto mi viene da chiederti se il tuo è un tributo alla musica di quei tempi…
Non ho mai tenuto nascosta la mia passione per quegli anni, e anche, ovviamente, per il progressive rock. Mi è sempre piaciuto provare a far rivivere la musica, ma anche le atmosfere degli anni ’70, soprattutto se unita ad un genere come il doom che, se ci pensi bene, proviene anch’esso da quell’epoca. La maggior parte dei gruppi si sono sempre limitati a seguire le lezioni impartite dai Black Sabbath, noi invece ci siamo spinti oltre, cercando di abbracciare un po’ tutti i generi che hanno preso vita nei 70’s.
In effetti considero “The Guessing Game” come un calderone dove viene mischiato un po’ di tutto. Non hai mai pensato che così tante influenze racchiuse all’interno dello stesso disco (e anche in un solo pezzo, a volte) possano creare qualche effetto negativo, facendo apparire la cosa forse un po’ “confusionaria”?
Certo, è abbastanza rischioso, ma noi non potevamo fare altrimenti. Se dovessimo smettere di comporre quel che più ci piace sarebbe meno divertente. Come hai detto tu, questo disco è una sottospecie di calderone dove abbiamo deciso di racchiudere tutte le nostre influenze e, credimi, sono veramente tante. Si va dall’heavy metal più classico al progressive, passando anche dalla psichedelia, senza contare che, anche se non esattamente così facile da percepire, c’è anche una spruzzatina di punk e hardcore.
Tra le tracce del disco c’è “Journey Into Jade”, pezzo composto per celebrare i vent’anni di attività dei Cathedral. Dopo tutto questo tempo, se provi a guardarti indietro, ti senti soddisfatto di quello che sei riuscito a fare fino ad ora?
Sì, è proprio un’autocelebrazione… ci siamo cascati anche noi! (ride, ndr) Anche se in realtà è nato tutto a sfondo ironico. Vent’anni di carriera sono comunque tanti. Sono solo un piccolo traguardo che dà il via ad un nuovo inizio. Sono comunque molto soddisfatto di quel che ho fatto fino ad ora, e spero di poter continuare su questa linea per ancora un po’ di tempo. Insomma, il passato è stato ottimo, speriamo lo sia anche il nostro futuro.
Altri pezzi che si mettono in risalto sono “Death Of An Anarchist” e “Cat’s, Incense, Candles & Wine”, quest’ultima, concedimelo, ma sembra essere l’opera di un malato di mente…
Oppure di un fattone! (ride, ndr). Sì, in effetti è un pezzo strano, a metà strada tra i 60’s e gli anni ’70 con influenze che arrivano addirittura a sfiorare la musica folk… penso già alla faccia del pubblico quando la suoneremo dal vivo. Queste cose a tratti possono sembrare piuttosto spiazzanti, soprattutto alle orecchie di chi non ha mai ascoltato i nostri lavori, mentre il resto dei nostri fan credo ci abbiano fatto ormai l’abitudine. Su “Death Of An Anarchist” invece è tutto diverso: a mettersi in primo piano è la melodia, la quale nasconde anche alcune emozioni più malinconiche. Penso veramente che quest’ultimo sia uno dei migliori brani che abbiamo scritto da vent’anni a questa parte.
Parliamo un po’ della Rise Above, la tua label personale: come mai hai deciso, ormai da un bel po’ di anni, di affidare la distribuzione dei Cathedral ad altre etichette (come la Nuclear Blast, attualmente)?
Semplicemente perché preferisco mantenere separate le due cose. La Rise Above viene gestita per i gruppi che decido di promuovere, tenendo comunque conto che distribuisce anche qualcosa dei Cathedral come edizioni in vinile, EP e così via.
Che novità dobbiamo aspettarci dalla tua etichetta, quindi? Tra gli ultimi gruppi non ho fatto a meno di notare gli Astra, autori di un progressive rock settantiano molto vicino ai Pink Floyd… hai qualche altro gruppo altrettanto valido sottomano?
Gli Astra sono una delle migliori band che sono riuscito a “scovare”, modestamente… (ride, ndr). Penso che sia un gruppo dalle doti eccelse e che farà parlare di sé anche in futuro, mentre tra gli “ultimi” arrivati potrei citare i Litmus, autori di uno space rock molto vicino agli Hawkwind dei bei tempi, oppure i connazionali Diagonal, molto vicini a gruppi come Emerson, Lake e Palmer, per citarne uno. Come avrai potuto notare, ultimamente le uscite delle Rise Above sono tutte di stampo progressive/psichedelico, anche perché devo dire che è un genere che sta tornando quasi di moda in questi ultimi anni… i gruppi validi ci sono, anche nell’underground, basta solo riuscire a scovarli e dargli l’opportunità di farsi conoscere al grande pubblico.
In passato hai avuto modo di collaborare con Paul Chain. Puoi dirmi qualcosa a riguardo?
Conosco Paul da un po’ di tempo, e devo dire che l’ho sempre considerato come un grandissimo musicista. Quando mi ha contattato per chiedermi se avevo intenzione di collaborare con lui non ho potuto fare a meno di accettare. È stato a dir poco entusiasmante, ed è stato un grandissimo piacere poter lavorare insieme a lui.
So che ormai sono passati tantissimi anni, ma puoi dirmi come mai hai deciso di lasciare i Napalm Death prima di fondare i Cathedral? Sei rimasto in contatto con gli altri membri del gruppo?
Sì, siamo amici e ogni tanto mi vedo anche con Shane (Embury, ndr). Ho lasciato la band soprattutto perché avevo cominciato ad avere alcuni problemi con la polizia, quindi era un giro che non faceva per me… poi sono comunque due ottime esperienze, seppur praticamente diverse: con i Napalm Death era tutta rabbia, un modo brutale di concepire la musica, mentre i Cathedral mi permettono di essere più introspettivo, oltre che di intendere la musica come un viaggio magico e mistico.
Bene, questa era la mia ultima domanda. Lascio a te le ultime parole per concludere l’intervista.
Grazie per questa intervista. Spero che il nostro lavoro, seppur un po’ differente e a tratti difficile da digerire al volo, piaccia anche ai nostri fan italiani. E posso assicurarvi che ci vedremo presto per almeno una data nel vostro paese!
Angelo ‘KK’ D’Acunto