Coldworker (Joel Fornbrant)
Diamo la parola a Joel Fornbrant, cantante dei Coldworker, per scoprire
qualcosa di più sull’ultima fatica della band svedese:
Rotting
Paradise. Buona lettura.
Ciao, complimenti per Rotting Paradise, hai a disposizione tutto lo spazio
che vuoi per presentarlo ai lettori.
Grazie! Sono molto contento di come sia venuto l’album. Abbiamo lavorato
intensamente su Rotting Paradise, e devo dire che ce lo sentivamo di poter
produrre un buon disco. Contiene dodici canzoni di “full blastin death metal
mayhem”, è stato pubblicato da circa un mese, e lo potete trovare nei negozi di
musica, o sul nostro sito internet
www.coldworker.com.
Credo che le nuove canzoni siamo più strutturate e più compatte, si sente che
avete avuto più tempo per lavorare al disco. Sei d’accordo?
Sì, sono d’accordo, è più o meno come la penso io attualmente. Volevamo
essere sicuri di comporre le canzoni al meglio delle nostre possibilità,
volevamo creare un album molto compatto. Era anche importante per noi scrivere
materiale dinamico, in modo da non annoiare gli ascoltatori.
Con Rotting Paradise vi siete allontanati dallo “swedish grindcore”,
virando maggiormente verso il death metal…
Questo è vero. Comunque, sono convinto che anche il nostro primo album fosse
pienamente death metal. Vedo i Coldworker come una band death, con influenze
provenienti da altri generi metal. In Rotting Paradise, il death metal è
comunque l’elemento dominante, dalla musica all’artwork.
Possiamo dire che i Coldworker incarnano la tradizione death/grind riletta
con un approccio moderno?
Questa potrebbe essere una buona descrizione, come quella che ci indica come
un mix tra death metal europeo e death americano. Credo che si potrebbe dire
semplicemente, un unione di diversi stili che adoriamo, in modo da creare un
death metal interessante e di significato.
Avete deciso sin dall’inizio della vostra carriera di muovervi in questa
direzione, o lo avete sviluppato col tempo?
Sin dall’inizio eravamo decisi a suonare death metal, e non grindcore, quindi
era uno dei nostri obiettivi. Da allora abbiamo cominciato ad ascoltare quello
che più ci piaceva, sia materiale moderno che old school, e tutto si è
sviluppato naturalmente.
Senza dubbio il vostro nome è legato ai Nasum, per buona parte degli
ascoltatori. Questo è un peso per voi o una motivazione per fare la vostra
miglior musica possibile?
Non è un peso sulle nostre spalle. Dobbiamo ringraziare Anders per una parte
del nostro successo, ma spero che la gente cominci a vederci come una band a sé
stante, anche perchè musicalmente non abbiamo alcun contatto coi Nasum, a parte
il nostro batterista Anders. Credo che stiamo cominciando a dimostrare di essere
una band che può farcela con le proprie forze.
Anche perchè sarebbe un errore… Con Rotting Paradise vi siete
allontanati di molto dallo stile dei Nasum…
Esattamente. Pensco che gia The Contaminated Void era chiaramente diverso dai
Nasum, ma probabilmente Rotting Paradise lo è ancora di più. È importante per
noi che la gente non ci veda come “Nasum parte seconda”, perchè non lo siamo
proprio, e non credo che molta gente lo desideri.
Come mai avete deciso di registrare l’album per conto vostro e in diversi
studi?
Una parola: soldi. Non volevamo spendere una montagna di soldi per uno studio
da fanatici, dal momento che potevamo fare tutto per conto nostro. Così siamo
riusciti a contenere le spese per le registrazioni, e siamo stati fortunati a
ricevere l’aiuto di molto amici, oltre a tante cose fatte da noi stessi. Abbiamo
registrato la batteria nei Soundlab Studios (dove Mieszko dei Nasum era solito
lavorare), le chitarre sono state registrate nello studio di Johan Berglund, il
basso da Anders Jakobson, e le vocals nella nostra sala privata. Tutto questo
non ha reso le sessioni di registrazione più difficoltose, anche se non siamo
stati sempre tutti presenti durante le registrazioni, visto che abbiamo svolto i
nostri compiti nello stesso momento e in diversi luoghi.
In questo disco il sound è più cupo e opprimente rispetto a The
Contaminated Void, è per caso dovuto a un riferimento a un possibile significato
dietro al titolo dell’album?
Allora, non so se è stato fatto di proposito, ovviamente le canzoni sono
state scritte per essere brutali, ma il titolo lo abbiamo deciso solo alla fine.
Ma mi fa piacere che tu l’abbia notato, perchè è una buona descrizione!
C’è un concept che accomuna il significato dei testi?
Non un concept come nei veri “concept album”, ma abbiamo scritto prendendo
come spunto tutta la merda che c’è in questo mondo, abbiamo cercato di scrivere
su quello che ci ha inorridito. Si può dire che abbiamo trattato il lato oscuro
dell’umanità, e questo forse è il concept che c’è attorno all’album.
Che mi dici dell’artwork? Sembrano le raffigurazioni dell’Inferno di Dante
in chiave moderna…
L’artwork è stato creato da Orion Landau, che lavora per la Relapse. È un
grande talento, e ha disegnato anche quello per il nostro primo album… Aveva
carta bianca e ha fatto un lavoro splendido. Tutti quanti siamo quasi svenuti
quando lo abbiamo visto per la prima volta… Fantastico! Credo che rispecchi
bene l’album e il significato dei testi.
Passerete in Italia per qualche data?
Lo spero, mi piacerebbe molto suonare in Italia, è un paese bellissimo. Al
momento non abbiamo pianificato nulla, ma spero che si organizzi presto un tour
che passi anche per l’Italia, sarebbe splendido.
Grazie mille Joel, a te la chiusura.
Sono io che ringrazio te, e tutti quelli che daranno un ascolto al nostro
nuovo album Rotting Paradise. Spero di vedervi in tour. Ciao!
Stefano Risso