Consigli Non Richiesti di Giancarlo Trombetti (# 0)
E’ con sommo piacere che annuncio, in questo breve incipit, l’inizio della collaborazione fra uno dei decani del giornalismo musicale italiano e TrueMetal. Giancarlo Trombetti è personaggio musicalmente enciclopedico che con tonnellate di ironia – ma soprattutto autoironia – ha attraversato in prima persona e con vari ruoli alcuni capitoli editoriali che hanno marchiato a fuoco la storia delle sette note – non solo metalliche – nel Nostro amato stivale: Tuttifrutti, Mucchio Selvaggio, Rolling Stone, Rockerilla, Popster, Rockstar, il primo Metal Shock, Stereodrome su Radio Due, VideoMusic, TMC2.
A uno che nei primissimi anni Ottanta ha assistito in diretta, nel retropalco del Festival di Reading, al colloquio decisivo tra Bruce Dickinson e gli Iron Maiden prima che l’ex Samson entrasse definitivamente a fare parte della band di Steve Harris, difficilmente si può dare del “bischero”, come si è usi dire nella Sua amata Toscana.
La rubrica si intitola “Consigli non richiesti di Giancarlo Trombetti”. Questo è il numero zero. Non avrà una cadenza precisa ma si materializzerà senza preavviso sulle pagine del portale allorquando avrà da trattare un qualcosa suggerito e in piena libertà: dischi, scene musicali, luoghi, gruppi, testi di canzoni, esibizioni, giornate particolari, discografie essenziali, tracce, download da non mancare e chi più ne ha più ne metta.
Buona lettura.
Stefano “Steven Rich” Ricetti
Consiglio STRETTAMENTE per gli audaci: prima di iniziare, sarebbe d’uopo sciropparsi la seguente intervista.
Quando Steven mi ha chiesto di scrivere qualcosa per Truemetal la prima domanda che mi sono posto non è stata “Cosa scrivere?”, ma “Chi sarà davvero interessato alle cose che scriverò?”. Rich è stato gentile: scrivi quel che c@##o ti pare, mi ha detto. Ma la domanda è rimasta lì…
Credo di aver avuto modo, negli anni, di poter conoscere a sufficienza il mondo degli scribacchini musicali (categoria cui mi pregio di appartenere anche se rispettoso solo di una esigua manciata di quelli che ho conosciuto) e, di conseguenza, anche della relativa altra faccia della medaglia, di coloro che ne leggono i sofferti parti di ingegno, ed ho finito con l’accettare uno dei pochi dogmi certi: nell’ambiente prospera una insana passione a rinchiudersi in recinti sempre più angusti. Scelta giustificata dalla certezza di poter meglio sopravvivere, o altrimenti sopraffare… i colleghi.
Mi spiego meglio. Quando ero io dalla parte del lettore, i giornali musicali erano assolutamente “popolari”; accanto un imberbe Lucio Dalla potevi trovare una recensione degli Zeppelin, la pagina successiva all’intervista a Ian Anderson o a una (falsa) intervista a Janis Joplin si pubblicavano le gesta dell’Equipe 84 piuttosto che di Battisti. Forse erano un po’ troppo open minded… ma il nostro mercato editoriale era ai primi passi, tutto da scoprire e testare ed il coraggio di osare periodici un po’ più specializzati era lontano a venire. Per il rock fu solo con gli anni ottanta che le prime avventure vennero intraprese. Ed è lì che iniziò la catastrofe, a parer mio.
Warren Haynes: Sempre a metà tra la Allman Brothers Band ed i suoi Government Mule, Haynes è uno dei più creativi chitarristi di rock blues.
Nel bel mezzo di una progressiva, inesorabile e mai arrestata emorragia di spazi dove ascoltare, diffondere e discutere di rock and roll, con le radio e le televisioni prive di una qualsiasi pulsione (anche economica) a trovare uno spazio dedicato – persino a notte fonda! Perdio!! – con gli uffici stampa delle case discografiche impegnati a garantirsi un “flano” sui quotidiani, veniva delegato a quei giornali il compito della divulgazione, dell’informazione, dello stimolo.
Ricordo che le mie serate di ragazzo volavano via davanti a una radio, ascoltando “Per voi giovani”, “Supersonic” registrando artigianalmente brani che oggi sono banditi da qualsiasi FM che si rispetti . Ricordo perfettamente che fu in una discoteca che ascoltai per la prima volta una copia importata di “Made in Japan”…in attesa dei lenti che permettessero alle coppiette di accostarsi… Nei negozi di dischi, nei migliori, non solo trovavi il cibo più adatto alla tua mente, ma molti consigli, dati da appassionati che avevano scelto di vender dischi perché lo avevano trovato il miglior modo di campare vicino alle proprie note. Oggi un adolescente che possibilità ha di ascoltare musica, di formarsi un gusto, di confrontare, di scegliere? Ma negli ottanta, molti giornali specializzati scelsero – credendo di sopravvivere all’avvento della tempesta prossima – di evolversi diventando delle fanzine a distribuzione nazionale, costruendo steccati sempre più angusti dove andarsi a rinchiudere : il trionfo della specializzazione nella specializzazione. Un suicidio logico ed editoriale che non ha portato frutti di alcun genere. Né di vendite, né culturali. E credo che tutto il mondo musicale ne stia pagando, in un modo o nell’altro, le conseguenze. Uno straordinario effetto domino deve pur avere un inizio.
Jerry Garcia: Acido lisergico, psichedelica, rock, country, blues, jazz e
melodie indimenticabili. Cosa chiedere di più a un gruppo?
Già, perché all’assioma “meno siamo meglio stiamo” che rappresenta l’articolo 1 della Costituzione del Rockettaro, corrispondono in modo, ahimè direttamente proporzionale, inesistenti vendite, case discografiche sempre più specializzate, sempre peggio distribuite e sempre più prive di denaro e di direttori artistici (laddove sussistenti) sempre meno preparati o inutilmente dedicati alla cura di una percentuale ininfluente della torta. Gli artisti? Beh, loro hanno scioccamente cavalcato un’onda che non si alzava. Pur di ottenere un evanescente contratto discografico hanno essi stessi limitato la loro creatività, finendo col selezionare i propri potenziali ascoltatori, i canali promozionali, le distribuzioni e limitandosi persino nell’accesso dei teatri dove esibirsi.
Da un eccesso all’altro. Perché noi, se le cose le facciamo, le facciamo bene. Un tempo, nel catalogo “rock” di un’etichetta discografica potevamo contare decine e decine di sottogeneri e ramificazioni, tutti, però, con i medesimi potenziali fruitori. Oggi esistono solo etichette di… Grind?…Speed?…hardcore punk?…boh metal?…e via elencare. Labels che con 100 cd vanno “in pari”. Cosa puoi aspettarti?
Eppure sbirciando i colleghi all’estero – oddio..anche loro nella bratta, però, almeno, da loro la musica, a tutti i livelli, resta un lavoro serio e rispettato – avremmo potuto far tesoro delle loro indicazioni, ma no…..il massimo che un editore nostrale può fare non è solo garantirsi una testata di fama, magari adattandola al nostro territorio, bensì riprodurla (o copiarla) così com’è…
Eppure mi ricordo com’erano luminosi i miei 14, 16, 18 anni! La musica era semplicemente “pop”, ma bellissima, stimolante. Seppur pervasa da profonde differenze strutturali, stili, capacità strumentali, esecutive e compositive, restava un immenso calderone cui attingere godendo di mille sfaccettature a seconda dei propri umori, delle rispettive tendenze, dell’innamoramento del momento. Nella mia teca, sezioni acustiche si mescolavano alla sperimentazione, al blues, all’hard rock, giù fino all’heavy o al jazz, all’elettronica. Dal quel meraviglioso miscuglio di tendenze e intruglio di suoni sono emersi nomi e sonorità che avrò negli occhi e nelle orecchie nell’ultimo istante della mia vita!
Hendrix: Il primo, ed il più grande. Senza di lui saremmo tutti a pescare
sul molo…
Sì, perché la musica mi ha aiutato, guidato, consigliato e indirizzato, fatto riflettere e maturare. La musica è stato – e lo è, quando possibile – il mio lavoro. Ma scrivere di musica, per me, non è un semplice esercizio di stile, un godimento personale con unico scopo l’esposizione della propria, presunta, cultura specifica. E’ condivisione, è speranza di esser così bravo da saper suscitare in altri il desiderio di assaporare, di approfondire quelle emozioni che mi hanno coccolato per decenni. E’ speranza di riuscire a passare, in qualche modo, un testimone ideale di sensazioni, note , ricordi irripetibili e che è sempre più difficile, se non impossibile, incontrare in circolazione.
E’ speranza di stimolare qualcuno a comprarsi un disco, un cd e scegliere di volerlo assaporare in ogni sua sfaccettatura, ascoltandolo (non sentendolo!) decine di volte, scoprendo di trovarlo ogni volta diverso, ogni volta più affascinante per una nota, una colorazione che solo allora è emersa. E’ immaginare che ci sia ancora qualcuno che abbia voglia di leggersi, tradursi e calarsi dentro testi, specchio di un periodo, di un’epoca che ha avuto una potenza creativa tale da non aver avuto mai più lontane pietre di paragone. I grandi artisti di oggi, quelli che sono andati oltre i confini della propria regione, del proprio Stato e della propria mente, lo hanno capito da tempo. E non è un caso se affrontare un famoso brano altrui non è più una diminuzione della propria arte bensì un rendergli una cornice di rilievo; è un passaparola di alto livello. Non è un caso se molti Veri Artisti hanno dato il via a quella inusuale ma affascinante pratica del recupero e dell’esecuzione di interi album del passato, eseguendoli per intero, dal vivo. Forse il recupero di quello che ci hanno fatto perdere passa anche da lì.
Io spero solo di sapermi trovare uno spazio logico tra queste pagine e se un domani scoprissi che una manciata di lettori ha raccolto la sfida e saputo godere delle emozioni che gli ho raccontato, per me sarà un immenso piacere scoprire di aver saputo passare un testimone. Saltando ogni steccato e guardando oltre, perché il rock è libertà allo stato puro e la libertà non ha confini.
A presto,
Giancarlo Trombetti