Vario

Cripple Bastards (Giulio The Bastard)

Di Alberto Fittarelli - 20 Marzo 2009 - 0:00
Cripple Bastards (Giulio The Bastard)

Intervista a cura di Alberto Fittarelli e Michele Carli

Tornati sulle scene da qualche mese gli italianissimi Cripple Bastards: “Variante alla Morte”, il loro nuovo album, vede una svolta netta soprattutto in termini di produzione, con qualche novità e molta qualità. Abbiamo scambiato quattro chiacchiere con il cantante e da sempre portavoce Giulio The Bastard, come al solito diretto e senza peli sulla lingua.

Ciao Giulio, prima di tutto complimenti per l’ottimo lavoro svolto su ‘Variante alla morte’. La prima domanda che ci viene da fare è: come vi è venuto in mente di andare a registrare in Svezia, e proprio con quel Fredrik Nordström famoso per essere il co-creatore del death melodico?

“La decisione di andare a registrare in Svezia risale già a qualche anno prima… nel 2004 stavamo accordandoci con Mieszko dei Nasum per andare al Soundlab visto che ci erano piaciuti molto alcuni suoi lavori, ma poco dopo averne parlato qui in Italia come tutti sapete è morto nello Tsunami che ha colpito parte della Thailandia dove lui era in vacanza. In seguito abbiamo ragionato per un po’ se rivolgerci al Sunlight o a Fredman e la scelta è caduta su Fredman sia per la sua rapidità nel risponderci che per molti altri fattori, uno su tutti forse proprio la melodia: i Cripple Bastards fin dal primo album hanno sempre avuto una componente melodica piuttosto marcata su alcuni brani (vedi “Stimmung”, “Polizia una razza da estinguere”, “Sogno un mondo senza” e tanti altri) e le produzioni made in Italy non avevano mai valorizzato questa caratteristica, per non parlare poi di un discorso più prettamente legato all’impatto grind/blastbeat del nostro stile. Volevamo cercare uno studio che catturasse al massimo della dinamica la stessa aggressività che abbiamo sul palco o in sala prove e la fondesse sia con la componente melodica che con un impatto ben definito che ci differenziasse dal cliché di produzione grind eccessivamente caotica/non-definita o troppo “plastificata” da trigger, effetti, ritocchi di mixaggio, eccetera. Un esempio è il nostro batterista che su “Variante alla morte” è lo specchio perfetto di come suona normalmente e non dà la sensazione del classico drummer brutal death che dal vivo “spolvera” la batteria e in studio sembra che faccia dei numeri da fantascienza… Insomma è stata principalmente una questione di gusto personale a portarci a registrare lì e tutt’ora ne siamo soddisfatti.”

C’è un motivo particolare dietro al vostro ritorno al cantato in italiano?

“Mah, alla fine visto il successo di “Misantropo a senso unico” e il fatto che il poter scrivere in lingua madre ci permette di ritrarre nel minimo dettaglio e con un’impronta molto più diretta le situazioni e gli stati d’animo su cui si incentrano le tematiche Cripple, abbiamo scelto di sbattercene del luogo comune “all’estero vendereste di più se…” e andare avanti per questa strada, sicuramente più naturale e istintiva. È proprio una questione di spontaneità nel comporre, e i testi nei CB sono un elemento fondamentale. Sul nuovo album comunque abbiamo incluso traduzioni in inglese molto curate così anche un ascoltatore straniero può leggere e avere un’idea precisa di quel che si parla.”

Forse per la prima volta l’impressione è che il sound penda di più verso il metal che verso il punk, sei d’accordo?

“Secondo me pende più verso il grind nel puro senso di questa parola che verso il metal o il punk. Di sicuro rimane ancora una forte matrice Hardcore anni ’80, ma forse traspare di meno per via della produzione e dell’accordatura ribassata che non avevamo mai utilizzato in precedenza.”

Un’altra sensazione è il vostro avvicinamento al sound scandinavo, e non è certo scontato come potrebbe sembrare dal fatto di registrare da quelle parti: gruppi come Nasum, Rotten Sound o Gadget hanno avuto qualche influenza su di voi (per quanto sembri strano visto il vostro curriculum)?

“A dire il vero Rotten Sound, Nasum e altri nomi della moderna scena scandinava non sono particolari punti di riferimento nel nostro modo di suonare perché si tratta di band cresciute in parallelo a noi e che quindi abbiamo semplicemente osservato per restare aggiornati ai tempi, ma mai utilizzato come fonte di ispirazione. Probabilmente alla base di tutto c’è il fatto che sia nel loro che nel nostro modo di comporre c’è stato un riprendere e “dissezionare” le vere radici del grindcore per riadattarlo ai tempi. In più aggiungici che abbiamo una produzione realizzata in Scandinavia, ed ecco spiegate le similitudini all’ascolto. I Nasum secondo me nascono come una rilettura moderna della formula Grind di primi Napalm Death, Carcass, Repulsion unita ad alcuni accorgimenti di chitarra tipici della Svezia death metal (Entombed, Grave per intenderci). Sono tutti denominatori comuni nel nostro recente modo di comporre che probabilmente ci hanno portato a risultati paragonabili alla scuola svedese, ma in realtà nessuno di noi è un gran consumatore di Nasum, Gadget & co.”

Anche l’approccio promozionale mi sembra diverso: credo sia la prima volta che arrivano alla stampa richieste di intervista per un vostro disco, mentre fino a non molto tempo fa erano in molti gli scribacchini a cercarvi per strapparvi qualche dichiarazione! Segno che il gruppo si sta muovendo verso una dimensione più “professionale”, in senso tecnico?

“È il segno del semplice fatto che la promozione è essenziale per una band che esiste da 20 anni ed è ancora in fase di crescita. Per questo disco abbiamo investito molto di tasca nostra in particolare per quanto riguarda lo studio e la grafica, e quindi abbiamo ritenuto giusto che l’etichetta si impegnasse a darci una buona visibilità, ingaggiasse un ufficio stampa, e così via. È un lavoro che si sarebbe dovuto fare anche con il precedente “Desperately insensitive” ma la Necropolis Records ha chiuso i battenti poco mesi dopo l’uscita dell’album e quindi non siamo riusciti a concretizzare quello che volevamo.”

Mi sembra che il vostro tipico nichilismo sia sempre ben presente in titoli come ‘Stupro e addio’, ‘Auto-azzeramento’ e ‘Conquista dell’isolamento’, per citarne solo tre. C’è un tema particolare che avete voluto seguire?

“Il tema focale di “Variante alla morte” è il conflitto tra l’individuo e tutto quello strato sociale composto da persone che vivono non sentendo la vita, conducono un’esistenza vegetativa fatta di passività e schemi preconfezionati, senza probabilmente rendersi nemmeno conto di respirare. Il mood principale è il senso di angoscia e di morsa che si stringe portato dalla crescente sovrappopolazione… Si sviluppa poi su temi specifici come l’azzeramento attraverso il lavoro, la nostra chiave interpretativa su prostituzione, violenza carnale, difficoltà da inserimento del classico “outsider” e rapporti interpersonali che si disgregano fino all’ostilità o all’insofferenza più assoluta.”

Lo schifo che esprimete, il rifiuto, coinvolge prima di tutto la madre patria o è un discorso più generale, oggi?

“Considerando che sono testi molto legati alla vita di tutti i giorni e quasi interamente scritti qui in Italia, direi che coincidono principalmente con la realtà sociale del nostro paese, anche se per quel che ho visto girando il mondo, si possono riadattare senza grosse difficoltà anche a contesti esterni.”

Puoi raccontarci delle date fatte a settembre con i Brutal Truth?

“Tutti i concerti sono stati memorabili e con buona affluenza, in particolare Roma e Cremona. Loro sono dei personaggi incredibili e molto alla mano, ci conoscevamo già da diversi anni e questo giro ha ulteriormente saldato la nostra amicizia. Li considero tra l’altro uno dei pochi gruppi “riformati” che sul palco non ha perso nulla rispetto al periodo precedente allo scioglimento, quindi massimo rispetto e stima.”

Avete suonato i pezzi nuovi già in quelle date? Qual è stata la risposta del pubblico?

“Sì, a partire da quelle date avevamo in scaletta più della metà dell’album nuovo. Vedo che la reazione del pubblico è molto positiva, in particolare quando facciamo brani come “Spirito di ritorsione”, “Karma del riscatto” e “Stupro e addio”.”

Generalmente effettuate spesso date e tour, tuttora, nei centri sociali: ricordo la celebre data al CSA Dordoni di Cremona con Nasum (la loro ultima, purtroppo) e Regurgitate come una delle più selvagge viste anche solo in ambito grind; e scegliete queste location nonostante il vostro pubblico ormai riempia club ben più grandi… È una questione di attitudine, di feeling o che cosa?

“I Cripple Bastards sono aperti a qualsiasi realtà nella scena undeground, a patto che alla base di tutto ci sia un discorso di reciproco rispetto e comprensione. Durante il corso della nostra “carriera” abbiamo suonato molto nei CSA semplicemente perché ci trovavamo bene in quel contesto, ma ad essere sincero negli ultimi 4-5 anni ci siamo abbastanza evitati a vicenda perché in molti di quegli ambienti finivano sempre ed inevitabilmente per ricollegarci a conflitti del passato e additarci come gruppo di fascisti o destrorsi, partendo da una miriade di pregiudizi e storie sconclusionate. Il caso più penoso degli ultimi tempi è quello dell’El Paso di Torino nato praticamente insieme ai CB (stesso periodo) dove abbiamo suonato per ben 10 anni di fila con serate memorabili e pienoni totali, dove più volte ho portato band dall’estero, organizzato i festival per il mio compleanno, addirittura dedicato una sezione sul nostro DVD antologico… da 4-5 anni a questa parte tra cambi generazionali e parassitismo, le persone che una volta lo gestivano, organizzavano concerti e soprattutto avevano un buon rapporto con noi sono state soppiantate da punkabbestia inetti di età più giovane che hanno portato dentro tutto il fardello di chiacchiere che circolavano sul nostro conto, ingigantendole ulteriormente. E quindi è morto un punto abbastanza importante nel quale durante gli anni si erano avvicendati concerti grindcore o in generale di musica estrema. Il mitico “Dordoni” di Cremona invece è un discorso a parte perché è gestito da nostri amici di vecchia data e perché due di noi sono attivi nel collettivo che si occupa di concerti/attività, e quindi attraverso i suoi 12 anni di esistenza si è un po’ trasformato nella “powerhouse” italiana del grindcore, con serate stupende e una partecipazione enorme del pubblico… ci han suonato Nasum, Regurgitate, Disfear, Brutal Truth, Phobia, Extreme Noise Terror, Rotten Sound, Yacopsae, Squash Bowels, Dead Infection, Agathocles, General Surgery e moltissimi altri, non c’è altro posto in Italia che sul grindcore abbia avuto una tale costanza e frequenza.”

Alberto Fittarelli / Michele Carli