Crown of Autumn (Emanuele Rastelli)
I Crown of Autumn sono un gruppo italiano che nonostante abbia pubblicato solo due album in sedici anni di carriera, può contare su una folta schiera di fan.
In corrispondenza con l’uscita del nuovo Splendours from the Dark e della riedizione di The Treasures Arcane, abbiamo avuto l’opportunità di scambiare due parole con il mastermind della band, Emanuele Rastelli.
Buona lettura
Intervista a cura di Emanuele Calderone e Alessandro Calvi
1- Ciao Emanuele, benvenuto su Truemetal e grazie in anticipo per il tempo che ci concederai! Come stai? Vorresti introdurre i Crown of Autumn a quei pochi che ancora non li conoscono?
Emanuele: Grazie a voi per il vostro supporto! Partiamo con una breve cronistoria dei Crown Of Autumn. Nell’Ottobre del 1996 decisi di dare vita ad un progetto Metal dal suono epico e sacrale, ma che al tempo stesso non rinunciasse ad un certo tocco “dark”. Fu così che nello stesso anno la band pubblicò il suo primo ed unico demo-tape intitolato “Ruins”. Questo lavoro riscosse un grande successo, sia di critica che di vendite, portandoci alcune proposte di contratto, sia dall’Italia che dall’estero. Ciò nonostante decidemmo di pubblicare il nostro debut album “The Treasures Arcane” tramite la Elnor Productions, etichetta da noi fondata per l’occasione e avente lo scopo di garantirci il massimo potere decisionale su ogni aspetto della release. Il disco ampliò e consolidò i consensi già ottenuti da “Ruins” all’interno dell’underground europeo (e non solo), divenendo nel giro di pochi anni una sorta di “cult” della scena Metal italiana. In seguito a quest’esperienza iniziammo a sentire il desiderio di sperimentare nuove vie compositive che fossero meno improntate sull’aggressione e più sull’introspezione. Con questi presupposti nacque il progetto Magnifiqat, interamente cantato in lingua italiana, che vedeva me e Mattia alle prese con sonorità che univano reminiscenze Metal, strumenti antichi e percussioni etniche, atmosfere Dark-Gothic e persino alcune sfumature ispirate al più sofisticato Pop-Rock. “Il più Antico dei Giorni” (questo il titolo dell’album) riuscì a bissare il successo di critica ottenuto dai lavori dei Crown Of Autumn, ma soffrì di una diffusione alquanto limitata, forse a causa della situazione di mercato dell’epoca o forse per il fatto di essere un prodotto difficilmente etichettabile e quindi collocabile. Negli anni successivi le nostre vicissitudini personali ci tennero lontani dalla scena per un altro lungo periodo di tempo. Ora siamo tornati con un nuovissimo disco dei Crown Of Autumn intitolato “Splendours from the Dark”, che porta con sé tutto il nostro il rinnovato furor!
2- Quando nel 1997 rilasciaste, tramite Elnor Production, “The Treasures Arcane”, molto probabilmente non eravate coscienti che tale album sarebbe divenuto, nel giro di pochi anni, un vero e proprio cimelio del metal italiano. Come vi fa sentire, ora, l’essere considerati una vera e propria band di culto? E come avete preso quell’aura quasi leggendaria che si è andata creando attorno al vostro primo album?
Emanuele: Ovviamente siamo onorati e profondamente grati a tutti coloro che hanno contribuito a rendere quel disco un piccolo trionfo underground. Forse il fatto di essere ritornati nella penombra subito dopo l’uscita di “The Treasures Arcane”, ha contribuito a creare una certa aura di mistero intorno alla band.
Da un punto di vista meno generico, credo che il nostro debut album presentasse un sound piuttosto maturo e personale per una band italiana di quell’epoca, specialmente se pensiamo che si tratta del nostro primo full-length. Non erano presenti – non è mai stato nostro interesse – innovazioni stravolgenti in termini di songwriting; piuttosto una grande naturalezza nell’unire diversi generi musicali all’interno delle medesime composizioni senza che queste risultassero in qualche modo incoerenti. Penso che l’abilità di creare, quasi alchemicamente, un’armoniosa amalgama di stili differenti sia tutt’ora una delle più grandi qualità dei Crown Of Autumn.
3- Riascoltando “The Treasures Arcane” e confrontandolo con questa riedizione curata dalla My Kingdom Music, pensate che quest’opera di “svecchiamento” del sound abbia sortito i risultati desiderati? Come pensate che sarà presa dai fan?
Emanuele: L’intenzione alla base di questa ristampa è esplicitata nel suo titolo: “The Treasures Arcane – transfigurated edition”. Il termine “Trasfigurato”, di evangelica memoria, allude a qualcosa che, pur rimanendo se stessa, è passata ad un nuovo livello di esistenza. Ecco: è esattamente quello che volevamo per la nuova versione del nostro debut album, a partire dal suono fino ad arrivare al booklet e alla copertina, entrambi rivisitati. L’intenzione non era quella di cambiare ma di “trasfigurare” il sound e l’aspetto del disco tramite un completo ri-mixaggio, ri-masterizzazione e restyling dell’intero artwork. Questa versione non sostituisce l’originale ma la affianca. Abbiamo cercato di far riemergere un po’ di quella potenza tipicamente Metal rimasta sepolta sotto tonnellate di tastiere aventi lo scopo di avvolgere i brani in un’atmosfera arcana e sacrale.
Scopo che fu senz’altro raggiunto, anche se a scapito dell’impatto complessivo. In questa “transfigurated edition” abbiamo cercato un bilanciamento che rende l’ascolto del disco molto godibile.
4- Come si è giunti all’idea di una ri-registrazione del vostro primo disco? E, soprattutto, come mai avete sentito anche la necessità di aggiungere come bonus track tutti i pezzi -bellissimi per altro- contenuti nel demo “Ruins”?
Emanuele: Attenzione: “The Treasures Arcane – transfigurated edition” non è affatto una ri-registrazione ma semplicemente una versione ri-mixata e ri-masterizzata del nostro primo Cd. Non abbiamo aggiunto né tolto nulla di ciò che avevamo fatto in origine. Quelle che senti sono le medesime tracce registrate nel 1997, rinfrescate qua e là dalla mano dello stesso Mattia. E’ una cosa che tengo a specificare perché personalmente non trovo che abbia molto senso ri-registrare un intero disco come hanno fatto di recente i Manowar con “Battle Hymns”. La cosa può essere interessante per una o due canzoni, a titolo di “chicca” per i fans, ma un intero album….
Ad ogni modo ognuno è libero di fare quello che crede, specialmente quando si tratta una storica Metal band come i Manowar. Ma torniamo a noi. In occasione del nostro ritorno sulle scene dopo quasi quindici anni, abbiamo ritenuto giusto ripubblicare il nostro primo album per dare la possibilità di comprendere il nostro percorso stilistico a quanti si accostano ai Crown Of Autumn per la prima volta col nuovo “Splendours from the Dark”. Inoltre abbiamo impreziosito questa nuova edizione con i quattro brani contenuti sul demo “Ruins” (1996) in modo da avere finalmente la nostra intera discografia disponibile su Cd.
5- Musicalmente siete sempre stati una band piuttosto particolare. Dall’unione e dal “mescolamento” di diversi stili, siete riusciti a creare un vostro sound personale e facilmente riconoscibile. Quali sono gli artisti, metal e non metal, che maggiormente vi hanno influenzato?
Emanuele: Siamo influenzati da quasi tutte le tipologie di Metal, dalla musica antica, da quella etnica, dall’Ambient e dal Neo-folk, dalla musica sinfonica e anche da i più sofisticati musicisti rock e pop.
Se dovessi fare i nomi degli artisti che hanno lasciato più di altri il loro imprinting nel nostro modo di comporre musica direi: Loreena McKennitt, Dark Tranquillity, Basil Poledouris, Blind Guardian, Ulver (la prima trilogia), Wongraven, primi Cradle Of Filth e Mortiis.
6- Dall’uscita di “The Treasures Arcane” sono passati ormai quattordici anni. Mattia è stato per lungo periodo impegnato con i Labyrinth, tu con i Magnifiqat e con i Crimson Dawn. Questa lunga attesa significa che i Crown of Autumn non sono un progetto a tempo pieno?
Emanuele: Non direi. Il lungo periodo di tempo trascorso tra un disco e l’altro non è stata una cosa pianificata a tavolino, ma semplicemente il risultato di una serie di eventi che si sono susseguiti; diciamo che il destino ha voluto così. Nessuno di noi in effetti ha mai realmente pensato ai Crown Of Autumn come ad un progetto morto; soltanto addormentato. Credo che il nostro nuovo album “Splendours from the Dark” sia la migliore testimonianza di quanto dico. Ho avuto modo di dedicarmi ad altri progetti musicali, come ad esempio Magnifiqat, ma devo ammettere che il mio “primogenito” ha sempre un posto d’onore nel mio cuore.
7- Cercando sul vostro sito e dando un ascolto approfondito sia al disco dei CoA che a quello dei Magnifiqat, emerge, da parte tua Emanuele, un importante interesse nei confronti della religione. Quanto questa influenza ancora la musica e i testi della band?
Emanuele: Mi sono sempre interessato alla sfera del Sacro. All’inizio il mio interesse consisteva in una sorta di attrazione epidermica che, per mancanza di conoscenza, non ero in grado di razionalizzare e comprendere appieno. Con il passare del tempo, lo studio e le esperienze dirette (che non possono mancare se si vuole che tutto questo non si riduca a mera virtualità) sono riuscito a farmi un’idea un po’ più precisa della natura umana, di quella divina e anche della Storia, osservata da un punto di vista ad essa trascendente. Sicuramente il mio debito più grande è quello verso l’opera di Renè Guènon, il quale ha così magistralmente esposto i tratti di quella che egli stesso chiama “Tradizione” (con la T maiuscola), vale a dire l’insieme di verità metafisiche, simboli sacri, riti religiosi e norme etiche proprie alle antiche civiltà che riconoscevano il proprio principio fondante negli Dèi (o in Dio). Naturalmente questa weltanschauung è propria ai popoli cosiddetti “pagani”, quanto a quelli inseriti nel monoteismo abramico (Ebraismo, Cristianesimo e Islam).
E’ evidente che la forma tradizionale venuta a predominare per ultima in occidente – quella cristiana – e alla quale io stesso appartengo, è più spesso di altre oggetto di riflessione ed ispirazione. Ciò nonostante Crown Of Autumn non può essere considerato un progetto esclusivamente cristiano, tutt’altro. Direi che l’aggettivo migliore per definire il nostro approccio è “Sacrale”.
8- Oltre alla religione, quali altri argomenti vi ispirano nella stesura delle liriche? Mi è parso di notare una certa “attrazione” nei confronti del mondo fantasy. Vi ispirate a qualche scrittore in particolare?
Emanuele: L’unico scrittore propriamente Fantasy al quale mi sia mai interessato è J.R.R. Tolkien, anche se non sono mai riuscito a finire un suo libro. In effetti non mi trovo particolarmente a mio agio con la narrativa, preferisco di gran lunga la saggistica. L’unico autore di racconti e romanzi brevi che mi ha realmente conquistato negli anni dell’adolescenza è H.P. Lovecraft, anche se non credo possa considerarsi uno scrittore prettamente Fantasy né prettamente Horror; semplicemente Lovecraft.
Citerei anche lo splendido capolavoro di M.P. Shiel “La nube purpurea”.
Tornando al Fantasy, ciò che trovo di maggiore interesse in questo genere letterario ed artistico, sono gli archetipi in esso rappresentati.
Ci sono frequentissimi riferimenti alla mitologia, al mondo divino e a come quest’ultimo si relaziona con quello naturale, all’interno del quale l’Essere Umano è inscritto. Ci si rifà spesso e volentieri alla tradizione cavalleresca medievale e ai suoi valori, che non sono per nulla distanti da quelli propri alle aristocrazie guerriere indoeuropee del periodo pre-cristiano.
Quindi, per rispondere alla tua domanda, le somiglianze che intercorrono tra alcuni elementi dei nostri testi e quelli presenti nella letteratura Fantasy, sono riconducibili ad una comunanza di fonti più che ad una influenza diretta. Diverso è il discorso per quanto riguarda i film e le colonne sonore. Musicisti come il già citato Basil Poledouris, John Williams, Vangelis, Hans Zimmer e altri hanno indubbiamente lasciato un segno profondo nel mio modo di concepire musica sinfonica.
08BIS- Ai tempi “The Treasures Arcane” si presentava come un album molto compatto in cui tutti i brani seguivano un filo conduttore unico e sicuramente fu anche questo uno dei motivi del successo. Prima anche che della parte musicale (di cui parleremo tra poco), ci vorresti presentare con parole tue cosa c’è dietro ai testi e cosa ha ispirato, a livello di sensazioni ed emozioni, “Splendours from the Dark”? (Domanda da parte di Alessandro Calvi, caporedattore Gothic)
Emanuele: Dato che nelle risposte precedenti ho già elencato le linee guida generiche dei nostri testi, se mi consenti procederei con un “track by track” lirico del nuovo album. “Templeisen” tratta dell’elemento solare alla base della religiosità vissuta all’interno dell’Ordine dei Poveri Cavalieri di Cristo e del Tempio di Salomone, passati alla storia con il più semplice appellativo di Templari. La parola Templeisen è utilizzata da Wolfram Von Eschenbach nel suo Parzival, uno dei maggiori poemi cavallereschi appartenenti al cosiddetto “Ciclo arturiano” e di gran lunga il più ricco di risvolti iniziatici. Con questo vocabolo l’autore fa riferimento con ogni probabilità al suddetto Ordine monastico-militare, identificandolo come guardiano del Graal. Per chi fosse interessato ad approfondire l’argomento consiglierei il bellissimo libro di Julius Evola dal titolo “Il Mistero del Graal”. Il brano “Aegis” (letteralmente “Egida”), riflette sul tema della trasmutazione, cioè della capacità di nobilitare ciò che in partenza è grezzo e rozzo. Questa è anche l’idea che sta alla base del titolo “Splendours from the Dark”. L’Egida, in alcune versioni del mito, non è altro che la sacca contenente la testa di Medusa, il cui sguardo pietrifica e uccide. In seguito, questa sacca di pelle di capra viene trasformata in scudo dalla divinità o dall’eroe che è stato capace di decapitare la Gorgone. In questo modo si ha il passaggio dell’oggetto, da portatore di male a protezione contro il male. La terza traccia dal titolo “Noble Wolf” presenta quello che forse è il testo più romantico dell’intero disco. Il “Nobile lupo” rappresenta l’aspetto più virile e incontaminato del lato oscuro e notturno dell’esistenza. “Forest of thoughts” è un testo ispirato al quel modo di sentire la tradizione cattolica, sviluppatosi nell’Europa occidentale grazie anche a quel corpus letterario che è il “Ciclo arturiano” o “Ciclo bretone” che, insieme ad altri testi come ad esempio “La navigazione di San Brandano”, accostano elementi di origine celtica alla religione cristiana. “Ultima Thule” è una sorta di inno all’idea romana di Imperium, e del suo significato che è insieme geopolitico e metafisico. “Tibi serviat Ultima Thule” scrive Virgilio nelle prime pagine delle sue Georgiche (“che l’Ultima Thule ti renda servigio”). Con questo nome nel mondo antico ci si riferiva ad un’isola leggendaria posta all’estremo Nord nel mondo, la quale possedeva probabilmente un carattere più simbolico che geografico. Questa regione è spesso identificata con il luogo d’origine del mitico popolo Iperboreo. Proseguiamo poi con “At the crystal stairs of winter” che tratta l’aspetto solare e in particolar modo solstiziale del Cristo. “To wield the tempest’s hilt” è un testo meno unidirezionale che riunisce vari aspetti di diverse tradizioni per descrivere e lodare le meraviglie del Cosmo e dei princìpi che lo sovraintendono. “In the garden of the wounded king” riprende, già a partire dal titolo, l’affascinantissimo studio di Louis Charbonneau Lessay intitolato “Nel giardino del Cristo ferito”. In questo libro, illustrato dallo stesso autore, si indaga la simbologia delle cinque piaghe di Gesù sulla Croce. “Triumphant” è un testo sull’idea di Tempo ciclico, propria alle culture indoeuropee, opposta a quella di Tempo lineare di origine ebraica. Quest’ultima (o una certa interpretazione di essa) è in un certo senso alla base del deleterio concetto di Progresso che domina la nostra mentalità moderna. Non c’è affatto da stupirsi riguardo alla crisi (lungi dall’essere soltanto economica) di un modus vivendi basato su una crescita esponenziale ed illimitata, cosa che in natura non esiste affatto. La natura funziona per cicli, per stagioni, per morti e resurrezioni; ci sono dei limiti, per quanto provvisori. Basare i nostri destini su una sorta di mondo parallelo tecno-finanziario, aritmetico ed artificiale, che non tiene conto della realtà effettiva della cose, non è altro che un’illusione suicida. Infine abbiamo “Ye cloude of unknowing” che porta il titolo di un testo del XIV° secolo, scritto da un anonimo autore britannico. Il libro si pone come una sorta di “guida pratica” di carattere iniziatico per il fedele che intendesse affrontare un’ascesi interiore, ovviamente avendone le qualità presupposte. Spero di non essermi dilungato troppo
08TRIS- Dopo 14 anni decidere di dare un seguito a un album così particolare e apprezzato da pubblico e critica al punto di diventare un piccolo oggetto di culto, è sicuramente una responsabilità da far tremare i polsi. Inoltre, in questo lasso di tempo, son sicuramente cambiate molte cose: il modo di approcciarsi alla musica, lo stile, il modo di scrivere, i gusti personali. Tutte cose che traspaiono sempre quando si ascolta una canzone o un disco. Cosa troveranno di diverso (e perché) e cosa troveranno invece di simile al passato (e perché) gli ascoltatori? (domanda da parte di Alessandro Calvi, caporedattore Gothic)
Emanuele: Credo che le linee generali della nostra proposta siano rimaste grosso modo le stesse. Un sound epico ma mitigato da un certo tocco Gothic, con numerosi riferimenti alla musica antica e soprattutto una dominante atmosfera sacrale. Come hai giustamente detto, nel corso degli anni si evolvono gusti personali e modi di approcciarsi alla musica. Nel nostro caso questo aspetto ha fatto si che il nuovo disco beneficiasse di uno spettro ancora più variegato di sonorità, che tuttavia risultano perfettamente coerenti tra di loro. Al di là dell’aspetto “cult” che citavi, “The Treasures Arcane” , risentiva ovviamente dell’inevitabile mancanza di esperienza tipica di ogni debut album. Da una parte, i sovra-arrangiamenti di tastiera conferivano all’opera un’indiscutibile aura di mistero e misticismo, dall’altra però smorzavano non poco l’aspetto più “suonato” del disco. Con “Splendours from the Dark”,i due elementi principali della nostra musica – impatto e atmosfera – sono stati meglio bilanciati, facendo si che mai uno dei due aspetti soffochi l’altro. Crediamo di aver affinato i nostri arrangiamenti ed il nostro songwriting, attualizzandolo senza tradire in nessun modo le nostre radici.
9- Il passaggio da una piccola casa discografica come la Elnor ad una ben più importante come la My Kingdom Music (già label di realtà consolidate come The Void, Rain Paint, In Tormentata Quiete tra gli altri) ha cambiato il vostro modus operandi nella stesura dei testi? Oppure avete mantenuto una totale autonomia di lavoro?
Emanuele: La My Kingdom Music non ha mai limitato in nessun modo la nostra creatività, anzi. La loro mentalità aperta ed il loro catalogo così variegato non hanno fatto altro che farci sentire artisticamente liberi, esattamente come quando eravamo noi stessi i nostri discografici. Se ti riferisci ad un cambiamento stilistico delle nostre liriche, posso confermarti che si tratta di una cosa avvenuta con estrema naturalezza. I testi di “The Treasures Arcane” erano quasi interamente scritti in old english cosa che, da un lato conferiva un fascino particolare alle liriche, dall’altro però rischiava che queste risultassero in qualche modo forzate o pretenziose. Il nostro amore per la forma arcaica della lingua inglese non è scemato, ma ne abbiamo fatto un uso certamente molto più moderato, solamente nei punti in cui questa si rendesse davvero necessaria.
10- Quali sono le principali differenze, a tuo modo di vedere, che possono essere riscontrate paragonando “The Treasures Arcane” con “Splendours from the Dark”?
Emanuele: Come ho già detto, da un punto di vista compositivo, la differenza maggiore sta nel fatto che “Splendours from the Dark” armonizza molto meglio impatto ed atmosfera di quanto non facesse il suo predecessore. Inoltre ci sono delle novità piuttosto evidenti anche a livello di line-up. Innanzi tutto abbiamo un nuovo lead singer, Gianluigi Girardi, la cui voce potente, graffiante e al tempo stesso molto intelligibile non fa altro che impreziosire le nostre composizioni. Un’altra novità rispetto al passato della band, è l’utilizzo di numerosi inserti di voce femminile a cura della straordinaria Milena Saracino. Credo che in generale “Splendours from the Dark” risulti ancora più caleidoscopico rispetto a “The Treasures Arcane”; voci femminili, groove elettronici e uno spettro di influenze notevolmente vasto, sono tutte eredità provenienti dalla nostra militanza all’interno dei Magnifiqat, esperienza di cui abbiamo fatto tesoro in questo nuovo disco dei Crown Of Autumn.
11- Avete per caso preso in considerazione l’idea di intraprendere un tour a sostegno del vostro nuovo lavoro?
Emanuele: Alle attuali condizioni della nostra formazione, un live dei Crown Of Autumn è ad oggi assai improbabile. Per il momento siamo impegnati nella promozione di “Splendours from the Dark” tramite il Web, la stampa e le radio. Tra Settembre e Ottobre di quest’anno ci ritroveremo di nuovo tutti insieme per discutere un’eventuale prossimo disco della band e in quell’occasione parleremo certamente anche dell’aspetto live. Quando immagino un concerto dei Crown Of Autumn non penso certo ad una semplice riproposizione delle canzoni presenti sui dischi. Credo che la cosa più affascinante di un live show sia quella di considerarlo come un’opera a sé stante. Brani inediti, ri-arrangiamenti, intermezzi d’ambiente e così via…chi vivrà vedrà!
12- Tra il vostro primo full-length e il secondo c’è di mezzo uno spazio di tempo di ben 14 anni. Ci sarà la possibilità di poter avere fra le mani un terzo album in tempi più brevi?
Emanuele: Come ho già accennato, i lunghi periodi intercorsi tra i nostri lavori in studio sono stati il frutto – non ricercato nè voluto – del susseguirsi di determinati eventi. Siamo carichi di entusiasmo ed abbiamo già moltissimo nuovo materiale che aspetta solo di venire alla luce! Spero di tutto cuore che ciò avvenga molto presto.
13- Emanuele questa era l’ultima domanda. Ti ringraziamo infinitamente per il tempo che ci hai dedicato. Con la speranza sempre viva di potervi vedere live quanto prima, lasciamo a te lo spazio per i saluti.
Emanuele: Ringrazio di cuore Truemetal.it e tutti coloro che supportano la nostra band. Chiuderei citando un aforisma di Nicolas Gomez Davila che ben si sposa con i temi ricorrenti in questa nostra piacevole conversazione: “La tradizione pesa sullo spirito come l’aria sulle ali dell’aereo”.
Grazie ancora e a presto!