Dark Tranquillity (Mikael Stanne)
Qualche mese dopo la pubblicazione di We Are The Void, nono full length targato Dark Tranquillity dato alle stampe nel corso del 2010 da Century Media Records, abbiamo approfittato della calata bolognese del sestetto di Göteborg per raggiungere il cantante Mikael Stanne e scambiare quattro chiacchiere a proposito dell’accoglienza ricevuta da quest’ultimo lavoro, del passato e del futuro della band svedese. Buona lettura!
Intervista a cura di Angelo D’Acunto e Lorenzo Bacega
Traduzione a cura di Lorenzo Bacega
Ciao Mikael e benvenuto sulle pagine di Truemetal.it. I Dark Tranquillity ritornano in Italia a due anni di distanza dal precedente Where Death is Most Alive Tour con ben tre date, rispettivamente a Bologna, Roma e Milano. Il pubblico italiano non ha mai nascosto il proprio amore nei vostri confronti, e direi che questo affetto viene ampiamente ricambiato con un buon numero di concerti nel nostro paese. Sei d’accordo? Che opinione hai dei fan italiani?
L’Italia è un po’ come se fosse la nostra seconda casa: sin da quando abbiamo tenuto i nostri primi concerti in questo paese, nel 1996 se non ricordo male, siamo rimasti da subito colpiti dal calore e dalla passione che ci mette il pubblico italiano in ogni occasione. Qui abbiamo svolto i nostri spettacoli migliori, ci riteniamo fortunati ad avere dei fan del genere.
Sempre nel 2008 avete registrato a Milano il vostro live DVD Where Death is Most Alive. Che cosa puoi raccontarci a proposito di quella serata? Siete soddisfatti di come è andato quel concerto?
Decisamente soddisfatti! Abbiamo scelto Milano come location dove registrare il DVD in quanto avevamo degli ottimi ricordi legati a quella città. L’idea ci è venuta in seguito al concerto del 2005, durante il tour europeo con i Kreator: lo spettacolo è stato così esaltante che ci siamo detti “il prossimo disco live dobbiamo assolutamente registrarlo qui a Milano”, e così è effettivamente stato. C’è stato qualche problemino durante la lavorazione di Where Death is Most Alive, ma alla fine tutto si è risolto nel migliore dei modi. Il DVD è fantastico sotto ogni punto di vista.
Parliamo un attimo del vostro nuovo disco, We Are The Void: quali sono, a tuo parere, le principali differenze rispetto alle uscite precedenti?
Penso che We Are The Void sia il disco più serio – perlomeno a livello di tematiche – che abbiamo mai composto in carriera, un album complessivamente più oscuro e compatto rispetto ai precedenti. Durante la lavorazione ci siamo guardati in faccia e ci siamo detti “ehi questo è il primo disco dei secondi vent’anni di carriera dei Dark Tranquillity, è l’inizio di una nuova era per il gruppo!”. Volevamo qualcosa di lievemente diverso rispetto al passato, che mantenesse gli elementi base del nostro sound ma che, al tempo stesso, virasse verso qualcosa di nuovo. Questa è l’idea che c’è dietro al nuovo disco.
Per quanto riguarda invece il sound, We Are The Void mi è sembrato un disco molto più pesante e molto più catchy rispetto al passato. Sei d’accordo?
Concordo sicuramente sul fatto che sia un disco un po’ più pesante rispetto ai precedenti, ma non tanto riguardo al catchy, o almeno, personalmente non mi sembra. Abbiamo cercato di inserire in questo album un po’ tutti gli elementi che hanno caratterizzato il nostro sound in questi vent’anni: qualcosina di Skydancer, qualcosa di Projector, e così via. Spero che il risultato sia di vostro gradimento.
Qual è stata la reazione dei fans in seguito alla pubblicazione di We Are The Void?
E’ stata molto buona! Il disco nuovo è stato accolto così bene che abbiamo preso la decisione di riproporne ben cinque/sei brani ogni sera in sede live. Non ci era mai capitato in passato di puntare così tanto sui pezzi nuovi, solitamente abbiamo sempre preferito privilegiare la produzione un po’ più vecchia.
Qual è il significato del titolo del disco, We Are The Void?
We Are The Void sta a rappresentare una sorta di vuoto interiore, quell’angoscia che viene a crearsi nell’uomo quando questi entra in contatto con i propri dubbi esistenziali e con le proprie paure, prima fra tutte quella della morte.
I Dark Tranquillity il prossimo anno tagliaranno il prestigioso traguardo dei vent’anni di attività. Qual è il segreto della vostra longevità?
Uhm… non lo so! Direi l’amicizia che ci lega, il rispetto e la lealtà che c’è tra tutti i membri della band. La maggior parte di noi è cresciuta insieme, abbiamo fondato il gruppo che avevamo solamente quattordici anni, eravamo dei ragazzi. In breve tempo la band è diventata la cosa più importante delle nostre vite, e per starci dietro abbiamo dovuto sacrificare molte delle attività che fanno solitamente tutti i teenager “normali”. Questo ci ha dato modo di cementificare i nostri rapporti, sebbene, come in tutte le cose, è normale che ci siano degli alti e dei bassi a seconda dei momenti e delle situazioni.
Che opinione hai dell’attuale scena metal internazionale e, in particolar modo, della scena death metal?
Quella death metal è una scena attualmente molto attiva e vivace, è difficile mantenere il ritmo con tutti i dischi nuovi che escono in continuazione. Vedo che ci sono molti gruppi emergenti che vi si stanno affacciando di continuo, ancora alla ricerca di una propria dimensione musicale ben definita, ma che, nonostante questo, sono già discretamente smaniosi di lasciare un valido contributo alla causa.
In We Are The Void le tastiere di Martin giocano un ruolo complessivamente più importante rispetto ai vostri dischi precedenti. E’ stato forse un tentativo di accentuare il lato più atmosferico della vostra musica?
No, non c’è stata nessuna scelta a tavolino. E’ innegabile che la componente atmosferica, così come quella elettronica, si sia ritagliata uno spazio notevole nel nostro ultimo lavoro, ma penso che questo sia dovuto più che altro al fatto che Martin, con il passare del tempo, ha guadagnato sempre più confidenza con la strumentazione e con la nostra musica, e questo gli ha permesso di sperimentare più che in passato.
Mentre i Dark Tranquillity sono rimasti più o meno sempre fedeli al proprio stile, vi sono invece alcuni gruppi come gli In Flames o i Soilwork che, con il passare del tempo, hanno completamente rinnovato il loro sound, perdendo in questo modo la propria identità musicale, e venendo conseguentemente accusati di scrivere della “musica commerciale”. Che cosa ne pensi di queste band?
Se devo essere sincero, penso che sia gli In Flames che i Soilwork siano riusciti a fare una cosa incredibile, in senso positivo intendo. Entrambe le band hanno rivoluzionato il proprio sound in una maniera estremamente interessante, la loro proposta musicale è sì assai diversa rispetto al passato, ma ciò non toglie che sia ugualmente convincente. Insomma, non ci vedo niente di strano. Credo inoltre che l’etichetta “commerciale” sia abbastanza fuori luogo in questo caso, data la proposta di entrambi i gruppi.
Per quale motivo, a tuo parere, sempre più gruppi fanno scelte di questo tipo, cercando di rimanere al passo con i tempi ma, al tempo stesso, finendo per scontentare la maggior parte dei propri fans?
E’ pericoloso, quando ti inoltri in territori musicali così differenti rispetto alla tua identità musicale c’è sempre la possibilità che il pubblico storca la bocca e si senta in qualche modo tradito. Una cosa del genere ci è capitata quando abbiamo pubblicato Projector: il disco ha ricevuto un’accoglienza decisamente negativa, molti fans infatti non apprezzavano le sonorità proposte, e abbiamo finito col ricevere numerose lamentele a questo riguardo. Inizialmente ci siamo spaventati, poi tutto si è sistemato. Penso che non ci sia niente di male dietro a questi cambiamenti, l’importante è che tutto avvenga nella maniera più naturale e spontanea possibile, che la direzione da prendere venga decisa solo e soltanto dalla band, e non dal pubblico o da eventuali fattori esterni.
Dischi del calibro di The Gallery o di The Mind’s I sono ormai diventati parte della storia del death metal, e molte band emergenti guardano al vostro sound come principale fonte d’ispirazione. Come vi sentite a questo riguardo?
Siamo estremamente orgogliosi di ciò. Voglio dire, è una cosa incredibile e stranissima al tempo stesso, pensare che ci possa essere qualcuno che guarda a te e alla tua musica come punto di riferimento, e che magari avverte le stesse cose che sentivamo noi anni fa mentre scrivevamo quei dischi. E’ una sensazione particolare, molto difficile da spiegare a parole, però è sicuramente una cosa di cui andiamo molto fieri.
Vi aspettavate un successo del genere, alla vigilia della pubblicazione di The Gallery?
No, assolutamente no, non avevamo alcuna idea di cosa sarebbe successo di lì a poco. Eravamo giovanissimi e in preda all’entusiasmo, la line-up nuova ci sembrava la migliore del mondo, i nostri pezzi i migliori in circolazione, e così via. Tutto ci sembrava così grande, così meraviglioso, così fantastico. Eravamo dei ragazzi ingenui che si divertivano facendo musica, non avevamo la minima percezione di che cosa stesse per capitare.
Ok, questa era la nostra ultima domanda. Grazie per il tempo che ci hai concesso Mikael, a te l’ultima parola per chiudere quest’intervista come preferisci.
Siamo contenti di essere di nuovo qui in Italia, spero di incontrarvi ai nostri concerti. A presto!