Dead Soul Tribe (Devon Graves)
In concomitanza con l’uscita di The Dead Word, abbiamo scambiato quattro chiacchiere con l’ex-Psychotic Waltz Devon Graves, che con grande disponibilità ha risposto approfonditamente alle nostre domande. A lui la parola!
Ciao Devon! Questo The Dead Word è il quarto album dei Dead Soul Tribe che ascolto in quattro anni. Dove la trovi l’ispirazione per far uscire tanti dischi?
Non lo so, scrivo semplicemente un sacco di canzoni!
Per me è sempre stato difficile definire la musica dei Dead Soul Tribe. Ora, non che sia necessario trovare una definizione per tutto – e per la musica in particolare – ma ritengo che come in pochi altri casi il monicker sia significativo rispetto al genere proposto. Se toccasse a te descrivere la tua musica, che parole useresti?
Hai posto bene la domanda, infatti non ho scelto il monicker a caso. Io lo chiamerei Tribe Metal. La ragione è che uso la chitarra elettrica come Tommi Iommi faceva nei Black Sabbath, e questo per quanto riguarda il lato metal. Il lato tribale viene dalle ritmiche. E’ un modo di suonare la batteria diverso da quello tradizionale, dà un senso, come dire, quasi di voodoo… tribale appunto.
La prima cosa che mi ha colpito del nuovo album è senza dubbio l’artwork di Travis Smith, devvero molto suggestivo. Di chi è l’idea?
Affido sempre il compito di realizzare l’album a Travis. Quando gliel’ho commissionato, gli ho mandato solo il titolo, anche perché stavo ancora lavorando sulla musica in quel periodo. Lui ha lavorato basandosi solo su quello e senza saperne il significato. Fa sempre così, ed è un bene. Non voglio che sia influenzato da nulla, non voglio che la copertina sia specifica. Preferisco che lavori in piena libertà, penso che il risultato sia migliore.
Morte e natura sono sempre stati temi di primo piano nell’immaginario dei Dead Soul Tribe. A guardare l’artwork, sembrerebbe quasi che questa volta la morte abbia avuto la meglio sulla natura. E’ così?
No. L’album è oscuro, è vero, e la morte ha un ruolo importante nei testi, ma non è assolutamente vero che la morte ha la meglio sulla natura. La natura è la sorgente della vita, e la vita trionferà sempre. La natura è sempre la natura, sempre tale e quale, con o senza di noi. La natura trova sempre il modo. L’unica cosa da temere, piuttosto, è il nostro prossimo. L’oscurità indica la volontà di guardare attraverso qualcosa, mostra ciò che temiamo, lo rivela. E’ in questo senso che va interpretata l’oscurità, come velo che nasconde qualcosa. Nei testi si parla molto di religione e spiritualità, sono argomenti molto presenti.
Parlando delle canzoni, due pezzi che mi hanno sorpreso sulle prime sono stati Some Sane Advice e My Dying Wish. Soprattutto quest’ultima, a dispetto del titolo, rompe l’atmosfera cupa e oscura dell’album con un refrain quasi allegro. Che cosa ne pensi?
Beh, questo è logico. Se suoni in scala minore esce un suono triste, se suoni in scala maggiore esce un suono più vivace. Io suono quel che mi viene naturalmente alle orecchie. In My Dying Wish il verso è in minore, il chorus è in maggiore. Ma non è che io lo avessi deciso prima, non mi sono seduto a tavolino dicendo “adesso faccio un ritornello allegro”. E’ solo che, suonando, mi è venuto naturale passare da una scala all’altra. Non l’ho pensato. E se è vero che entrambi i pezzi sono vivaci, uno ha un testo positivo, l’altro no.
Cioè?
Per me il testo di My Dying Wish è positivo. E’ una richiesta di non pregare e di non mettere croci sulla mia tomba, poiché non penso che influenzino l’anima e la sorte che la attende. Per come la vedo io la religione è solo una trappola, preghiere e croci non servono, sono solo un modo di condizionare la mente delle persone.
Per l’album precedente, The January Tree, dicesti di avere scritto prima la musica, poi i testi. E’ andata così anche stavolta, o in quest’occasione qualche testo è nato prima della musica, o le due cose si sono venute a creare assieme?
Anche stavolta è successo così, come sempre d’altronde. A volte mentre suono riesco quasi a sentire quali sono le parole che andranno a formare il testo. Viene tutto naturale. D’altronde non è facile trovare parole che abbiano una buona rima, un suono adatto alla musica. Il suono “ou” non dà le stesse sensazioni del suono “ei”, non si può andare a caso o con un testo qualsiasi. Spesso passo molto tempo a capire quali parole sono quelle giuste, invano. Alla fine succede sempre che le liriche arrivano all’ultimo minuto, l’ultimo giorno disponibile. E’ strano, ma finisce sempre così.
Mi pare che su quest’album ci siano tracce decisamente più pesanti e aggressivo rispetto al passato, la stessa A Flight on Angels Wing mi pare una versione incattivita di Spiders and Flies, mentre su tracce come My Dying Wish compaiono alcune sperimentazioni elettroniche. Da dove vengono le influenze che ti hanno portato al tuo stile attuale?
Basta vedere il mio approccio alla chitarra. Voglio dire, il mio idolo senza dubbio è Hendrix, ma il mio modo di suonare la chitarra, la chitarra ritmica intendo, viene direttamente da Iommi e da quel che faceva nei Sabbath. Il suo stile ha cambiato molto, ed è il mio punto di riferimento principale. Per il resto, tra le influenze devo citare anche i Jethro Tull, per il modo di suonare, per l’uso dei flauti e del pieno… e anche i Queen. Il rock degli anni ’70 è stato sicuramente molto importante. Poi, anche il sound moderno di una band come i Tool ha avuto influenza sul mio stile.
Quanto importanza ha avuto la tua esperienza negli Psychotic Waltz sul tuo lavoro presente?
Una grande importanza, grandissima. Forse, penso di poter dire che la loro influenza è sempre la maggiore. Il mio modo di suonare i riff, la cura per i dettagli, il suono in generale: tutto questo deriva dalla mia esperienza con gli Psychotic Waltz. Soprattutto l’attenzione per ogni sfumatura, per ogni particolare. Devo molto agli anni passati a suonare con i ragazzi.
Se parlare di reunion è ormai fuori luogo, è possibile che i tuoi fan possano ascoltare da parte tua qualcosa musicalmente vicino agli Psychotic Waltz in futuro?
Non lo so. Molti dicono addirittura che quello che suono adesso sia uguale a quel che suonavo prima. Io non sono affatto d’accordo. Ma ci sono momenti in cui lo capisco, altri in cui mi rendo conto che non è così. In effetti ci sono dei passaggi, degli attacchi, alcuni riff che ricordano alcune cose fatte con gli Psychotic Waltz. Me ne rendo conto, tant’è che ci sono momenti in certe canzoni mi ricordano lo stile di Brian (McAlpine, ndr). Oppure, a volte penso a come utilizzare nel modo migliore dei sample presi da opere di teatro, o film. Sono cose che mi ricordano quel che facevamo quando suonavamo assieme.
Che mi dici delle nuove generazioni? C’è qualche band che a tuo modo di vedere ha qualcosa in più delle altre?
Beh, come ti ho già accennato ho molta stima per i Tool. Non so da quanto tempo suonino, non so quanti album abbiano fatto, a dire il vero ne possiedo solo uno, ma so che il cantante ha la mia stessa età, non un anno di più. Tra le band più giovani, non saprei, non le seguo molto. Ora come ora non me ne vengono in mente.
La fatidica domanda finale: verrai in tour anche in Italia?
Non durante questo tour, purtroppo. Il fatto è che una trasferta in Italia sarebbe troppo costosa: non ci sono organizzatori disposti a pagare il costo del trasporto nostro e della strumentazione. Sai, per viaggiare ci serve un pullman, altrimenti dovremmo venire con dei mezzi privati, e questo oltre che molto scomodo sarebbe anche molto costoso. Bisognerebbe trovare un organizzatore disposto ad accollarsi quelle spese, perché noi in Italia ci verremmo, e molto volentieri. Anzi, se qualcuno avesse qualche conoscenza utile, noi tutti saremmo ben felici di trovare insieme una soluzione.
C’è da sperare che qualche organizzatore legga queste tue parole. Ti ringrazio del tempo che ci hai dedicato, ciao Devon!
Ciao Riccardo, e un saluto a tutti i lettori di Truemetal!