Vario

Destruction (Schmier)

Di - 13 Gennaio 2009 - 0:00
Destruction (Schmier)

In occasione della recente esibizione milanese abbiamo incontrato Schmier, leader degli inossadibili Destruction, impegnati in questi mesi nella massacrante tournée D.E.V.O.L.U.T.I.O.N. – 25 Years of Total Destruction. La curiosità di ripercorrere insieme una lunga carriera aveva prodotto molte domande, forse troppe per un cantante ridotto all’afonia dalle numerose interviste a poche ore dallo show. Grande è stata tuttavia la disponibilità di un personaggio che, ogniqualvolta venga interpellato dai nostri “microfoni”, si rivela un interlocutore schietto e senza peli sulla lingua. Un thrasher navigato, che in questi anni ne ha viste e combinate di tutti i colori. Buona lettura.

Bentornato sulle nostre pagine, Schmier. Cominciamo dal presente: il titolo del nuovo album, D.E.V.O.L.U.T.I.O.N., si compone delle iniziali di ogni brano. C’è qualcos’altro che dovremmo sapere?

È un acrostico (acronimo, ndR), precisamente. Abbiamo optato per una scelta simile di modo da evidenziare il concept che unisce le canzoni: “devolution” intesa come decadenza del genere umano, che sta perdendo i propri punti di riferimento.

C’è un brano in particolare, Elevator to Hell, che trovo parzialmente distante dal vostro background; non lo definirei un esempio di thrash metal alla Destruction. È forse un tentativo di abbracciare nuove influenze?

Mah, personalmente non sento in quel pezzo il tentativo di battere nuove strade; non è molto differente da quello che facciamo di solito. Più che di nuove influenze, parlerei di gruppi “tradizionali” (cita gli Slayer, ndR) che hanno particolarmente ispirato questa canzone. Il disco nel complesso cerca di alternare tutto ciò che abbiamo proposto negli anni: il songwriting di base è molto diretto, istintivo, ma non mancano passaggi più articolati e ragionati (“progressive”, definizione da prendere con le molle, ndR).

Sei soddisfatto della produzione? Personalmente ritengo che in alcuni frangenti sia troppo cristallina per una band come la vostra… Prendi The Antichrist, i suoni sono grezzi e taglienti come si conviene…

Capisco cosa intendi, ma abbiamo optato per una scelta del genere al fine di dare risalto a ogni singolo particolare; un taglio più grezzo non avrebbe reso giustizia alla cura per il dettaglio. Reputo che sia stato fatto un ottimo lavoro, d’altronde sfido chiunque ad affermare che quest’album – per quanto rifinito nei suoni – non abbia l’impatto tipico di un disco thrash!


L’attuale line-up: Marc Reign (batteria), Schmier (basso / voce), Mike (chitarre)

Come procede il tour? La band sta festeggiando venticinque anni di “total destruction”… che sensazioni provi?

Venticinque anni sono davvero tanti. È semplicemente fantastico, specie per un gruppo come il nostro: il music business è totalmente cambiato rispetto agli esordi, commetti un banale errore e sei fuori. Essere ancora qui è un dono. Il tour sta andando molto bene, sembrerò banale ma è senza dubbio il migliore da diverso tempo a questa parte; gli ultimi show, in particolare, sono andati alla grande, nonostante fossimo in piena frenesia pre-natalizia… sai, tutti che risparmiano soldi perché “bisogna” comprare regali. È un giochino che mi ha stancato parecchio tempo fa: è solo una fottuta trappola di marketing, che ruba tempo e soldi alle persone. Io non pretendo regali e non ne faccio, potrei farlo in qualsiasi momento dell’anno… ciò che mi preme più di tutto è trascorrere un po’ di tempo in famiglia. Passiamo le feste natalizie insieme e siamo ubriachi tutto il tempo… beh, ovviamente non la mamma, i “devastati” di famiglia siamo io e mio fratello! (ride, ndR)

A tuo parere, quali sono oggigiorno i vantaggi e gli svantaggi di una band emergente rispetto a vent’anni fa?

Un paragone è difficile… ai tempi del nostro esordio il mercato non era così sovraffollato. Quando abbiamo iniziato potevano uscire otto, dieci album al mese: oggi non riesci più a contarli. Ci sono centinaia di band che si cimentano nello stesso ambito, è davvero impegnativo ritagliarsi uno spazio e attirare l’attenzione dei fan e degli addetti ai lavori. L’unico consiglio che mi sento di dare alle nuove leve è “lavorate duro e anche di più, cercate di sviluppare una proposta originale, stupite la gente: l’unico trucco per farvi ricordare è fargli dire “wow, questi sono diversi, unici”. Se non ingrana subito non mollate mai, ricordate che esistono tante grandi band arrivate tardi al contratto”. Bisogna avere pazienza con il music biz, specialmente di questi tempi. Noi fummo molto fortunati, in poco tempo eravamo sotto contratto. Ma non va sempre così.

Leggo sul vostro sito ufficiale che avete in cantiere un DVD pieno zeppo di sorprese… confermi?

Assolutamente sì. Il piatto forte sarà un’esibizione del 2007 con tutti i membri storici del gruppo: tre batterie sul palco, una valanga di classici e tutto quello che potete aspettarvi da uno show celebrativo. D’altronde non mancherà un documentario sulla carriera della band, con interviste ai protagonisti, aneddoti di rito, “fun stuff” e uno squarcio sul Wacken Open Air. Mi piacerebbe vederlo sugli scaffali ad agosto, ma dobbiamo prendere accordi con l’etichetta: sai, l’ultima parola spetta a loro…

Altri piani per il 2009?

La priorità è un doppio album dal vivo, un mix di nuovi brani e vecchi classici. Siamo essenzialmente una live band, amiamo questa dimensione e vogliamo che l’energia profusa sul palco sia catturata su disco. Ai fan piacerà.

Concedimi un passo indietro: che opinione ti sei fatto, dopo tanti anni, di Release from Agony? A mio parere è un album sottovalutato e mi ha fatto piacere risentire dal vivo, nel corso del tour precedente, Unconscious Ruins.

Il materiale è di livello, amiamo tuttora suonarlo dal vivo; il limite principale è forse una produzione deficitaria. All’epoca abbiamo fatto il passo più lungo della gamba, almeno in casa nostra: la gente non era ancora pronta per un’evoluzione del genere, tant’è che il disco è andato decisamente meglio in Giappone o negli Stati Uniti; se facessi un sondaggio tra i vecchi gruppi death americani (cita Deicide, Obituary, ndR), senza dubbio citerebbero quest’album, perché sviluppa la componente tecnica dei predecessori. In Europa è stato un mezzo flop commerciale.

Se potessi tornare indietro, c’è qualcosa che non rifaresti?

Col senno di poi, firmare con la prima label (la Steamhammer, ndR) fu un errore. All’epoca eravamo esaltati dall’idea di un contratto, ma fummo abbandonati a noi stessi, senza diritti sul nostro materiale e senza compenso. A proposito, ti anticipo che stiamo trattando per rilevare i diritti sui nostri primi album: i fan chiedono a gran voce delle ristampe decenti e noi vogliamo soddisfare questo desiderio. Si tratterà di edizioni rinnovate, con booklet corposi, fotografie dagli archivi storici, testi integrali… magari anche suoni rimasterizzati. Faremo il possibile perché ciò accada quanto prima.


Destruction agli esordi: Sentence of Death (1984)

Domanda da risposta secca: la band o l’artista insospettabile che ascolti con piacere?

ABBA! (fa il segno delle corna e ride, ndR). Sono fantastici. Non posso lasciar fuori anche Frank Zappa e, soprattutto, il grande Elvis: senza di lui non sarei qui, è lui il responsabile di tutto questo. All’epoca era fottutamente heavy, devo dire grazie a lui se mi sono avvicinato al rock e poi, come naturale conseguenza, all’heavy metal.

E la band heavy metal per eccellenza secondo Schmier?

Judas Priest sono i miei preferiti. O forse lo erano…

Devo dedurre che Nostradamus…

Mmm… (silenzio, ndR) Non voglio dire la cosa sbagliata sulla mia band preferita! (ride, ndR)

Ora giochiamo in casa: thrash metal. Negli anni ’80 è sembrato uno dei mezzi più efficaci e diretti per esprimere il proprio malessere nei confronti della società corrotta, dei politici, del rigurgito razzista. Vent’anni dopo il mondo è cambiato, ma converrai con me che i motivi per incazzarsi non mancano. Cosa ha significato e cosa significa ora thrash metal?

Per il sottoscritto thrash metal era ed è un’opportunità per sostenere ad alta voce cosa non funziona in questa società. Questa è l’essenza pura del thrash metal, la ragione per cui è stato concepito e la missione che deve conservare… Thrash metal non è affare per nerd che passano le giornate ai videogiochi: è un grido di ribellione contro la politica corrotta, questioni sociali, ogni fottuta religione e via dicendo. A dir la verità nei primi lavori eravamo più fissati con temi horror e occulti, ma eravamo molto giovani e dannatamente attratti da soggetti estremi (ride, ndR).

Stai seguendo da “padrino” la nuova ondata di band thrash esplosa negli ultimi anni?

Sì, la riscoperta di questo genere può soltanto farmi piacere. Apprezzo le giovani band emergenti, hanno ridato lustro allo spirito thrash degli albori. Violator, Evile, Warbringer: tutta gente in gamba, anche se consiglierei di non fossilizzarsi troppo sulla formula retrò – c’è chi imita noi, chi Exodus – e tentare una soluzione più originale, senza perdere in genuinità.

Chiudiamo con uno sfizio personale: ho letto da qualche parte che possiedi un ristorante in Germania, confermi? Quali sono le specialità della casa? Ti prego, non dirmi “spaghetti bolognese”…

L’ho avuto, nei pressi di Friburgo. Si trattava di una “pizzeria ristorante” (lo dice in italiano, ndR): nel menu c’erano specialità da tutto il mondo. Quando ero in tour con i Destruction mi dilettavo a collezionare prodotti tipici di ogni località, che poi servivo al ristorante; durante una vecchia trasferta in Messico imparai a fare un’ottima caipirinha, la migliore che potessi bere in Germania! (ride, ndR). A un certo punto, con la band in costante ascesa, mi sono trovato di fronte a un bivio… sappiamo tutti com’è andata: fu una scelta obbligata e giusta, alla band ho legato ricordi straordinari. D’altro canto ho sempre amato cucinare e il ristorante ogni tanto mi manca: sono un cuoco professionista, nel mio locale non stavo certo a guardare (ride, ndR). Ti dirò di più: mia nonna era per metà di origini italiane, è stata lei a insegnarmi un sacco di piatti della vostra tradizione. Ma non amo i rimpianti: il mio posto è qui, con la band.

Federico Mahmoud – Gloria Baldoni