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Elvenking (Aydan)

Di - 14 Novembre 2008 - 0:05
Elvenking (Aydan)

Intervista a cura di Marco Migliorelli.

Elvenking: il Ramo e la Radice.

Un Aydan cordialissimo e paziente ci parla dell’ultimo germoglio acustico degli Elvenking (Two Tragedy Poets, in uscita il 14 novembre) e della mentalità di un gruppo che vuole rinnovarsi permanendo in una propria sfaccettata identità.

Ciao Aydan, vedo che torna nuovamente l’albero a preannunciare la vostra musica: perché? Quale idea complessiva rappresenta dal momento che la vostra musica non vive all’insegna del ritorno quanto semmai “Face future learning from the past”, come è scritto in Pathfinders?
Ciao Marco, è vero che c’è un ritorno dell’albero e se ben ricordi oltre che in Wyrd era presente anche sulla cover del nostro demo, un salice. Sotto il profilo puramente visuale l’albero è un’immagine importante perché simbolicamente rappresenta e costituisce un legame fra tutti i capitoli della storia musicale degli Elvenking, ma anche più elementi e sfumature della band stessa, vuoi in un aspetto più estremo, vuoi in un aspetto più lento e introspettivo. Abbiamo però ben presente davanti a noi stessi che un legame è importante anche nella misura in cui deve legarci sempre a qualcosa di nuovo.

…Dicevi di un aspetto estremo e di uno più introspettivo o comunque più lento; The Scythe e quest’ultimo lavoro…
The Scythe rappresenta quell’aspetto importante del carattere degli Elvenking che non ha timore di proporre sempre qualcosa di diverso e che abbia valore di per se stesso. Non partiamo mai con l’intenzione di creare tenendo conto soltanto di quanto fatto in precedenza. The Scythe, criticato da una parte del pubblico ma anche di grandissimo successo, vuole dar voce a un gruppo che non dimentica le proprie radici (intese anche come basi emozionali) ma che ancora non sminuisce l’importanza di proporsi e proporre ogni volta qualcosa che sia stimolante per la creatività e l’ascolto. In quest’ottica Two Tragedy Poets si presenta come un ulteriore aspetto, profilo di una stessa radice di partenza.

Two Tragedy Poets: intermezzo fortemente voluto nella sinfonia delle stagioni. Dietro le frondose sfumature di verde dell’albero nella cover si nasconde una richiesta convinta e precisa alla AFM; richiesta accolta ed ora concretata in questo imminente lavoro acustico. Quale necessità vi ha spinto dopo aver esplorato l’aspetto più romantico della Morte alla creazione di uno studio album acustico?
La AFM si spettava un album che seguisse nelle sue caratteristiche The Scythe, soprattutto considerando il gran successo commerciale di questo lavoro. Altre però erano le nostre esigenze; esigenze che presupponevano anche un rischio sotto il profilo del puro business. Emergeva, infatti, forte l’idea di un lavoro atipico, inedito che non sarebbe piaciuto a tutti.
In questo senso mi fan ridere tutte quelle voci che vogliono legare questa band ad un discorso “commerciale”.
“Commerciale” significa “legato a commercio”! Ed è davvero ben poca cosa perché come gruppo viviamo di passione infusa in quel che creiamo e se suoniamo è principalmente per un piacere intimo e certo nella speranza che questo piacere possa poi diventare quello dell’ascolto.
Noi vogliamo fare tutto quel che è all’opposto del commercio: uscire con un acustico dopo The Scythe non è una “mossa” né tanto più una “mossa attesa”.
Dopo un album estremo e d’impatto sentimmo il semplice e profondo bisogno di provare a noi stessi la possibilità di esplorare la sponda opposta del nostro sound.

…Decisamente una sorta di “sbalzo emotivo” così che per primi a voi stessi è risultata la peculiarità di questo passaggio…
Sì, proprio di uno “sbalzo emotivo” si tratta: una volta approdati all’aspetto più gotico e romantico nell’accezione letteraria dei termini, ci siamo letteralmente lanciati in un’impresa estremamente diversa. Two Tragedy Poets è un’opera emozionale ed introspettiva, ma anche ironica (autoironica) e divertente. Le canzoni alternano momenti ironici e ludici come anche parti più intimistiche e Romantiche, solo in una sfumatura diversa da quella del Romantico in The Scythe.

Queste venature del disco (ironiche, divertenti, intimistiche, malinconiche) si intrecciano in uno dei pezzi migliori e più trascinanti sotto svariati aspetti del disco; mi riferisco a Not my final song, che incarna tutte queste sfumature proponendo anche la vena più “giambica”, invettiva dell’album…
Posso parlartene bene perché il testo di quella canzone l’ho scritto io; è probabilmente uno dei pezzi più ironici e dissacranti degli Elvenking.
L’argomento è il mio funerale. Dall’interno della bara mi guardo intorno e scorgo tutti i volti di coloro che erano intorno a me durante la mia esistenza. Li vedo lì piangere e mi interrogo sulle contraddizioni di coloro che dietro una maschera del pianto alle mie esequie, mostrarono il loro volto peggiore in varie occasioni della vita; di altri mi chiedo perché non mi abbiano parlato prima che il mio tempo venisse meno. In questa canzone però si canta anche di quel che capisci soltanto “troppo” dopo di aver perduto, insieme alla consapevolezza che è ormai troppo tardi.
È un brano, infatti, dedicato a tutti coloro che si accorgono di quel che han perduto come anche a quelli che han perduto perché non han potuto dire quel che avrebbero voluto e ancora a coloro che non riescono a capire cosa effettivamente han perduto.

Passiamo a una nota sull’ascolto del disco che ho sottolineato anche nella recensione; ho suggerito un ascolto “a salti” per superare quell’impressione iniziale, ingannevole di un album troppo omogeneo, ossia composto di canzoni generalmente simili fra loro. Che ne pensi?
Per noi è sempre difficile capire i dischi ad un primo ascolto (anche i nostri stessi dischi); ti trovi spesso come in un “altro mondo” così che potresti giudicare brutto un disco all’inizio e poi rivalutarlo o viceversa. Può capitare che d’improvviso dopo tanti ascolti capisci che di un determinato album ti resta molto interiormente. Nello specifico di questo Two Tragedy Poets, il fatto che l’album sia tutto acustico può confondere attraverso un’illusione di eccessiva omogeneità sonora; e questo perché l’essere “acustico” è una caratteristica strutturale; alla fine penso però che possano emergere le identità ben precise delle canzoni e un dualismo notevole fra quelli che sono i lati più personali e gli altri più ironici. Sì comunque, “skippando”, “a salti” si può creare in questo caso una tipologia d’ascolto sempre diversa.

C’è continuità nella vostra proposta musicale e al contempo una trasformazione continua: l’elemento acustico era stata finora soltanto una vivida seppur sempre marginale sfumatura nei vostri lavori; qual è la differenza fra lo scrivere un intermezzo acustico in un diverso contesto musicale e la volontà di approcciare già nell’idea di partenza un album completamente acustico? Qual è stata la sfida che si è imposta alla vostra creatività, al vostro sound?
È stata un’esperienza molto particolare. Scrivere una singola canzone acustica in un album principalmente elettrico è un episodio e resta tale. Sai già, infatti, quale sarà l’idea da cui partire, è circoscritta e circoscritto, delimitato, è quel che vuoi esprimere in un preciso spaccato all’interno di un lavoro più estremo; si tratta di un intaglio, una “collocazione Romantica”.
L’idea invece di un intero acustico ci ha all’inizio un po’ spaventati! Non ne avevamo alcuna esperienza. Di questo però eravamo certi: sentivamo come fondante la necessità creativa di non costruire o comporre l’album in un’ottica monotematica, incentrandolo quindi sulle solite scontate atmosfere; quelle prevedibili al punto da limitare l’ascolto a momenti troppo angustamente definiti. Volevamo evitarlo. Volevamo soprattutto portare avanti e insieme a noi nell’avventura dell’acustico quell’impatto rockeggiante che abbiamo sempre avuto, qualcosa che avesse una forte scaturigine interna, un tiro. E ancora, dare in alcune canzoni acustiche un determinato e fortemente voluto impatto, ma mixato con le nostre più tipiche inclinazioni emozionali.
Non avrei mai voluto che l’album acustico fosse stato qualcosa di “tradizionale”, prevedibile sul lato emotivo e ignaro di una sua possibile sfaccettatura più ludica. Ci sono quindi anche episodi ludici come anche canzoni che potrebbero essere certamente elettriche, ma che in acustico destano maggiore interesse.

La vostra è una musica che comunica fortemente per immagini. Quale mano invisibile vi guida nella scrittura dei contenuti oltre che nella musica?
La liricità del testo è sempre stata fondamentale. Certo è poi la musica che emerge e deve emergere se consideri che il cantato è in inglese e non tutti riescono a comprendere sempre non tanto le singole parole quanto anche un senso complessivo (un’ermeneutica…) del testo. Ovviamente arrivando a carpire il concetto dietro un testo si capirebbe meglio anche la musica. Per questo è importante il testo: associandolo al suono la melodia più ne esce inorgoglita e più ancora la impreziosisce. Una canzone è veramente buona se è in grado di contenere un significato che ci rappresenti nel profondo.
Poi presentiamo anche testi frivoli… Questo però non vuol dire che siano meno rilevanti; i testi più emozionali sono più nostri, ci sono più cari ma questo non priva una canzone molto allegra della necessità –quindi della cura- testualmente.

Nel considerare in una visione d’insieme la vostra discografia sembra emergere suggestivamente l’idea implicita di una Poetica spontanea; Heathenreel fu il recupero di una ricchezza e festosità pagana nella natura; Wyrd l’inno dolce e pure malinconico alle stagioni della vita, The Winter Wake il canto magico e suggestivo della natura d’inverno; The Scythe l’esplorazione romantica della morte; e quest’ultimo lavoro? Ora che è davanti a voi, in qualche modo opera “staccata” dai suoi creatori, cosa vi dice di nuovo?
Esiste un filo conduttore nella nostra poetica. Una poetica che continua e soprattutto si evolve: sinuosamente, a grandi balzi . A breve sarà a tutti manifesto cosa accade dopo The Scythe, l’album più “negativo” nello sviluppo di questa poetica. Alcuni han detto che The Scythe manca delle nostre caratteristiche emozionali più tradizionali. Io credo invece che continui a rappresentarle sempre con pienezza solo considerando l’aspetto più fondo del nostro romanticismo. L’idea fu di addentrarsi fra quelle emozioni che ci apparivano più difficili da definire, sondare, scoprire e che pur ci costituiscono. In quest’ottica Two Tragedy Poets si configura come la ricerca positiva, romantica di un’emozionalità più schietta, meno fonda e oscura.
La nostra poetica si muove non linearmente ma a balzi all’interno di uno stesso sfaccettato campo emozionale. Se volessimo riallacciarci al tuo discorso sulle “stagioni” qui abbiamo ricercato, in rapporto a The Winter Wake, il lato più “primaverile”.

Quali letture fondano il vostro (e nostro) immaginario? C’è qualche pagina importante che ha dato calore alla tua mano quando è stato il momento di scrivere con gli altri e dar vita alla chitarra acustica?
Leggo moltissimo ma tendiamo sempre a non farci influenzare eccessivamente quando diamo vita alla nostra musica.  La lettura è una forma di esperienza importante come anche quella visuale ed in quanto esperienza personale, individuale è formante a livello interiore; certamente alla musica arriviamo attraverso la nostra persona. Più direttamente tutto deriva da noi stessi. Per questo motivo non ci affidiamo mai a testi legati strettamente a possibili letture; piuttosto cerchiamo di avere sempre nostre opinioni personali e trarre conclusioni che siano complessivamente nostre. Wyrd deriva in qualche modo dal concetto espresso ne La via di Wyrd di Brian Bates, ma non esiste in quell’album un concept legato al libro, quanto piuttosto idee trasposte su testi separati. L’impressione generale è che tutto sia legato al libro; di fondo restano solo queste idee-guida a darci un forte spunto individuale. Stesso discorso su The Scythe in rapporto alla narrativa gotica ma ancora le influenze sono indirette quanto più la base visionaria è principalmente personale.

In sede live avete già tentato esperimenti di resa acustica di qualche vostro pezzo celebre; quanto dell’idea di quest’album è nata nell’esperienza diretta del palco?
Una prima significativa intuizione per l’ipotesi di un album acustico si palesa durante un momento del Live Tour 2006 di supporto a John Oliva. Dovevamo suonare in locale che rivelò ben presto problemi di agilità. L’unica soluzione possibile fu quella di spostarci in un altro locale strutturato in modo da presentarsi “più intimo”. Per questa diversa struttura del luogo ed anche per più oggettivi problemi inerenti all’allestimento degli strumenti elettrici dovemmo tirar su in poco tempo un’esibizione acustica, imbastendo quindi un improvvisato set acustico. Avevamo pezzi acustici ma non per colmare un set intero di concerto. Arrangiammo quindi pezzi come The wanderer in acustico e in pochissimo tempo. Ci informarono, infatti, di questo cambio di coordinate soltanto appena arrivati a Monaco… Tuttavia è proprio durante questa “emergenza” che scoprimmo l’ulteriore potenziale delle nostre canzoni. Forse è proprio lì che iniziò a germogliare l’idea di quel che è ora Two Tragedy Poets.

Si tratta in fondo di un disco nato in tempi relativamente veloci e quindi frutto di un’ispirazione legata principalmente allo slancio del presente; sei d’accordo?
La lavorazione seguì una tempistica molto particolare. Avevamo già idee per l’album “tradizionale” su cui lavorare quando nel mezzo di questa primissima fase sondammo la AFM per l’album acustico. In realtà all’inizio proponemmo un EP con l’intenzione di presentarvi 5 pezzi. Tuttavia furono loro a spiazzarci: “Ma perché non un album intero?”. Non eravamo poi così pronti; questa prospettiva ci spaventava. Quando devi risolvere un EP in 5 o 6, puoi riarrangiare 2 brani vecchi. Qui invece veniva a spiazzarci l’ipotesi di un intero album creato pressoché ex nihilo. Aggiunsero poi, alla AFM, che avrebbero voluto far uscire l’album prima della conclusione dell’anno. Fu così quindi che ci trovammo per la prima volta a lavorare con un’idea imprecisa e in tempi precisi! Ed ecco, questo ci ha stimolato, pungolato; insieme alla possibilità di sonorità in qualche modo nuove data la prospettiva in cui anche venivano a svilupparsi. Le canzoni sono emerse velocissimamente, tutto è stato repentino anche in studio; ed in assoluta spontaneità.

Nel forum si discute spesso sul fatto che stare troppo in studio possa far “male” alla creatività di un gruppo. Che ne pensi Aydan?
In realtà non siamo abituati a fare le cose troppo velocemente. Spesso ci soffermiamo a riflettere molto di quest’album è invece frutto di estrema spontaneità. Quando sei ispirato la spontaneità è un elemento decisivo; se avessimo avuto più tempo a nostra disposizione forse saremmo tornati sulle canzoni ad aggiungere, rimestare, snaturando probabilmente la base originaria ed originale.
In questo caso tutto invece è legato ad una certa immediatezza e spontaneità, sull’onda di una sincera ispirazione ed il risultato mi piace.

Molti dei vostri pezzi, anche proprio per il fatto di contenere al loro interno sfumature acustiche si prestano incredibilmente a questa rielaborazione; perché The winter wake e The wanderer?
Non tutti sanno che oltre a queste 2 canzoni abbiamo riarrangiato anche Perpetual knot. C’è poi anche Skywards ricantata ma è disponibile soltanto nell’edizione per il mercato giapponese. Escluso The Scythe c’è quindi una canzone a rappresentare ogni album. Per scelte manageriali e di commercio due di questi rifacimenti sono finiti su edizioni specifiche.
Quanto alle canzoni da te citate sono forse fra le canzoni più famose degli Elvenking e le più duttili sotto il profilo acustico nella misura in cui possono concretamente svelare un profilo veramente inedito, diverso rispetto all’originale “elettrico”. Il risultato finale è che le due versioni mostrano due volti realmente differenti. A partire dalla melodia di base volevamo capire in quanti modi puoi sfaccettare la canzone cambiando soltanto l’arrangiamento ed incidendo quindi sull’atmosfera complessiva. È interessante quindi fare confronti per accorgersi quanto differiscano dagli originali. Uscirà comunque l’1 novembre SOLTANTO online (forse secondo il procedimento di iTunes) un singolo; esclusivamente per quel singolo saranno scaricabili: From blood to stone, Perpetual knot (disponibile quindi almeno qui) e The winter wake.

Come collochi Two Tragedy Poets in questo momento della carriera? Ritieni che sia un’esperienza che nella sua unicità possa già influire sul nuovo “tradizionale” full-length?
Prematuro parlarne. Non sappiamo mai come sarà il prossimo album. Quando i lavori sono terminati poi ed è lì pronto è per noi stessi nel suo insieme una rivelazione, una sorpresa; e questo perché noi non abbiamo mai davvero idea di dove ci porterà il songwriting: non ci sediamo a tavolino per comporre. Impossibile comunque evitare che quest’album influisca per certo su progetti futuri. Per me questa sinergia potrebbe concretarsi in un mix fra la parte più heavy di The Scythe ed il Romanticismo di Two Tragedy Poets.

A livello puramente strumentale quale nuova alchimia ha creato fra voi il ritrovarvi a suonare ma anche a comporre, pensare musica in chiave quasi completamente acustica?
Tecnicamente è stato tutto diverso. Non abbiamo mai provato. L’album è cresciuto senza che sapessimo dove precisamente ci portasse. Mi diceva Zender che ha suonato le parti di batteria senza avere razionalmente un’idea di quel che sarebbe stato il risultato finale. Queste canzoni non le abbiamo mai provate insieme nella loro interezza se non come “scheletro”, come struttura di base. Sono state costruite di volta in volta velocemente e pezzo a pezzo. Ancora con Zender a suonare le parti di batteria cercavamo di capire quale fosse il mood giusto per quel determinato pezzo così come lo avevamo in testa, dentro di noi. Diversamente le canzoni negli altri album nascevano mentre provavamo. Essendo le canzoni di Two Tragedy Poets ricche di arrangiamenti non studiati precedentemente, non avevamo che impressioni fugaci, generali di come sarebbero state alla fine.
Ad essere chiara era però l’idea di partenza, chiaro il concetto. Spiegarlo però è in sostanza difficile perché si tratta di cercar sensazioni e riprodurle intuitivamente trasponendole. Conta molto la sinergia fra noi in questo senso; quanto sia chiaro “fra noi” il concetto da rendere poi ciascuno col suo strumento.

Mesi addietro leggemmo di una temporanea dipartita di Elyghen; in molti si discusse anche creativamente della presenza del violino in The Scythe. Io credo che questa impressione di un affievolimento del violino in The Scythe sia un’illusione creata da una corposità e pesantezza maggiore degli altri strumenti…
Sono d’accordo. Il violino è ben presente ma gli altri strumenti portati all’estremo tendono a celarlo. Lo sapevamo fin dall’inizio; per il concetto di fondo che muoveva The Scythe il violino doveva essere meno in primo piano ma è accaduto tutto in modo funzionale e se hai orecchio attento puoi rinvenire un lavoro di violino tutt’altro che esiguo. Dall’altro lato è consequenziale che in un lavoro acustico dove ogni strumento suona tutto meno “in your face”, le melodie sono affidate principalmente al violino. Infatti, in Two Tragedy Poets sono le chitarre ad essere meno in evidenza sebbene, prestando attenzione, non è impossibile rinvenirne il gran lavorio melodico.

Veniamo ad un altro elemento importante. La voce di Damna sta crescendo non poco anche in un percorso di maggiore autoconsapevolezza delle proprie possibilità. Qual è stato il lavoro di Damna per portare la propria voce accanto alla sensibilità di un album di questo tipo?
Assolutamente. Questa è stata la sua migliore performance in album. Si è lavorato molto sulle tipologie dei vocalizzi. In un contesto acustico dove le voci han molto risalto, impostarle in una sola direzione poteva essere la soluzione più facile. Invece ci siamo mossi per contrasti: hard rock talvolta la voce rispetto al resto del gruppo che suona in modo più tenue.
In alcuni episodi la voce è più interpretante ed interpretata, altrove più spinta…

…Come in Not my final song… Qui è la voce di Damna a chiudere come unico, ultimo “strumento”; quasi un recitato (nell’invettiva)…
Esatto è lo “strumento” che chiude. Questa del finale è la parte in cui dalla bara mi alzo e dico che non è ancora giunto il momento per la mia ultima canzone.

L’inno ironico autoironico degli Elvenking?
Assolutamente… Considera quando una band si scioglie e tutti si accorgono solo allora di quanto fosse valida mentre quando era in vita nessuno la prendeva in considerazione…

Quanto sentite di esservi staccati da gruppi come gli Skyclad e quanto quest’album vi riporta in qualche modo alla radice di una musica folk che avete originalmente mostrato di amare?
Non ci siamo mai sentiti legati al folk metal così come la scena attuale lo incarna; è una proposta questa che non mi piace assolutamente: prendere melodie e canzoncine folkloristiche, appesantirle e su questa base fondare un gruppo non ci interessa. Siamo sempre stati ben distanti da questo. Certo è vera l’importanza per noi dell’esperienza Folk ma collocata in un contesto differente, più sfaccettato. Gli Skyclad: fondamentali soprattutto quelli degli esordi, quando mixavano il thrash con altri elementi e questo mix era scaturigine di diverse coloriture. Ecco cosa ci ha sempre ispirato; questo ci avvicina al paragonarci con i loro primi album più che alla scena folk attuale che ci è estranea. ….abbiamo anche suonato col loro cantante facendo cover insieme a lui. Prendi ad esempio la cover di Penny dreadful.

Hai qualche Bootleg di questo tipo di live su cui poter indirizzare i collezionisti veterani?
Nel 2002 suonammo con Martin Walkyier alla voce al Bloodstock in Inghilterra. Proponemmo soltanto cover degli Skyclad. Fu un concerto bellissimo. Anche Martin era entusiasta. Avevamo energizzato alla nostra maniera le loro canzoni. Purtroppo non credo esista nulla di quel concerto per quanto io abbia cercato.

Mi hai scritto un giorno: sono sempre stato più attratto dai sentieri meno sicuri ed oscuri, piuttosto che le vie battute. Il vostro nuovo “tradizionale” full-length ha già iniziato a prender forma, contorno?
E’ molto difficile delineare uno stato dei lavori. Appena abbiamo deciso di muoverci in direzione dell’acustico abbiamo lasciato le idee che andavamo profilando per il nuovo “tradizionale” album.

Bene Aydan, direi che può bastare… A te la conclusione…
E’ indubbia la particolarità di Two Tragedy Poets; è un nostro esperimento e rappresenta un volto del gruppo e non la band stessa. Non sarà un album che tutti potranno apprezzare ma se qualcuno è in cerca di ascolti particolari ed ama sonorità romantiche, soft, come anche più briose, può azzardare un ascolto e trovare senz’altro qualcosa di interessante.