Power

Elvenking (Aydan)

Di Marco Giono - 23 Maggio 2015 - 10:00
Elvenking (Aydan)

Intro Pagana e un bellissimo Manifesto!

Li guardavo sul palco sprigionare energia in note, le melodie esaltate da ritmi trascinanti, mi pareva poi che il pubblico fosse sospinto da un’onda invisibile verso di loro. Non eravamo in molti a dire il vero. Quel vuoto decisi che andava riempito. Cercavo risposte. Dovevo intervistare gli Elvenking a tutti i costi. Tutta questa prosa per il solito gruppo power italiano? Non ci provate… e continuate a leggere piuttosto…gli Elvenking rilasciano “The Pagan Manifesto” il 27 Maggio 2014. Trascorso ormai un anno, l’eco di quella meraviglia rimane inalterato. La totalità della critica è stata positiva nei loro confronti e voglio ricordarvi anche di leggere con attenzione un bellissimo esempio di recensione/saggio consultabile nelle pagine virtuali di truemetal.it. Se quindi gli scriba annuiscono, gli antichi dei del power metal osservano ammirati, perché il pubblico italiano diserta? A che punto della loro esistenza musicale si trovano gli Elvenking? Tempo di indagare con Aydan (che assieme a Damna rappresentano il nucleo creativo e fondante della band) e porgli anche domande scomode.

 

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Aydan, benvenuto a Truemetal.it. Mi piacerebbe iniziare a parlare del vostro ultimo disco “The Pagan Manifesto”. La seconda traccia “King of Elves” [il primo brano in realtà è un intro n.d.a.) dura circa dodici minuti. Oltre alla lunghezza colpisce perché è un brano davvero bellissimo, ricco di dettaggli e cose che poche band metal si sognano di realizzare. Ora ti chiedo se la sua collocazione non sia un azzardo? Di solito i brani più lunghi in dischi dal minutaggio medio non elevato vengono posti alla fine (so che la scelta di una tracklist non è mai facile).         

Ciao a tutti! Si, si tratta sicuramente di un azzardo ma è ovviamente assolutamente voluto. L’idea di comporre una canzone dal titolo “King of the Elves” nasce praticamente con la band stessa. Abbiamo sempre avuto l’idea di comporre un brano che rappresentasse la band nel nome stesso e che fosse di questa durata. A casa ho ancora alcuni quaderni in cui è indicata una scaletta ipotetica del nostro debut album, ancor prima che firmassimo un vero e proprio contratto, in cui è presente una song – che ovviamente all’epoca non esisteva – con questo titolo; e sempre è stata nostra idea quella di avere una durata simile. Ovviamente i nostri modelli di riferimento in questo senso sono sempre state canzoni come “Keeper of the Seven keys” o “Helloween” che pur durando 13 minuti sono veri e propri capolavori.
Ovviamente la collocazione di una song del genere all’inizio della tracklist è un ulteriore azzardo, ma abbiamo pensato che non avesse senso per noi seguire scelte commerciali “corrette” o meno. Ho sempre amato questo genere di musica proprio perché è sempre stata sinonimo di scelte fuori dal comune (almeno negli anni in cui l’ho vissuta io), quindi la nostra idea era mostrare fin dalle prime note quale fosse l’intenzione di questo album. Stupire, suonare in modo diverso da ciò che si sente oggi giorno e che dicono corrisponda agli ascolti del pubblico attuale ecc. Un vero e proprio manifesto di chi siamo.

Come siete arrivati a scrivere “King of Elves”? E’ una costruzione lineare o un aggregazione di più parti riadattate e quindi armonizzate? Da dove nasce l’idea di inserire in questo contesto la bravissima Amanda Somerville?

Ovviamente in una composizione di questa dimensione ed estensione risiedono parti che provengono da differenti sessioni di songwriting. L’enorme difficoltà del lavoro sta nel mettere insieme diverse parti, con diverse sensazioni, mood, strutture, tonalità in un’unica song senza che questa appaia come un mix di idee messe insieme casualmente e senza un filo conduttore. Esistono decine e decine di canzoni di lunga durata, ma non tutte funzionano a dovere senza annoiare o essere estremamente pesanti. Ovviamente il nostro tentativo è stato quello di creare una canzone che fosse di tredici minuti, ma che rimanesse una song vera e propria che si possa ascoltare con piacere, con una struttura che funzioni e che possa dare delle reali emozioni. Credo che, così come a detta di moltissimi, il risultato sia pienamente riuscito. Personalmente credo sia assolutamente una delle nostre migliori composizioni in assoluto.

Dodici minuti che sembrano due. A volte diffido dei brani lunghi perché falliscono nel mantenere viva l’attenzione per tutta la durata del brano. Questo non succede in “King of Elves”. Quale brano però dell’album è stato più difficile da completare? E quale il più veloce?

Sicuramente “King of the Elves” è stato in assoluto il brano della nostra discografia più difficile da comporre. Il più veloce ad essere stato completato è stato invece “Elvenlegions”, che è stato anche l’ultimo brano composto per l’album. Quando io e Damna ci siamo trovati a fare un punto sulla situazione delle song per il nuovo album ci siamo detti che tutto suonavo molto bene, ma forse mancava un “singolone” che avesse smaccatamente la funzione di una song creata per essere suonata live e cantata dalla folla. In una sera abbiamo buttato giù la song, e come anche in altri casi passati (ad esempio “The winter wake”) pur essendo stata composta in un tempo molto breve si è subito dimostrata una della song più “forti” dell’intero “The Pagan Manifesto”.

Una delle cose che mi colpisce dei rimanenti brani, oltre al livello qualitativo davvero alto, è la vostra attitudine a creare ritmi davvero ben definiti e vari donando ancora più profondità alla vostra musica. E’ un aspetto che mi pare più marcato rispetto al passato (vedi Pagan Revolution, The Solitaire, Moonbeam Stone Circle). Ti ritrovi? E’ anche dovuto all’ingresso di Symohn alla batteria?

Sicuramente l’ingresso di Symohn nella band ha aperto alla band infinite possibilità, così come l’arrivo di Jakob al basso. Posso affermare senza problemi che Symohn è sicuramente uno dei migliori batteristi in Italia e anche al di fuori dei confini nazionali. Con lui e Jakob on board al di là di avere un resa live totalmente diversa, le possibilità di songwriting per me e Damna si sono estese praticamente all’infinito. Il non avere limiti tecnici e sapere che qualsiasi parte pensata e scritta può essere suonata è uno stimolo immenso.

 

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Dal 2009 al 2012 avete rivoluzionato la line-up. A giudicare dal vostro ultimo album le cose vanno piuttosto bene tra di voi. E’ così? I nuovi componenti partecipano in qualche modo anche alla stesura dei brani?

Essere e convivere in una band è sempre come essere in un matrimonio, con tutti gli alti e i bassi che ne possano derivare nei rapporti personali tra i membri.  Io e Damna siamo i principali compositori della band fin dal primo giorno, ma quando gli altri ragazzi hanno delle idee che ritengono sufficientemente valide da proporre sono assolutamente liberi di farlo e noi valutiamo il materiale proposto esattamente come se fosse un nostro pezzo. La scelta finale va solo verso quello che è la cosa migliore per l’intera band.

La produzione credo sia un aspetto tra i più complessi nei vostri album. Nel precedente era vi eravate avvalsi del supporto di Nino Laurenne che aveva fatto un buon lavoro. Qui vi siete avvalsi di Simone Mularoni. Cosa ha portato questo cambio? E’ stato complicato immagino produrre “The Pagan Manifesto” …

Ci siamo sempre affidati a produttori stranieri nei nostri dischi, per lo meno per le fasi di mix e mastering, perché a nostro avviso in Italia non esisteva la mentalità giusta per lavorare a certi tipi di sound che cercavamo. Questa volta invece abbiamo voluto affidarci completamente alle mani di Simone Mularoni, per avere anche la possibilità di lavorare a stretto contatto con un produttore che ci seguisse passo dopo passo, anche nelle nostre idee più strane. Simone è un produttore che a mio avviso deve avere la possibilità di emergere a livello internazionale quanto prima; d’altra parte è anche famoso per avere un certo tipo di marchio di fabbrica nel suo sound ben definito e noi invece volevamo muoverci in una direzione diversa. Volevamo una produzione che fosse il più vicina possibile agli anni 90, ma con la potenza e l’impatto attuale. Quando gli abbiamo proposto come ascolti album come “Heading for tomorrow” dei Gamma Ray, per esempio, Simone è rimasto perplesso, ma ho cercato di spiegargli personalmente a lungo che quello che noi cercavamo era lo spirito di quelle produzioni, l’idea di base, il modo di suonare a far suonare gli strumenti. La sua risposta è stata: “è una cosa nuova che mi affascina. Proviamoci”. Credo che il risultato finale sia assolutamente ottimo.  “The Pagan Manifesto” ha la potenza tipica dei prodotti odierni ma ha uno spirito legato a molti anni fa, dove le produzioni a mio avviso avevano un’anima e uno spirito completamente diverso.

Se ben ricordo consideravate “Era” (2012) un manifesto, un disco che concentrava tutte le vostre peculiarità.  Trascorsi due anni “The Pagan Manifesto” come lo definireste rispetto al resto della vostra discografia?

Ovviamente il titolo stesso vuole rappresentare il nostro ultimo album come il vero manifesto della nostra musica attuale. ERA è stato un primo passo in quella direzione, un primo tentativo di rincontrare il nostro passato e le nostre origini. E’ stato un primo passo appunto e amiamo ancora quell’album, ma si può facilmente intuire come includa anche molte altre sfaccettature, per esempio derivanti dal sound di “Red Silent Tides”. “The pagan manifesto” è invece senza compromessi in questo senso, tenendo fermo il concetto che questa band non si è mai soffermata su di un unico sound, ma ha sperimentato e sempre lo farà.

Lo scorso anno siete stati di supporto a Gamma Ray e Rhapsody of Fire per alcune date in Italia ed In Europa.  Com’è stata quell’esperienza? Vi ha aperto nuove possibilità per futuri concerti o festival?

E’ stata una grande esperienza ovviamente. Avevamo già fatto il tour precedente insieme ai Rhapsody of Fire quindi ci conoscevamo già bene. Suonare poi con chi ti ha cambiato la vita introducendoti a questa passione –Kai Hansen ovviamente – è un’esperienza che da ragazzo, quando abbiamo imbracciato le chitarre e provato a suonare in una band, era semplicemente una grande immenso sogno.
Il nostro rapporto con i live è conflittuale. Ovviamente riceviamo ogni mese proposte per andare in tour di supporto a grosse band o a suonare ai festival ecc. Purtroppo la nostra condizione attuale non ce lo permette, quindi possiamo solo scegliere di fare alcune cose.

A che punto vi trovate della vostro cammino? Intendo dire che avete un ottima etichetta alle spalle, producete ottimi album, ma non basta ancora per avere un tour da headliner e per fare della vostra avventura un lavoro?

 

Come ti stavo accennando è una questione di scelte. Probabilmente il nostro tempo per fare queste cose è passato. Non abbiamo più la possibilità di poter scegliere di mollare tutto per prendere questa via. È una cosa naturale in una band. O lo fai in un certo modo, o scegli un’altra strada. Noi abbiamo dovuto sceglierne una diversa, e ogni giorno lottiamo per capire cosa possiamo realmente fare e non fare.

 

 

 

 

 Mentre sto scrivendo le domande avete già suonato a Pordenone per una data speciale. Potresti raccontarmi di cosa si tratta? E’ com’è andata?

Certo il 2 Maggio nella nostra città Pordenone abbiamo registrato un concerto speciale che è stato ripreso anche da molto videocamere per farne un prossimo DVD. Abbiamo sentito la necessità di voler mostrare anche a chi non può vederci (e spesso per colpa nostra perché pur richiesti molte volte, non abbiamo la possibilità di raggiungere alcuni posti, come per esempio il Sud America dove abbiamo moltissimi fans) di assistere ad un nostro live show. Adesso lavoreremo sull’editing e il montaggio delle immagini e spero che il LIVE DVD sia pronto quanto prima.  

Per chiudere mi piacerebbe sapere le solite cose. Quali i vostri piani per il futuro prossimo? Altre date? Un nuovo album?

Come ti dicevo ci concentreremo sui lavori sul nostro DVD. Abbiamo poi già idee chiare sul nostro prossimo lavoro discografico, che non sarà un nuovo album vero e proprio – ma ne parleremo approfonditamente appena ce ne sarà l’occasione. Inoltre la nostra scelta attuale è stata quella di ridurre notevolmente le nostre apparizioni live, soprattutto in Italia. Purtroppo la situazione sia di pubblico, sia di organizzazione, ci ha fatto capire che è tempo per noi per concentrarci su altre cose e soprattutto all’estero e sui grossi eventi. Per cui vedrete il nome ELVENKING molto più raramente sui palchi italiani da qui in avanti. Non perdetevi quindi le poche occasioni che ci saranno in futuro!

Elvenking vi ringrazio davvero tanto per il tempo che mi avete dedicato e spero davvero che le Elvenlegions diventino sempre più numerose nel prossimo futuro.

Grazie mille a tutti coloro che ancora supportano le band come la nostra e ci permettono di continuare per la nostra strada.
 

“We are the Monsters, the Tragedy Poets
Wanderers and we fight back
We’re as one with the sky
We are the Pagan Legions, sons of Mother Earth
Back to pagan roots
We light the fires of purity, minority
We are the Elvenlegions on the rise!
Legions on the rise!”
 

Elvenlegions, The Pagan Manifesto

 

 

MARCO GIONO