Figure of Six (Matteo)
Il loro disco è uscito un po’ di tempo fa, ma non per questo hanno smesso di essere interessanti: in questa intervista conosciamo un’interessantissima realtà emergente della Riviera Adriatica e dell’Italia intera per quanto riguarda il death metal, ossia i Figure Of Six, che oltre ad essere una band di talento e pure molto civile nei modi riescono pure a tirare fuori risposte interessantissime alle domande poste, dandoci uno spaccato quantomai vivo di quale sia la realtà italiana dell’underground, dei concerti e delle band emergenti nell’anno domini 2008. Enjoy.
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Ciao e benvenuti su truemetal! Cominciamo con un’argomento che non ha nulla a che vedere con la musica: la vostra band si caratterizza per la presenza di ragazze, ma non in formazione: ragazze sulla copertina del vostro CD, ragazze sul vostro sito… come mai questa scelta che in teoria sarebbe più consona ad una band Hard Rock che ad una Death Metal?
Le ragazze sul nostro sito non sono una trovata promozionale, quelle foto sono il frutto di un gioco che abbiamo fatto. Abbiamo
coinvolto le nostre amiche dicendo loro: “Fate una foto con la nostra maglietta, chi fa la più bella vince” e quello che vedete è il
risultato. Ma è stato solo un gioco. La ragazza in copertina ha invece un senso più profondo: se noti essa sta appoggiata ad un muro
traslucido che la separa da una realtà differente. Questo nelle nostre intenzioni vuole rendere il contrasto tra la purezza del bene ed
un mondo distorto dall’altra parte. Come vedi quindi le due cose non sono legate tra loro e nemmeno vogliono essere una facile trovata
promozionale.
Ciò nonostante oramai non ci si stupisce più di vedere belle ragazze accostate a bands death metal. Pure ai concerti oramai si assiste a
fenomeni di idolatria che un tempo erano propri di ambienti come il pop e bands come i Take That. Due esempi su tutti: Marcus Bishoff e
Oli Sykes, veri e propri sex symbols che spopolano tra le ragazzine. Come è potuto accadere? una cosa del genere non è un po’ in
contrasto con i testi tipici del Death Metal?
Penso di sì. Quando penso al metal penso alla Bay Area degli anni ’90 in cui non si vedevano certe cose. Comunque penso che le cose con
il passare del tempo si siano livellate ed ora certe differenze tra generi estremi e “leggieri” non esistono più. La cosa può essere
strana in effetti e vedere certe scene fa un po’ ridere: sono stato ad un concerto dei Bring Me The Horizon ed ho visto ragazzine che si
buttavano di là dalle transenne per cercare di raggiungerli urlando e strappandosi i capelli manco fossero state di fronte a qualcuno
dei Beatles. Roba da matti. A parte questo comunque credo che sia un bene che i generi si siano un po’ contaminati tra loro e che oggi
certi ambienti musicali non siano più obbligati a parlare necessariamente di una cosa e solo di quella, ma abbiano più libertà
espressiva.
Passiamo alla vostra band: ci puoi raccontare la storia della vostra ascesa al vostro contratto con Locomotive Records?
Comincio subito dicendo che quello Aion non è il nostro primo disco, come alcuni invece credono. In ogni caso quello precedente ad esso
è un album vecchio, uscito penso due anni fa e contenente canzoni vecchie che stavano su uno stile che abbiamo via via rimodellato mano
a mano che la nostra Line-Up definitiva andava formandosi. Abbiamo avuto molti cambiamenti dal punto di vista dei componenti e il
batterista che avevamo al tempo del nostro album passato proveniva da un ambiente diverso da quello metal e non c’era modo di fargli
fare certe cose. Con lo stabilizzarsi della Line-Up siamo riusciti a fare cose che, diciamo, ci piacevano di più, dopodichè abbiamo
deciso di prendere in mano tutto noi anche dal punto di vista gestionale, staccandoci da agenzie italiane e quant’altro, registrando
l’album qui a Ravenna e facendo la post-produzione in danimarca, dopodichè abbiamo cominciato a spedire il disco dappertutto fino a che
non abbiamo trovato dapprima un partner distributivo e poi anche l’etichetta. Devo dire che Locomotive records, al contrario di altre
case discografiche che ci hanno dato non pochi problemi, è stata davvero sorprendente: in una sola settimana ha ascoltato il nostro
album e ci ha ricontattato proponendoci il contratto.
Puoi raccontarci qualcosa sui problemi che avete avuto prima della firma del contratto?
Diciamo che un’etichetta ci ha detto che l’album era bello, ma non micidiale e questo ci sta. Con un’altra invece siamo stati
sfortunati in quanto, dopo un primo contatto che era andato molto bene, si è verificato un terremoto societario con cambio totale della
dirigenza. I nuovi vertici probabilmente avevano idee diverse dai precedenti e ci hanno comunicato che dovevamo rimanere in attesa per
altri cinque o sei mesi, cosa che non eravamo disposti a fare, quindi ci siamo rivolti altrove. In ogni caso siamo rimasti in contatto
con questa etichetta per un’eventuale collaborazione al prossimo album.
I problemi che avete avuto con le altre etichette sono erano legati al fatto che siete una band italiana? Mi è capitato di parlare con
altri musicisti che recentemente hanno ottenuto un contratto discografico, ossia i The Modern Age Slavery, i quali mi hanno raccontato
che appartenere al nostro paese non è un buon biglietto da visita con le labels straniere, oggi esattamente come anni fa.
Potrebbe essere. Diciamo che noi ci siamo giovati del fatto che avevamo una collaborazione con un’agenzia di publishing, la Radar, la
qual cosa ci ha dato credibilità, ma penso che le labels straniere sappiano che per noi italiani è più difficile trovare gli agganci per
fare tour europei ed abbiamo un mercato interno forse un po’ più povero e quindi a parità di valore artistico un gruppo del nostro paese
dà meno rientro economico. Magari le etichette preferiscono investire in posti dove la scena interna è più sviluppata, i promoter fanno
meno problemi e c’è modo di effettuare un’adeguata promozione per le nuove uscite. In ogni caso le cose stanno cambiando credo, come ti
ho detto Locomotive ci ha dato fiducia senza tergiversare e poi noi in Germania siamo entrati subito in classifica, per quanto riguarda
le vendite, e questo vuol dire che il pubblico si fida.
Il metalcore è senza mezzi termini la moda del momento. In Italia questa tendenza è arrivata un po’ più tardi rispetto all’estero, ma
oramai anche qui siamo in una situazione di saturazione. Cosa pensate di avere voi più degli altri per emergere?
Guarda, secondo me è solo un’illusione il fatto che stiano uscendo tante band metalcore oggi come oggi. Credo che siano le case
discografiche ad etichettare tutto come metalcore in quanto sanno che è una parola che fa tendenza ed aiuta le vendite, ma dentro a
questa categoria ci buttano anche gruppi che c’entrano poco o niente ed io credo che i Figure of Six siano uno di questi. E’ vero,
suoniamo pesanti e melodici, ma per quanto mi riguarda i miei gruppi di riferimento sono quelli thrash anni ’90 ed il disco più
rappresentativo delle mie influenze è Demanufacture dei Fear Factory. Io non mi sono mai sentito come un musicista influenzato dalla
scena metalcore, ma faccio parte di un gruppo che unisce parti melodiche a parti urlate e quindi devo sopportare questa etichetta. Poi
ok, sono convinto anche io che alcune nostre canzoni siano classificabili all’interno di questo genere, ma altre davvero, non c’entrano
proprio niente.
Come fa una band come la vostra a trovare le date? L’avere un disco edito da un’etichetta costituisce un salto di qualità o le cose,
almeno in un primo momento, rimangono sempre le stesse?
Diciamo che avere un distributore ed un disco fuori per un’etichetta fa curriculum, nel senso che diventa più facile vendere il proprio
prodotto, ma che ci siano stati cambiamenti sostanziali rispetto a quando avevamo solamente la demo con cui promuoverci no, questo non
posso dirlo. Adesso ci siamo affidati ad un’agenzia di booking per quanto riguarda le date e quindi, avendo un contratto in esclusiva,
lasciamo fare a loro. Alle volte avresti voglia di impegnarti molto di più di quello che già fai per trovare i concerti, ma sai che non
puoi perché sono loro ad avere questo compito ed i locali non possono avere due interlocutori. Alle volte ci sono bands di nostri amici
che ci chiedono di partecipare ai loro concerti, di fare scambi di date e noi ci troviamo costretti a rifiutare, ma non è che siamo
spocchiosi, elitari o ce la tiriamo, semplicemente siamo vincolati ad un contratto e dobbiamo rispettarlo.
Una domanda provocatoria per concludere: siamo in anni un po’ ipocriti in cui oramai tutti i musicisti, chi più chi meno, utilizzano gli
aiutini digitali per migliorare le loro prestazioni da studio (trigger, autotune, editing in post-produzione, strumenti programmati in
midi e non suonati per davvero…), il fatto è che poi molti si rifiutano di ammetterlo in quanto forse un po’ si vergognano, ma
soprattutto perchè l’ascoltatore medio di oggi vuole ancora crogiolarsi nell’illusione che quello che sente sia stato tutto suonato per
davvero e probabilmente sparlerebbe di loro, se sapesse che fanno ricorso a strumenti del genere. Voi che ne pensate di questo? Avete
mai usato strumenti “illeciti” per migliorare il vostro suono su disco?
L’importante secondo me è che tutto quello che tu suoni in studio sia poi in grado di riprodurlo anche dal vivo. Tomas Haake ad esempio
registra con la drum machine, ma poi quando è sul palco non si trova certo in difficoltà. Il fatto è che su disco deve essere tutto
ineccepibile, il gruppo deve presentarsi nel miglior modo possibile e quindi è lecito ed anche dovuto il fare, rifare ed editare le
tracce fino a che non sono perfette, anche perchè oramai non è nemmeno più una cosa che il musicista può scegliere: i produttori ed i
fonici ti fanno ripetere l’esecuzione fino a che non sono completamente soddisfatti, che tu lo voglia o no. Quando abbiamo portato il
nostro disco a far mixare abbiamo ricevuto i complimenti del tecnico e questo perché le nostre tracce erano quanto di meglio era
umanamente possibile ottenere, risultato raggiunto suonandoci a casa i pezzi per decine e decine di volte in modo da arrivare in studio
preparati. Non per questo però abbiamo poi rinunciato a mettere a posto delle cose, a tagliare i risuoni delle chitarre eccetera, ma
quelle non sono cose su cui hai il controllo mentre registri, le puoi correggere solo in post-produzione. Ti dico questa per dimostrarti
che non mentiamo: quando eravamo in studio a registrare le batterie per AION successe che il sistema computerizzato saltò totalmente al
terzo giorno di riprese; il nostro batterista si ritrovò costretto a rifare tutto da capo in un solo giorno, in quanto era l’ultimo che
avevamo a disposizione e ha risuonato tutto senza commettere errori. Poi tu ascoltatore non ti fidi ancora? Perfetto, basta che vieni a
vederci dal vivo e vedrai che quello che c’è su disco noi lo facciamo tutto.
Giungiamo dunque alla fine di una delle interviste più corpose ed interessanti che mi sia mai capitato di effettuare, un’intervista che mette in mostra una band capace di fare delle scelte e sostenerle con coerenza, senza per questo risultare saccente o pedante. Alla prossima su questi schermi dunque, si spera con un nuovo full length da discutere.