Fratucelli’s Project: Rainbow Tribute – 27 maggio 2006
Finalmente stasera mi potrò godere il concerto che io e tanti altri inguaribili fans dei mitici Rainbow stiamo aspettando da più di un anno. Sarà di scena, infatti, il Fratucelli’s Project, messo in pista un decennio or sono dal nostro famoso Ritchie Blackmore tricolore (all’anagrafe: Fabrizio Fratucelli). Qualche anno fa il Project ha partorito l’ottimo CD “Rainbow Eyes”, che tanto successo ha riscosso tra le schiere di appassionati, al punto che tutte le copie sono andate a ruba in pochi mesi e ora si sta parlando di una ristampa.
Impegnato nella ricerca della località come un vecchio segugio, a bordo della mia lenta ma fedele automobile (quasi d’epoca) alimentata a metano, penso che – dopo tanti chilometri (ben 250.000) sulla via del Rock – forse è giunto il momento di dotare la mia Opel Ascona anno 1988 di un bel navigatore satellitare; il che mi farebbe sicuramente risparmiare qualche colpo di forcone, nell’aldilà, a causa delle mie continue imprecazioni che inevitabilmente si levano al cielo allorché (ahimè, di frequente) perdo l’orientamento come Teseo nel labirinto del Minotauro.
Dopo alcune tortuose peripezie in un dedalo di rotonde, il mio istinto mi suggerisce di accodarmi a un paio di chopper (è l’abbigliamento borchiato dei centauri a rivelarmi la loro probabile destinazione) e in tal modo riesco, finalmente, a guadagnare l’entrata del Favre, originalissimo locale dall’arredamento inconsueto, all’insegna del ruggente mondo a due ruote. E così, tra manubri appesi alle pareti, marmitte cromate e serbatoi sospesi al soffitto, mi procuro un boccale di birra fresca e scambio due chiacchiere con simpatici bikers e rockettari, venuti da lontano appositamente per godersi questo show.
Di lì a poco la sala si riempie e, verso le 23.00, la band fa la sua apparizione sul palco:
– FABRIZIO FRATUCELLI: CHITARRA
– PIERO LEPORALE: VOCE
– ROBERTO CASSETTA: BASSO
– MIRKO MELIS: TASTIERE
– ALBERTO FRATUCELLI: BATTERIA
Si parte con l’inconfondibile introduzione di OVER THE RAINBOW: la mente corre istintivamente al 1977, anno in cui venne realizzato l’indimenticabile video del concerto di Monaco. Che tempi, che emozione! E quindi si attacca con la grintosa KILL THE KING. L’inizio si presenta più che appetitoso e il pubblico, entusiasta, si spella le mani, dimostrando il proprio istintivo gradimento. Siamo pienamente immersi nella tipica atmosfera “Seventies” e Fabrizio appare già ispiratissimo. I suoni sono puliti, il volume è forte al punto giusto, da entrarti dritto dritto nelle vene. Si prosegue con un altro luccicante e inestimabile gioiello del passato quale MAN ON THE SILVER MOUNTAIN: i primi riff mi procurano un brivido di piacere: sono salito a bordo della macchina del tempo e ci voglio restare per almeno un paio d’ore!
16TH CENTURY GREENSLEEVES (eseguita con slancio ed energia) mi fa andare letteralmente in estasi, lo confesso: per me, irriducibile Dio-fan sin da quando, negli anni 70, venne formata la migliore rock band di tutti i tempi, è un godimento farsi cullare nei ricordi in un’atmosfera da sogno che Fratucelli & C. sanno creare alla perfezione, per la gioia di tutti gli appassionati.
L’epica e monumentale STARGAZER mi procura inarrestabili brividi, che mi conducono lontano nello spazio e nel tempo: già con le prime incisive note dell’intro, sapientemente dosate dal synth di Mirko, si materializzano le immagini epiche di questo brano, che giudico un vero capolavoro sia sotto il profilo della musica, sia dal punto di vista delle liriche. Mi è sinceramente difficile descrivere le sensazioni che una canzone di tale intensità mi suscita a ogni ascolto… In questo caso, non posso che ringraziare il quintetto per la formidabile resa di questa pagina di storia!
Ora la macchina del tempo, con una brusca accelerata, ci trasporta all’epoca (più recente) di ALL NIGHT LONG e di SINCE YOU’VE BEEN GONE, due brani di natura forse un po’ commerciale, comunque eseguiti con vigore e compattezza, per poi ritornare agli inizi con STILL I’M SAD, dominata da imperiosi stacchi e improvvisi cambi di ritmo, oltre che dalla voce di un Piero in straordinaria forma.
Con la successiva TEMPLE OF THE KING il coinvolgente vocalist invita tutta la platea a cantare il ritornello: non ci facciamo certo pregare e ci lasciamo trascinare nella magia di questa splendida canzone, in cui momenti profondamente poetici, conditi da dolci melodie, si alternano a episodi di pura energia e potenza, con quella possente voce della Stratocaster che si leva altissima a tracciare trame di ispirazione barocca, con quegli assoli così impressionanti in termini di intensità e pathos…
Mi risulta alquanto arduo trovare le parole per descrivere le peculiari caratteristiche di Fratucelli, non solo per le sue doti tecniche (rilevabili, queste, con una certa immediatezza persino dai meno esperti), ma anche per il gusto con il quale, sapientemente, arricchisce l’esecuzione di questi storici brani. Evidentemente gli anni dedicati allo studio e alla scrupolosa ricerca del suono giusto hanno dato i loro frutti. Infatti è soprattutto il sound a stupire: quei suoni che Fabrizio riesce a estrarre dal suo fedele Marshall sono letteralmente straordinari, direi magici per ciò che riescono a evocare! Chi ha avuto l’occasione di essere presente a un’esibizione del Man in Black nazionale sa bene cosa intendo. La timbrica che si sprigiona dal suo ampli è quanto di più “Blackmore oriented” si possa trovare sulla scena, grazie anche alle non comuni capacità del nostro guitar – hero: ricordo che, un giorno, un famoso chitarrista mi rivelò: “le note devi averle nelle dita!” Forse proprio qui sta il segreto, o meglio ciò che distingue un buon musicista da un vero artista.
Con la successiva DO YOU CLOSE YOUR EYES si resta nell’epoca gloriosa dell’irripetibile binomio Dio/Blackmore, che ha indubbiamente rappresentato il massimo della creatività nel suo genere: trovo che in questa canzone la sezione ritmica si esprima al meglio, con un Alberto Fratucelli particolarmente gasato e pimpante, tonico e piacevolmente versatile nel suo tosto e incessante timing. Roberto Cassetta, dal canto suo, è affidabile e regolare come sempre, del tutto a proprio agio nel suo simpatico e anacronistico abbigliamento “anni 70” (credo che sia la sua seconda pelle).
ARIEL (dall’album “Stranger in us all”, ultimo prodotto di stampo Hard Rock di Ritchie, prima della sua definitiva conversione ad altro genere musicale, per lo sconforto di “integralisti” e “purpleiani”) mette in mostra l’ottima coesione della band, che riesce a ricreare quella singolare atmosfera fantastica e tipicamente orientaleggiante: è da sottolineare l’assolo di chitarra, di forte impatto emotivo, perla memorabile di questa canzone così ricca e articolata.
Le frizzanti CAN’T HAPPEN HERE e MISS MISTREATED ci regalano un gradito flash dell’era Joe Lynn Turner, ma poi si ritorna al mito con l’indimenticabile GATES OF BABYLON, che mi trasmette emozioni impossibili da raccontare, considerata la mia viscerale devozione al più grande vocalist della storia. Piero gli rende onore e gloria con una performance degna di considerazione. Ho sempre affermato che solo R. J. Dio è in grado di cantare le proprie canzoni: si pensi ai numerosi tributi (intesi come prodotti discografici) del mondo Hard Rock e Metal nei confronti della più grande voce di tutti i tempi, che, seppure meritevoli, risultano in verità troppo distanti rispetto al modello originale. Nel caso di Piero, tuttavia, devo riconoscere che, sebbene si cimenti in prove così ardue (si tenga presente che le tonalità sono le stesse), la sua prestazione risulta sempre eccellente.
Con la strumentale DIFFICULT TO CURE (la famosissima “9a Sinfonia” di Ludwig Van Beethoven, che Blackmore seppe tradurre ad arte in versione rock) il coinvolgimento è totale: l’interpretazione di Fabrizio è semplicemente perfetta, per i contenuti tecnici e artistici e viene, giustamente, celebrata con un’ovazione finale da parte di tutto il pubblico; qualcuno non riesce a trattenersi e incomincia a saltare sul tavolo (per fortuna i boccali di birra presenti sono già stati debitamente svuotati), spellandosi le mani in un lungo applauso.
Si prosegue nel segno di una continua alternanza tra passato remoto e passato prossimo, dalla pirotecnica I SURRENDER (nella quale Piero non fa minimamente rimpiangere J.L. Turner, nonostante le notevoli difficoltà di esecuzione per i comuni mortali) all’incalzante DEATH ALLEY DRIVER, attraverso l’inno per eccellenza di tutti i rockettari, LONG LIVE ROCK AND ROLL, per finire con l’esplosiva SPOTLIGHT KID, caratterizzata da un vertiginoso e lancinante assolo di chitarra che, come una scimitarra, taglia la faccia di quelli delle prime file.
Non manca, tuttavia, un momento di estrema dolcezza, rispetto alle parti più heavy della setlist: si tratta della commovente RAINBOW EYES, in versione acustica, con gli arpeggi della Fender che fanno da contrappunto alla struggente melodia del cantato; nella parte finale la voce, miracolosamente, riesce a trasformarsi nel mistico suono di un flauto e tutti gli spettatori sono ammaliati da questa meravigliosa fusione tra le corde della chitarra e le magiche corde vocali di Piero. Semplicemente fantastico!
Al termine di questo concerto non si può non essere soddisfatti per avere vissuto sensazioni antiche di anni, tanto lontane nel tempo, quanto indelebilmente fissate nella memoria dell’anima. So di avere condiviso con i fortunati presenti una serata memorabile e spero che si ripresenti presto un’altra occasione, visto che per noi irriducibili fedelissimi dell’Arcobaleno non sussistono, di fatto, molte possibilità di gustare uno show come questo, capace di riportare in vita momenti gloriosi di storia.
Grazie infinite al Project di Fratucelli, dunque: come direbbe R. J. D.: you’re a Rainbow in the dark!!!
E naturalmente… Long live rock and roll, forever and ever…!
Marcello Catozzi