From The Depths – L’occhio di TM sull’underground – #01/2013

Di Stefano Burini - 4 Luglio 2013 - 10:00
From The Depths – L’occhio di TM sull’underground – #01/2013

L’occhio di TrueMetal.it sull’Underground – # 01/2013
 

Nuovo numero per la nostra rubrica sull’underground italiano. Qui, e nelle prossime edizioni, troverete informazioni sui demo che ci arrivano in redazione, da sommare alle recensioni dei demo migliori, che continueremo a pubblicare nell’apposita sezione.

Ricordiamo che i sample di tutte le band sono disponibili sulle relative pagine MySpace, segnalate a lato della recensione.

Buona scoperta!

Indice aggiornato della rubrica
 

 

Kissology
Alive 51
2012, Underground Symphony
Hard Rock
Myspace Ufficiale

Tracklist:

01. Detroit Rock City
02. Deuce
03. Heaven’s On Fire
04. I Stole Your Love
05. Schock Me
06. Lick It Up
07. Nothin’ to Lose
08. I Was Made For Lovin’ You
09. I Love it Loud
10. Modern Day Delilah
11. War Machine
12. Love Gun
13. Rock’n’Roll all Nite

I Kissology provengono dalle parti di Genova e, come il nome fa presagire, sono una band tributo dei Kiss. Per presentarsi al mondo e per urlare ad esso in maniera indubitabile la propria passione per il leggendario four-piece statunitense, questi ragazzi liguri hanno scelto la strada del live album. Il full-length s’intitola Alive 51, è rilasciato dall’etichetta Underground Symphony, ed immortala un concerto registrato preso l’Area 51 di Vignole Borbera. Qualcuno potrebbe chiedersi che significato abbia un album live di una tribute-band, ed in questo caso le risposte potrebbero essere due: da un lato, confezionare un biglietto da visita per la propria band, al fine di dimostrare la propria perizia nell’esercizio delle funzioni di tributo ai Kiss; dall’altro, estrinsecare con gioia la propria specifica entusiastica passione per tale band. Alive 51 centra entrambi i bersagli, dimostrando, tanto per cominciare, di saper riproporre con abilità canzoni pescate in lungo ed in largo nel repertorio del “Bacio” (dalle travolgenti Detroit Rock City, Heaven’s on Fire, I Stole Your Love e Rock’n’Roll all Nite, alla recente Modern Day Delilah, dalla decisa ed orgogliosa I Love it Loud alle grintose e sguaiate quanto basta Lick It Up e Shock Me). D’altro canto, la vocazione al puro “fun”, la grinta e l’entusiasmo dei Kissology traspaiono senza dubbio anche dalla cura messa anche nella confezione del CD, vivace, accurata e colorata come il look dei protagonisti dello stesso. Viste le premesse incoraggianti che traspaiono da Alive 51, aspettiamo adesso con fiducia i Kissology al varco di un eventuale proposta di canzoni originali.

Francesco “BurningHeart” Maraglino

 

Sidhe
She Is A Witch
2012, Autoprodotto
Gothic/Pagan
Sito Ufficiale

Tracklist:

01. The Wheel of the Year
02. Goddess Song
03. L’Incantesimo
04. She Is a Witch
05. Il Vangelo di Aradia
06. In the Twilight
07. Witchcraft Way
08. Superstition

Il “Popolo Fatato” (questo il significato del termine gaelico Sidhe) nasce per volere dei fondatori Rob e Tytanja. L’intenzione è quella di veicolare attraverso la musica le tematiche e i concetti a loro più cari, fornitigli dal paganesimo e dalla fede Wicca. Tutti i testi, infatti, fanno chiaro ed esplicito riferimento a rituali o invocazioni, nonchè presentano spesso citazioni letterarie dai principali testi della religione Wicca.
Musicalmente la proposta è piuttosto variegata, tanto da saltare tra generi quasi agli antipodi tra loro da una canzone all’altra. Se, infatti, è la voce di Tytanja quella che potremmo definire l’unica costante del disco, tra l’altro sempre a proprio agio, indipendentemente dal registro richiestole: da quello più melodico a quello più aggressivo, lo stesso non si può dire per gli strumenti. A quella che appare come una base rock che spesso sconfina nel classic metal, si sovrappongono di volta in volta ritmiche al limite del doom o melodie genuinamente gothic.
Non si tratta di un album semplice per evidente scelta del gruppo. Ogni canzone richiede tempo per essere assimilata, capita, interiorizzata. I riff che potremmo definire easy-listening si contano sulle dita di una mano, proprio perchè i Sidhe vogliono che l’ascoltatore si fermi ad ascoltare e non si limiti a percepire. Va in questa direzione anche la scelta dell’uso dell’italiano su molte tracce, decisione che potrà essere invisa da alcuni perchè toglie un po’ di musicalità e melodia alle tracce, ma che contribuisce ai propositi della band appena enunciati.
L’autoproduzione, in questo caso, portà con sé sia lati positivi che negativi. Da una parte, infatti, la maggior libertà permette ai membri del gruppo di suonare esattamente quello che vogliono e come vogliono, spingendosi fino alla realizzazione di un lodevolissimo packaging integralmente eco-sostenibile per rispettare in tutto e per tutto la nostra madre terra. Dall’altra l’assenza di una produzione professionale si fa sentire in un disco che avrebbe potuto suonare sicuramente molto meglio (il basso è lo strumento sicuramente più penalizzato) e mettere ancora più in risalto le composizioni dei Sidhe.
La strada, quindi, è quella giusta, speriamo solo che qualcuno decida di credere in loro.

Alessandro “Engash Krul” Calvi

 

Mesrine/Sposa In Alto Mare
Grinders [EP]
2012, Grindfather Productions
Grindcore

Pagina Facebook Mesrine
Pagina Facebook Sposa in Alto Mare
Email Mesrine
Email Sposa In Alto Mare


Tracklist:

(Mesrine)
01. Le Clan Pouliot
02. Grim Sleeper
03. Harold Camping
04. Civilized Barbarians
05. Hidden Thoughts
06. Dirt & Dust
07. Deadly Sinner (Bonus Track)

(Sposa In Alto Mare)
08. Una Corsa Di Un Cow-Boy
09. Questa È Una Canzone Con Un Testo Corto
10. La Ricetta del Kiwi
11. Black Metal Latin Lover
12. Inno dell’Heavy Metal e dell’Hard Rock
13. Kurose (Agathocles Cover)
14. Nucleare (Calimero version)
15. Smetanito
16. Up Your Fucking Arse (Malignant Tumour cover)
17. Invocazione Di Sheovan (featuring Il Mago Gabriel)

 

Solo cinquecentocinquanta copie (Grindfather Productions) per questo split-LP fra i canadesi Mesrine e i nostrani Sposa In Alto Mare. Una chicca per collezionisti, che tuttavia ha tutte le carte in regola per non sfigurare anche come manifesto di due band dal buono stato di forma. I quebecchesi, d’altronde, non sono certo i primi venuti giacché sono attivi dal 1997 con alle spalle una sterminata produzione discografica comprendente un EP, una compilation, due demo, quattro full-length e ventisette (sic!) split. Logico, quindi, che le sette tracce da essi proposte siano adulte e mature, tali da identificare un violentissimo grindcore che pesca le sue idee spingendosi ai primordi del genere stesso. Molto hardcore, quindi, anche se l’incrocio con il death metal è robusto, soprattutto nei zanzarosi riff di chitarra e nei furibondi blast-beats che movimentano costantemente i vari brani. Non essendoci alcuna contaminazione tipo jazz o simile, così come va abbastanza di moda adesso, i Mesrine lasciano correre con scioltezza e brutalità la loro musica, non proponendo nulla di originale badando bene, però, a pestare duro come dei fabbri. Assai più scanzonata e ironica, al contrario, l’esibizione degli Sposa In Alto Mare. Pure loro dotati di grande produttività (dal 2006, un album e sei split), affrontano il grindcore con la dovuta veemenza, infilando tuttavia un po’ di tutto, nei dieci pezzi a loro carico. Folk western, ambient, rock’n’roll, hardcore, heavy metal, voci e imprecazioni trafiggono il sound dei Nostri come un tacchino, movimentando tantissimo una realizzazione altrimenti rigida e ortodossa. Ovviamente, quando c’è da accelerare il ritmo e pestare sugli strumenti, non ci sono indecisioni di sorta; con che la proposta dei tre figuri si può affermare sia godibile, divertente e… possente come un maglio che picchia su un’incudine. I vincitori di “Grinders”, insomma!  

Daniele “dani66” D’Adamo

 

The Beyond
Decaying Death
2013, Autoprodotto
Death
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Tracklist:

01. Decaying Death
02. Crime And Punishment
03. Tortured ‘Till Redemption
04. Mass Lobotomy

Nonostante si siano formati nel 2011, e quindi siano… nuovi, i The Beyond hanno come filosofia fondante la volontà di riprodurre con la massima fedeltà possibile le sonorità death degli anni ’90. Old school death metal allo stato cristallino, insomma. In ciò, dimostrando una passione assoluta e una cura dei dettagli che fa onore a questo dischetto. Artwork, testi e informazioni varie, per esempio, ci sono tutti, nello jewel case. Ma, fatto più importante, anche il suono, c’è. Un gustoso flavour analogico contrassegna le quattro tracce a disposizione di chi ascolta, rendendo pressoché perfetta la trasposizione, nel 2013, le sonorità che hanno reso leggendarie band quali Morbid Angel, Napalm Death, Obituary e Autopsy. Come ci si poteva facilmente aspettare non è l’originalità la peculiarità di “Decaying Death” (debutto discografico dei Nostri): soggetto grafico, tematiche affrontate e stile sono quelle da enciclopedia del death metal alla voce ‘ortodossia’. Del resto, l’ensemble stesso specifica questa scelta ‘progettuale’, per cui quanto sopra non si può inquadrare come un difetto. Anzi, per gli appassionati del genere non può che essere una peculiarità, saporita, da assaporare a occhi chiusi. Rilevata la bravura di Michel e compagni nell’avere saputo trasmettere, con tecnica più che sufficiente, l’anima di David Vincent e John Tardy in “Decaying Death”, non resta che rimanere in attesa del primo lavoro di lunga durata, quindi.  

Daniele “dani66” D’Adamo

 

Necrosy
Necrosy [EP]
2013, Autoprodotto
Death
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Tracklist:

01. No Solution
02. Buried Inside Your Mental Walls
03. Ascending Mourning
04. Abstract Vortex
 

Territorio di caccia del black metal, quello delle one-man band – a volte – accoglie anche progetti diversi come quello in esame, più spostato verso il death. Pure se, ascoltando a fondo le quattro tracce che compongono “Necrosy” dell’omonimo progetto ideato da Christian Giusto, le digressioni dall’ortodossia del genere sono parecchie e così tante che, alla fine, appare riduttivo riferirsi a una sola tipologia musicale per tentare di catalogare l’EP. Tutte, però, convergenti nello stile voluto dal Nostro, che fonda le proprie radici nel concetto di necrosi, e delle visionarie ramificazioni che tale patologia genera nella mente. L’umore che permea “Necrosy” è cupo, tetro, sferzato da improvvise accelerazioni e subitanei affondamenti nel baratro della depressione (“Buried Inside Your Mental Walls”). L’ottimo sound del lavoro, dovuto al fatto che Giusto suoni tutti gli strumenti senza avvalersi di surrogati digitali e, non ultimo, al fatto che il lavoro stesso sia stato registrato, missato e masterizzato ai 16th Cellar Studio di Roma (Fleshgod Apocalypse, Hour Of Penance), assieme alla veste professionale dello jewel case (artwork, testi, ecc.), sono forieri di un futuro ricco di speranza, per il talento e le idee del mastermind veneto. Tenuto conto inoltre che, dopo la pubblicazione di “Necrosy” avvenuta nel gennaio di quest’anno, sono entrati a far parte della (ora) formazione i chitarristi Dario Bassi e Denis Tonetto. 

Daniele “dani66” D’Adamo

 

Violent Sun
Traces [EP]
2012, Autoprodotto
Death
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Tracklist:

01. The Dreamer
02. In Traces Embodied
03. Stains Of Fervency
 

Con il novello “Traces” i toscani Violent Sun fanno il paio con l’altro EP autoprodotto, “Under A Violent Sun”, uscito nel 2011. Benché si tratti anche in questo caso di un CD promozionale, l’ottima produzione e l’altrettanto azzeccata accoppiata registrazione/missaggio (di Marco Saloni presso i MIB Studios di Siena) regalano al dischetto un buon suono, pieno e carnoso. Il quale si adatta perfettamente allo stile proposto dal combo di Monteriggioni, cioè un death metal melodico abbastanza ricco di odori e colori dal chiaro, anzi oscuro, sapore di gothic. Sebbene la proposta dei Nostri sia allineata ai mood contemporanei in materia, il richiamo non può che andare ai Paradise Lost di “Icon” (1993) anche se, soprattutto in “Stains Of Fervency”, appare più evidente una spiccata tendenza alla malinconia. Un sentimento evidenziato con efficacia dal disegno di copertina, mesto e tetro, raffigurante le tenui figure dei due musicisti principali della band: Mario “Veles” Di Ceglie (chitarra e voce) e Riccardo “Noreh” Calanca (batteria). I quali, con una certa facilità, inquadrano con precisione il proprio stile, già pronto – a parere di chi scrive – al ‘grande salto’, cioè a debuttare per conto di una label ufficiale. Resta, invero, da sviluppare con maggior decisione nella stesura delle canzoni, al momento discrete ma non buone in virtù di un déjà vu che mina alla base l’originalità delle canzoni stesse. Un vizio cui si può porre rimedio, poiché lo ‘zoccolo duro’ dei Violent Sun non è affatto male e merita, senz’altro, l’onore di una chance. 

Daniele “dani66” D’Adamo

 

Dead Summer Society
Visions from a Thousand Lives
2012, Autoprodotto
Gothic/Black
Myspace Ufficiale
Email

Tracklist:

01. Explicit
02. I Met You in Heaven and Hell
03. Shadow I Bear
04. The King’s Alone
05. Down On You
06. Her White Body, from the Coldest Winter
07. Last Winter I Died
08. The Way
09. Within Your Scars
10. Unreal
11. I Fade
12. Army Of Winter (March of the Thousand Voices)

Progetto solista di Mist, chitarrista degli How Like a Winter, i Dead Summer Society sfornano un nuovo lavoro, questa volta con l’ambizione di essere un vero e proprio album autoprodotto di ben 12 tracce. Al contrario dei precedenti demo del gruppo, esclusivamente strumentali, inoltre, fanno la loro comparsa anche le voci, per le quali si son rese necessarie le partecipazioni di Trismegisto (Cult of Vampyrism e Teeth of Thorns), Federica Fazio e Claudia Maria Luisa Murella. L’impegno è notevole, visto lo sforzo compositivo e produttivo. Purtroppo il risultato finale non sembra esserne totalmente all’altezza. Le dodici tracce di “Visions from a Thousand Lives” presentano tantissime idee e influenze, a tratti pure troppe perchè non si riesce quasi a fare l’orecchio a certe sonorità o a certe soluzioni, che già lo stile cambia, l’umore muta, i tempi vengono spezzati e ricostruiti. Se in alcune occasioni questo modo di comporre può funzionare, alla lunga, ripetuto per tutta la durata del disco, diventa fastidioso perchè spezzetta fin troppo l’ascolto. Le idee, quindi, ci sono, così come la capacità di scrivere bella musica, con un po’ più di esperienza si riuscirà sicuramente a limare i problemi, e la voglia di stupire a tutti i costi, per mettere le doti sopra enunciate al solo servizio della musica e dell’ascoltatore. Un piccolo appunto, doveroso, è anche sulla scelta delle vocalist. Claudia Maria Luisa Murella ha una voce molto calda ed espressiva, ma dovrebbe decisamente migliorare la pronuncia in inglese, dato che il suo accento siciliano si percepisce anche quando canta in un’altra lingua, e a maggior ragione quando recita i versi in italiano su “Shadow I Bear”. Purtroppo piccoli particolari come questi rischiano di squalificare (soprattutto all’estero) un prodotto altrimenti molto valido.

Alessandro “Engash Krul” Calvi

 

Dryades
De Contemptu Mundi
2012, Autoprodotto
Folk/Medieval metal
MySpace
Email

Tracklist:

01. De Contemptu Mundi
02. Eras Quan Vey Verdeyar
03. Venite A La Dansa
04. Ja Nuns Hons Pris

Appena nati e già i Dryades, band di Milano nata nel 2011, si cimentano con un primo demo composto di quattro tracce.
I presupposti sembrano essere dei migliori. A comporre il gruppo, infatti, ci sono musicisti che hanno già qualche anno di esperienza alle spalle, seppur in band che proponevano generi differenti dal folk-medieval metal. La base per le tracce, poi, è una interessante opera di scavo e riscoperta di diversi componimenti di trovatori e compositori medievali. Insomma, una riproposta in chiave metal di alcuni pezzi con un certo valore storico-culturale.
Purtroppo il risultato finale non è all’altezza delle aspettative. Le quattro canzoni, infatti, suonano fin troppo simili tra loro, sia nel cantato che negli arrangiamenti. Se non si presta particolare attenzione si rischia, quasi, di scambiare un pezzo per l’altro. L’effetto, quindi, più che di uniformità stilistica (che naturalmente ci vuole, ma fino a un certo punto) è di appiattimento della proposta musicale. Forse persino qualche maggiore alto o basso nella qualità avrebbe potuto dare un po’ più di ritmo alla tracklist che così, invece, risulta addirittura monotona.
Al di là del risultato non eclatante, c’è da dire che i Dryades san sicuramente suonare e arrangiare i pezzi. Quello che gli manca, forse, è qualche spunto più personale per caratterizzare maggiormente i brani e qualche idea originale in più per differenziarli l’uno dall’altro. Siam, però, certi che, poco a poco, verranno anche questi.

Alessandro “Engash Krul” Calvi

 

Lovemongers
The Third Half
2012, Autoprodotto
Hard Rock
Myspace Ufficiale

Tracklist:

01. Swallove

02. Tsunami Surfer
03. Latin Lover Is Over
04. Closing Curtains
05. The Misbehavers

EP di debutto per gli italiani The Lovemongers, messi licenziosi di un hard rock sguaiato e scorretto. Soprattutto per quanto riguarda le tematiche, è importante concentrare la propria attenzione sull’aggettivo “hard”: doppi sensi, ammiccamenti ed esplicite dichiarazioni d’intenti la fanno, infatti, da padrone, in un continuum perfettamente esemplificato dal bollino in copertina, il caro, vecchio, inutilmente dissuasivo Parental Advisory! La presentazione del disco è ottima, soprattutto per quanto riguarda il supporto vero e proprio, camuffato da vinile, con tanto di microsolchi tracciati sulla superficie. Per quanto riguarda l’aspetto sonoro, i cinque brani contenuti nell’EP ci permettono di valutare abbastanza chiaramente la proposta musicale del gruppo: prendete il classico rock à la Mötley Crüe, infarcitelo di elementi funky, aggiungete una spruzzatina di melodie suadenti e vi sarete fatti un’idea abbastanza precisa del cocktail offertoci dalla band. Passando a un’analisi più approfondita, sono da evidenziare luci e ombre: in un amalgama disomogenea, vengono accostati riff e fraseggi piuttosto banali a trovate interessanti e maggiormente riuscite. L’impressione generale è di un disco fatto dai musicisti nell’intento, certamente riuscito, di divertirsi; nel processo, però, viene perso di vista il quadro complessivo e si insiste con troppa frequenza su determinate soluzioni che, ben presto, risultano abusate. Anche la produzione ha il suo peso sul risultato finale: la voce di Leoni e il basso di Ballanza vengono decisamente ottusi, intorpidendone la vitalità e, sicuramente, non rendendo loro giustizia. Menzione d’onore per la chitarra di Carunchio che, spesso, riesce brillantemente a risollevare un momento di stanca con l’inserzione di riff azzeccati. Per concludere, i The Lovemongers potrebbero avere le carte necessarie per raggiungere risultati di buon livello; per farlo, però, devono fare mente locale e schiarirsi le idee: nel caso ambiscano a raggiungere traguardi più elevati, devono darsi da fare per dare vita a una proposta più corposa e originale, in grado di farli spiccare in un panorama musicale affollatissimo e saturo come quello dell’hard rock. Dopotutto, un inizio farraginoso non è sinonimo di disfatta!

Damiano Fiamin

 

Beggars On Highway
Hard, Loud And Alcoholic
2012, Autoprodotto
Hard Rock
MySpace Ufficiale

Tracklist:

01. Live Wild
02. Soap Maker Woman
03. Beggars On Highway
04. Leave Me Alone
05. Next Door Girl

Fondati nel corso del 2010, i Beggars On Highway sono la classicissima band da scena underground, rifornita di buone caratteristiche ma ancora appesantita da eccessi derivativi che ne impediscono una piena riconoscibilità.
Impregnato di attitudine assolutamente hard n’heavy, il quintetto parmense colleziona riferimenti in serie estrapolati da chi questo genere di musica lo ha reso unico ed immortale: Ac/Dc, Motorhead ed in parte Anvil, sono i fondamenti di una proposta che di originalità ed inventiva non sa che farsene, preferendo puntare tutto su impatto, alto voltaggio e risolutezza.
I valori, va detto, sembrano essere presenti: nell’arco delle cinque tracce offerte in questo demo d’esordio, è facile apprezzare la buona resa delle chitarre di Mattia Malvisi e Luca Barigazzi, sostenuti in tipiche strutture heavy rock (talvolta quasi punk), da una sezione ritmica essenziale quanto efficace.
Il cantato, alcolico (come da copione) e sguaiato del singer Alessandro Augella, completa la panoramica su di un EP che sin dal proprio titolo rivela nel profondo essenza e natura: “Hard, Loud And Alcoholic”. Come a dire: hard n’heavy schietto, diretto e privo di orpelli!

Fabio “Diamond King” Vellata

 

Achernar Dream
Hypocrisera
2012, Autoprodotto
Prog Metal/Post Rock
Sito Ufficiale

Tracklist:

01. ∞
02. Faithless Soul
03. F.e.e.l.
04. Unknown Lands
05. I Breathed
06. Someone To Be
07. Mechanima

«Achernar Dream is an art-prog music project born in 2007, We had a vision about society and humans and we expressed it in music»

Con una simile premessa, di certo gli Achernar Dream non nascondono la loro ambizione: fondere musica e arte a 360° in un tutt’uno in grado di tradurre in forma tangibile la loro visione.
Della “band” non si conosce sostanzialmente nulla, forse nemmeno esiste (o quantomeno non nell’accezione comune del termine) e poco altro è dato sapere; restano i testi, un booklet molto curato e, ovviamente, le canzoni. Bene, quindi la musica com’è? Un obiettivo così imponente è stato davvero centrato? Se sì, in che misura? Domande che non trovano una risposta semplice nemmeno dopo svariati ascolti, vista la natura incredibilmente “fluida” delle canzoni proposte. Composizioni dilatate e fluide all’inverosimile, ricolme di richiami ambient che fanno un po’ Pink Floyd (“∞”, “Birth”, “Lament”, “F.E.E.L”), talora sfocianti in fughe prossime al prog metal (“Faithless Soul”, “I Breathed”) e in generale devote ad un minimalismo sonoro accostabile in certi frangenti al post rock.
Non è musica semplice insomma, quella proposta dagli Achernar Dream, né, in generale, un qualcosa di facilmente catalogabile, fattore che peraltro, di per sé, non rappresenta di certo un problema in presenza di tracce ispirate e convincenti. Nel caso di un’album come “Hypocrisera”, tuttavia, pur riconoscendo il coraggio dei musicisti e la loro abilità tecnica, si finisce per rimanere un po’ disorientati, con il risultato che su 48 minuti di musica proposta, tra pochi i “pieni” e i molti “vuoti” (in senso atmosferico), rimangono più impressi i quattro minuti scarsi della bella “Unknown” che i, sinceramente, pesantissimi venti della lunghissima suite finale.
Il lavoro sui testi è altresì interessante, come pure l’artwork; qualche appunto si potrebbe fare, viceversa, sul versante produzione, giacché la qualità e la pulizia dei suoni non sono di certo un punto a favore di quest’album. Al tirar delle somme un lavoro molto particolare per un progetto altrettanto particolare: si intravedono buone idee e potenzialità, tuttavia, è forse il caso di focalizzare un po’ meglio propositi ed energie, evitando di perdersi in qualche lungaggine di troppo.

Stefano “Joey Federer” Burini

 

Nothing Left To Lose
Never Too Loud [EP]
2012, Autoprodotto
Hard Rock

 

Tracklist:

01. The Rocker
02. Spank
03. Have A Beer
04. Forever As One
05. Miss Merizer
06. In The Eye Of The Storm

Nel 2009 un paesino in provincia di Treviso vede nascere i Nothin’ To Lose, un combo che si fa conoscere in giro per feste e locali in qualità di tribute-band degli immortali Kiss. Il desiderio di dar vita anche a proprie composizioni originali si fa però sentire molto presto, e così un paio di anni dopo gli NTL registrano il loro primo demo, dal titolo Never Too Loud.
Fin dalle prime note dell’opener The Rocker il combo di Treviso dimostra la propria ispirazione rivolta ad un robusto hard rock diretto e senza fronzoli, devoto inequivocabilmente a Kiss, Motorhead e dintorni, corroborato, in particolare, da un efficace attività delle asce.
I brani più massicci e tirati rappresentano, naturalmente, la maggioranza assoluta delle tracce di Never Too Loud: ecco così scorrere Spank, energico uptempo dominato da vigorosi riff di chitarra, Have A Beer, party song trafitta dal tumultuoso roteare di riff incalzanti e trascinata dall’impeto della sezione ritmica, ed ancora la vispa Miss Merizer e l’energica In The Eye Of The Storm.
Solo Forever As One rompe il fluire delle tracce hard, proponendosi come una ballata elettrica dai toni epici, velata da un flavour southern ed impreziosita da un toccante assolo della sei-corde.
Per concludere, Never Too Loud, pur in parte penalizzato – soprattutto per quanto riguarda le parti vocali – da un suono non del tutto nitido, rappresenta il primo, incoraggiante biglietto da visita di una band che ha dalla sua certamente passione e competenza, e la cui grinta costituisce la base per il necessario processo di maturazione e di emancipazione dai modelli di riferimento che li porterà, a quanto pare, alla realizzazione (che procede parallelamente all’attività live) di nuove canzoni.

Francesco “BurningHeart” Maraglino